sabato 31 maggio 2008

"C'è in giro molta spazzatura saggistica"

di Mirko Zaru

Avrei anche io qualcosa da dire nel Vostro Blog!
Negli ultimi anni la Sardegna sta diventando il grande contenitore della "spazzatura saggistica" in ambito archeologico e storico; molti "saggi storici" sono stati scritti da parecchi autori, indipendentemente dal fatto che siano titolati o non, enunciando parecchie teorie prive di riscontri scientifico / bibliografici avvaloranti le stesse.
Molti di essi si rivolgono a INCREDIBILI SCOPERTE al motto di "finalmente svelata la verità" o "finalmente, per la prima volta al mondo quello che ci è stato nascosto", rivelandosi in ultimo abbagli colossali, aria fritta o scoperte dell'acqua calda!
La "forza motrice" di questo nuovo filone di pensiero posticcio è dovuta al fatto che in questi libri si racconta LA STORIA CHE LA GENTE VORREBBE SENTIRSI DIRE appoggiata dai tanti affamati di EGO SARDO che VOGLIONO SENTIRSI DIRE SOLO QUELLA VERITA'A MODO LORO!
Inevitabilmente l'effetto è quello che spinge la massa a ricondurre qualsiasi cosa sia sulla pietra o sia vicino ad un nuraghe all'ambito NURAGICO e qualsiasi cosa sia nuragico agli Shardana.
Per contorno, questi autori, sanno bene dove andare a spingere le loro "scoperte", dove la capacità moltiplicatrice di popolarità cresce esponenzialmente: i mass-media.
Quante volte sicuri di un'esperienza vissuta in prima persona vi siete sentiti rispondere a gran voce:"ma se l'hanno detto oggi in TV"; insomma c'è chi ha capito bene che tutto quello che non si vede nei mass-media NON ESISTE!
A questa ulteriore forma di FARSIFICAZIONE DELLA REALTA' si aggiungono gli avvoltoi dell'informazione giornalistica, i quali vanno ghiotti di "NEWS" appoggiano, con grande magnificazione di questi autori, in quanto l'EGO di alcune persone aumenta in modo direttamente proporzionale alla popolarità acquisita!
Altri grandi giornalisti (un giornalista è grande quando è popolare perchè quello che dice fà scalpore, invece solitamente dovrebbe rapresentare la verità a priori) hanno fatto il grande colpo, hanno unito "l'inchiesta storica" ai mezzi di comunicazione, avendo gli agganci giusti da dentro al settore, per arrivare a pubblicare quello che meglio credevano e facendo NOTIZIA e propinando all' opinione pubblica LA LORO VERITA'.
Ma la notizia cos'è? In verità dovrebbe essere un fatto REALMENTE ACCADUTO E DIMOSTRABILE ATTRAVERSO PROVE INCONFUTABILI CHE NE AVVALORANO L'AUTENTICITA'!
La cassa di risonanza mediatica incrementa l'aspetto economico/politico della vicenda in un gioco di interessi e denaro che premono l'acceleratore sul desiderio di accrescimento della grandezza delle origini facilmente assimilabile e riproponibile specie in ambiente sardo.
Le case editrici, non ultime cause del problema, pubblicano prodotti vendibili su larga scala, appassionanti e coinvolgenti di quell'entusiasmo di ricerca della verità!
L'uomo tende infatti a lasciarsi trasportare dal desiderio di "conoscere il negato" molto di più di quello che viene semplicemente divulgato; Questi autori, che parlano in terza persona di loro stessi, non fanno altro che proporci queste teorie come scoperta di "segreti a noi negati dall'ufficialità", a discapito di chi lavora ogni giorno nel settore facendoli passare per i cattivi della questione.
Con questa non voglio dire che l'archeologia abbia la situazione di tutto sotto-controllo ( i magazzini archeologici di Cagliari versano in uno stato fatiscente ) e neanche che certe decisioni siano state valutate al meglio, ma comunque lavorano con un metodo che permette di VERIFICARE le teorie e gli studi, che possono essere criticate e smentite se errate!
Sicuramente la nostra storia ha ancora in riserbo per noi, nel sottosuolo e non solo, tante cartucce sparate (e non i cartelli), sta solo a noi raccoglierne i bossoli, ma solo con un indagine scientifica è possibile verificare quali sia la pistola che li ha sparati!

Pubblico nel mio, solo mio, blog il suo sfogo con tutte le maiuscole e i punti esclamativi di cui, evidentemente, ha sentito bisogno per rafforzare i suoi ipse dixit. Vorrei solo segnalarle: se quella che lei chiama "spazzatura saggistica" ha tanto successo in Sardegna, qualcosa deve essere successo nel sistema di comunicazione fra chi sa e chi vuol sapere. O no?

venerdì 30 maggio 2008

A proposito di prevenzioni: e voi giornalisti?

di Alessandro Usai

Egregio dott. Pintore,
sono un archeologo della ex-Soprintendenza di Cagliari e Oristano, ora della Sardegna. Le confesso di essere rimasto duramente colpito, e dunque non propenso a rispondere, da quella che l'amico e collega Alfonso Stiglitz ha chiamato invettiva e che invece, a mio parere, è una vera e propria offesa personale, sgangherata nei toni e nei contenuti, come purtroppo ormai se ne leggono e se ne sentono dappertutto.
Solo leggere il commento dell'amico Alfonso mi ha rincuorato e incoraggiato a tentare un approccio positivo con Lei, perché da sempre io e Alfonso siamo impegnati per far sì che non si ripeta più questa brutta storia della "torre d'avorio". E se me lo consente, ribalto il titolo del Suo ultimo scritto: "Giornalisti non prevenuti: date segni di vita".
La gente comune non può farlo, ma voi dovete farlo per deontologia professionale: dovete venire ai convegni, alle conferenze, alle presentazioni, alle visite guidate; dovete leggere i libri e le riviste, dovete almeno sfogliarli; dovete sapere e far sapere a tutti quanto si scrive e si parla, quanti archeologi scrivono e parlano, quante importanti novità archeologiche vengono divulgate da noi in Sardegna, in Italia e all'estero. Se veniste a trovarci nei nostri uffici e nei nostri cantieri potreste rendervi conto della massa di lavoro ordinario che ci opprime, e capire che gli scavi, i restauri e le pubblicazioni (queste ultime scritte rigorosamente a casa la sera, il sabato e la domenica) sono ormai un lusso che possono permettersi solo quelli tra noi che reggono fisicamente e mentalmente alla pressione.
Solo allora potreste capire che quello che riusciamo a fare è semplicemente miracoloso.
Dunque, La aspetto. Nel frattempo, perché non aspetti molto, do qualche risposta alle Sue domande. In primo luogo, io e i miei colleghi delle Soprintendenze lavoriamo nello Stato, ma non per lo Stato o almeno non solo per lo Stato; in effetti, lo Stato ci obbliga semplicemente a lavorare per la Repubblica, e quindi soprattutto per la Regione (la nostra Regione Sarda), per le Province, per i Comuni, per i privati cittadini comunque interessati. Noi siamo buoni patrioti, d'Italia e di Sardegna nello stesso tempo.
In secondo luogo, riguardo al fatto che non si sa quando i lavori archeologici finiscano, è importante che i giornalisti sappiano e facciano sapere che i lavori archeologici non finiscono mai, anzi non devono finire mai, ma possono interrompersi in qualsiasi momento. Anzi, dobbiamo sempre tenere la maggior parte per chi verrà dopo di noi. Uno scavo non è come una strada, che si percorre solo quando è finita; uno scavo produce sempre e comunque, e non solo pietre visitabili ma soprattutto conoscenza che, nell'interesse di tutti, deve essere elaborata con un po' di tempo. E in un tempo ragionevole la conoscenza arriva a tutti, ma è importante che i giornalisti facciano il loro dovere di intermediari.
In terzo luogo, le presunte iscrizioni nuragiche. Le notizie non trapelano perchè siamo tenuti alla riservatezza. Lei sa che un falso è un reato, e alcune "tavolette" sono falsi clamorosi anche senza perizie. Altri oggetti sono originali ma non nuragici e nemmeno scritti; infine le pietre in campagna sono cose strane e interessanti, da approfondire col tempo e senza pregiudizi ma anche senza infondata partigianeria. Però la risposta l'ha già data Lei: tavolette, pietre e compagnia bella non sono mai venute fuori negli scavi nuragici! o anche Lei pensa che noi nascondiamo le cose?

Così come qualche giorno fa ho ringraziato del suo intervento Alfonso Stiglitz (Una invettiva disinformata), altrettanto faccio calorosamente con lei, dottor Usai. Tengo a dirle che sono d'accordo con lei su una cosa: la sua critica ai giornalisti è la mia. Di una cosa, però, non può rimproverarmi: che io abbia fatto a qualcuno "una vera e propria offesa personale, sgangherata nei toni e nei contenuti". Ho posto problemi generali agli "archeologi non prevenuti", di politica culturale e di uso della comunicazione. A questi lei non ha risposto, come chi ci legge può vedere.

Archeologi non prevenuti: date segni di vita

Per scrivere un romanzo di ambiente archeologico, in molti mesi ho letto pubblicazioni di ogni tipo, ma soprattutto decine e decine di furum e blog. Contenuti a parte (non ho la presunzione di poter giudicare), gli interventi sulla rete segnalano l'interesse che coinvolge una folla imponente di persone. E' un interesse che tanto più cresce quante minori risposte gli utenti di internet trovano, capaci di soddisfare alle loro curiosità e domande.
Vero è, come mi hanno contestato diversi addetti ai lavori con mail non destinate alla pubblicazione, che, forse come mai, le Soprintendenze, sarde e italiane, hanno pubblicato tanti testi come oggi. Ma è il mezzo di diffusione che fa la differenza fra desiderio di informazione e suo appagamento. Le informazioni, oggi, o sono acquisibili in internet o il dire che studi, libri, relazioni, fascicoli universitari ci sono, si assomiglia a un modo di eludere la questione.
Tutti sappiamo che bronzetti nuragici sono stati trovati in territori diversi dalla Sardegna e gli archeologi, non solo sardi, ne hanno dato notizia nei loro studi, ovviamente e necessariamente non diffusissimi. Ma provate a cercarne traccia sul sito della Direzione generale per i Beni archeologici del Ministero. Tanto per avere un quadro complessivo della questione. Al massimo troverete, fra le centinaia di schede, traccia di bronzetti senza padre, anche in musei che con sicurezza ospita qualche esemplare di bronzetto nuragico. E la parola nuraghe e aggettivi derivati è citata solo in relazione alla Sardegna.
Che valgono, in termini di comunicazione di massa, le poche migliaia di copie di roba pubblicata a paragone dei milioni di accessi a quel sito?
Nei forum e nei blog che si occupano di archeologia, si lamentano archeologi che di tanto in tanto intervengono, si leggono sciocchezze e improvvisazioni. Può darsi, ma raramente i critici vanno al di là della scomunica, della denuncia del falso, e forniscono loro interpretazioni. Capita anche che, come è capitato a Giovanni Ugas, impegnato alla scrittura di uno studio impegnativo sugli Shardana, qualcuno polemizzi con il suo libro non ancora pubblicato e neppure terminato di scrivere.
Capita anche che studi come quelli di Gigi Sanna sulla scrittura nuragica vengano contestati non per il merito, ma per il fatto che Sanna non risulta nell'elenco degli abilitati a parlare di queste cose. Capita infine che si vanno trovando pietre e massi incisi con segni che hanno tutta l'aria di essere delle scritte. Un giorno varrà la pena di elencarli (per inciso, è davvero sostenibile che a fare questi ritrovamenti siano solo viandanti, cacciatori, passanti e che le decine di scavatori di professione non ne abbiano trovato alcuno?).
Intorno a questi ritrovamenti o silenzio, o disinteresse o apodittiche affermazioni del tipo "si tratta di falsi".
Personalmente sono convinto che una parte, spero cospicua, di archeologi (della Soprintendenza e no) vivono con fastidio simili atteggiamenti da abitanti in torri d'avorio. In tempi di internet non ci si può comportare come se la comunicazione fosse chiusa nel cerchio ristretto degli addetti ai lavori. E se lo si fa, guai a lamentarsi delle incursioni degli appassionati alla ricerca di risposte.
Se, come penso, ci sono molti archeologi non prevenuti, sereni, aperti alla scoperta, sarebbe bene che dessero segni di vita. Non comunicando solo fra di loro e con chi dispone di tanto danaro da acquistare e leggere le pubblicazioni, ma utilizzando lo strumento di comunicazione globale a libera disposizione di tutti.

giovedì 29 maggio 2008

"Isole delle storie" SpA: importazione linna pintada

Puntuale come un treno delle Schweizerische Bundesbahnen e inevitabile come il tacchino al Thanksgiving Day, ecco i giorni del "pinta sa linna e bàtinchela a Sardigna". Si parla del festival gavoese "Isola delle storie", storie altrui, naturalmente, per non passare per provinciali. Presentato come occasione di scambi interculturali, è in realtà un campo che l'Isola delle storie SpA presta, a spese dei sardi, a forestieri perché, tra un bicchiere di ottimo cannonau e uno squisito tocco di Fiore sardo, si scambino pareri e esperienze del loro vissuto. L'Isola, insomma, non c'entra se non come luogo geografico indistinto: è Gavoi, ma potrebbe benissimo essere Canicattì o Castiglion Fibocchi, se lì non avessero superato quel complesso di inferiorità e di auto flagellazione che è uno dei sintomi del provincialismo.
Intendiamoci: sarebbe bellissimo se questo Festival letterario fosse occasione di confronto e di acculturazione, momento in cui noi impariamo dagli altri e gli altri imparano da noi. Ma il "noi" non esiste: quando, la scorsa edizione se non sbaglio, Salvatore Niffoi si provò a parlare in sardo (in Sardegna, mica in Afganistan), fu subissato di ingiurie, quasi avesse usato uno slang indegno di cotanto consesso. Certo: Isola delle storie SpA esibisce, come curiosità, qualche scrittore sardo, ma lo fa solo a patto che si sia o sia stato iscritto alla "nouvelle vague letteraria sarda", dimostri, cioè, un sufficiente grado di insofferenza per quanto olezzi di pecorino.
Per dire, non sarebbe interessante per i forestieri (ma anche per gli organizzatori della Isola delle storie SpA) impattare con il fenomeno della letteratura sarda in sardo? Esistono oramai circa duecento testi, romanzi e racconti lunghi, in sardo, qualcosa di più di un nucleo di letteratura nazionale. Forse potrebbe suscitare una qualche riflessione e innescare un processo di acculturazione. Naturalmente, per fare ciò sarebbe necessario combattere vittoriosamente quell'atteggiamento che gli studiosi di scienze politiche imputano ai compradores.

mercoledì 28 maggio 2008

Il Sole sul nuraghe?


Una lettrice di questo blog ha spedito la fotografia qui a lato di una pietra di nuraghe, sulla quale intravede la raffigurazione, stilizzata, del Sole. La signora è ragionevolmente sicura che i segni siano scolpiti e non frutto casuale dell'azione degli elementi naturali. Il nuraghe è noto come Nuraxi de Ganciu e si trova a circa 150 metri sulla sinistra della caserma forestale di Is Cannoneris, nel comune di Domus de Maria.
Purtroppo del nuraghe non rimangono che pochi filari di muro e un cumulo di pietre alto quanto una collina. "Ho fatto un giro per vedere se c'era qualche pezzo di pietra che potesse combaciare con quella fotografata" scrive la lettrice "ma nulla, solo alcuni conci di pietre lavorate sulla sommità del nuraghe".
Se qualcuno avesse una qualche idea, o guardando le foto più dettagliate sul mio sito o perché già conosce il sito, ce la faccia sapere.

PS - Dopo la lettura della notizia data dalla signora, un altro lettore del blog, naturalmente sulla sola scorta delle foto pubblicate, sostiene che sì, la figura incisa sulla pietra di quel nuraghe può benissimo essere il sole e fa riferimento ad altre figure del sole comparse in nuraghi (su Nuraghe Funtana di Ittiri, ad esempio) o in manufatti, come il cosiddetto brassard Is Loccis (nel disegno sopra). Difficile dire - sostiene il lettore - di quale epoca sia l'incisione, soprattutto per il fatto che i raggi che partono dal poligono irregolare non rispettano il numero sacro di sette o di dodici.

lunedì 26 maggio 2008

Orgosolo: ci sarebbero antichi affreschi da salvare

La prima domenica di giugno, nel seicentesco santuario a pochi chilometri dal paese, Orgosolo festeggia Santu Naniu e Santu Zìliu, due soldati romani convertiti al cristianesimo che - racconta la tradizione - furono uccisi dagli orgolesi nel 310, duecento ottanta anni prima che Gregorio Magno convincesse il re giudice dei barbaricini Ospitone a convertire i suoi cittadini. In italiano, i due santi si chiamano S. Anania e S. Egidio, ma è improbabile che i santi della tradizione sarda e quelli della tradizione italiana coincidano: dei due Anania, uno fu martirizzato in Siria nel 70 e l'altro in Persia durante il regno di re Sabor, nella metà del IV secolo. Quanto a santo Egidio, il santo abate morì di vecchiaia nel 725 o giù di lì.
Insomma, Naniu e Zìliu paiono santi autoctoni, vittime dello scontro, che su queste montagne durò più a lungo di altrove, fra l'antica religione dei sardi e la religione cristiana. Fatto sta che la Chiesa non è particolarmente entusiasta della devozione degli orgolesi per i due santi di incerta origine. E fatto sta, soprattutto, che né la Chiesa né il Comune si son dati da fare per la salvezza di una serie di begli affreschi che decorano il santuario di Santu Naniu.
Quando li ho visti, circa un anno fa, si trovavano in uno stato pietoso e le fotografie che pubblico nel mio sito lo testimoniano. Parti del grande affresco sono completamente distrutte dall'umidità, altre corrono un serissimo rischio di fare la stessa fine. Che io sappia, gli affreschi non sono stati datati e loro immagini non si trovano pubblicate.
Chi domenica 8 giugno volesse partecipare alla bella festa popolare di Santu Naniu e Santu Zìliu, oltre a godere di un momento comunitario di grande suggestione potrà verificare di persona lo scempio che la natura, complice l'insensibilità di Comune e chiesa locale, sta facendo degli affreschi. E magari indignarsi almeno un po'.

giovedì 22 maggio 2008

Scuola: l'autonomia di Tuzza

L'autonomia scolastica è un'ottima cosa, soprattutto per chi l'osserva da fuori. Permette a chi ne fruisce di mettere in luce la più profonda delle indoli, altrimenti nascoste dietro "l'ordine dei superiori". Spesso facendo - un po' di pazienza, e sarà chiaro il paragone - come Tuzza, coprotagonista di Liolà di Pirandello. La ragazza, per far dispetto all'amica Mita, che prima di sposarsi aveva avuto un flirt con Liolà, irretisce il giovane e si fa mettere in cinta. Mita non sposerà più Liolà, ma Tuzza in cinta era e in cinta rimane. La metafora potrebbe anche essere un'altra e riguarda chi taglia il ramo su cui è seduto.
A Nuoro - lo denuncia Bustianu Cumpostu - è successo che in un istituto tecnico, gli insegnanti di lettere, costretti dal ministro Fioroni (che Dio l'abbia in gloria) a restare entro 290 euro per l'acquisto di testi scolastici, abbiano in autonomia scelto di far fuori un manuale di storia sarda (La Sardegna, di Caocci) e un grande testo di narrativa sarda (Il giorno del giudizio di Satta). Quest'ultimo è sostituito da un testo di letteratura in cui, quando si dice il coraggio, c'è anche la sarda Grazia Deledda. Quegli insegnanti non sono del tutto insensibili al desiderio dei ragazzi di essere informati sulla storia sarda: con magnanimità d'animo consentono loro o di leggersi in biblioteca il testo di Caocci e non vietano loro di comprarselo a proprie spese.
Che c'entra Tuzza e il ramo segato, direte voi. Verrà il giorno che lo studio della storia e della letteratura sarda sarà obbligatorio nelle scuole sarde. Quegli insegnanti o cambieranno atteggiamento (ma la sardofobia è dura a morire) o dovranno rassegnarsi a lasciare il posto a chi chi sa che lo studio della cultura sarda è fondamentale per la crescita civile degli studenti sardi. Per i sardofobici sarà tardi: il ramo è stato da loro segato o, il che è lo stesso, dovranno crescere il frutto di un dispetto.

mercoledì 21 maggio 2008

"Un'invettiva disinformata". Ne sei proprio sicuro?

di Alfonso Stiglitz

Caro Gianfranco,
scusa se mi intrometto, ma la nostra vecchia amicizia e la stima che ho di te come giornalista, mi portano a non poter passare sotto silenzio questa tua invettiva, grave soprattutto perché disinformata; e la disinformazione sta agli antipodi del giornalismo.
L’invettiva è un’arte, ma presuppone che contenga dati veri e verificabili, anche se espressi in modo “eccessivo”. In questo caso temo che invece ti sia fatto prendere la mano.
Ad esempio, se facessi un salto a Cagliari, magari al museo archeologico, potresti visitare una bella mostra, in corso da mesi e ampiamente pubblicizzata e visitata, con tutte le scoperte subacquee degli ultimi decenni, con tanto di reperti e pannelli esplicativi. Se facessi un salto al museo di Oristano, vedresti un’altra mostra con tanti reperti e spiegazioni.
Se frequentassi qualche biblioteca, in qualsiasi parte della Sardegna, o anche se visitassi i loro cataloghi tramite web (ormai sono quasi tutte nel sistema SBN), vedresti che ogni anno la Soprintendenza archeologica pubblica un quaderno con i resoconti degli scavi (altro che Turchia), e che ogni anno i Comuni dove si svolgono gli scavi, le Università, la Soprintendenza pubblicano volumi sulle ricerche in corso e sugli scavi fatti; che ogni anno, due volte all’anno, si svolgono iniziative in primavera (Settimana dei Beni culturali) e in autunno (Giornate del Patrimonio) dove appunto vengono svolte conferenze e visite guidate nelle aree archeologiche; che sempre più comuni stanno aprendo musei con i reperti provenienti dal loro territorio.
Anche il Cuccurada di Mogoro, i cui scavi sono stati pubblicati. Credo che in questi anni, come non mai, la quantità di informazioni sia elevata, ma come ben dice l’antico detto, non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere.
Quanto alle iscrizioni è bene usare la cautela ed è bene che prima di pronunciarsi siano sottoposte al vaglio degli specialisti (e non ci si improvvisa tali, soprattutto per autoproclamazione); la Sardegna pullula di apprendisti stregoni e, generalmente, sono sospettoso di chi emette sentenze di primo acchito. Aspettiamo pazientemente i risultati delle analisi, se chi le ha trovate ha aspettato almeno un decennio a renderle note (e sarebbe bene chiedersi perché) possiamo ben aspettare un po’ di tempo in più, non scappano.
Alfonso

Caro Alfonso,
con la stessa amicizia e stima, credo di dover ribattere che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ma prima, consentimi di dirti che apprezzo molto la tua risposta non tanto per quello che contiene (o non solo per questo), ma per il fatto che c'è stata.
Sai, io ho la pessima abitudine di documentarmi prima di scrivere qualsiasi cosa. E così ho fatto in quella che tu chiami invettiva e che, invece, è una motivata critica dell'atteggiamento della Soprintendenza archeologica sarda. Prima dello sciagurato accorpamento delle due sedi (a proposito, chi ci lavora e che oggi protesta ha la mia solidarietà, forse insignificante ma sincera) ed ancora oggi, fonte di informazione sono stati e sono i due siti.
E' lì che ho trovato le informazioni (se così si possono definire) che ho riportato nell'articolo con cui polemizzi, "Soprintendenza: fannulloni o protervi?". Rispetto agli scavi di Cuccurada di Mogoro, nel sito non si parla né di pubblicazione degli scavi né del tempo previsto per la conclusione dei lavori cominciati quattordici anni fa, proprio come ho scritto. Non dubito che sia vero quel che tu dici sul lavoro svolto dalla Soprintendenza, quel che contesto è la non appropriata diffusione delle notizie. Noi comuni mortali, fuori dalla circolazione interaccademica, leggiamo in internet che a Nuoro e a Cagliari nessuno scavo è stato concluso e su questo ragioniamo.
Leggiamo che a Cagliari e Oristano nessuna indagine di archeologia subacquea è conclusa o è in corso e su questo ci facciamo opinioni. Andiamo a leggere nel sito le "Notizie" prodotte nel 2008 (unico anno previsto) e non ne troviamo alcuna. Per farla corta, quel che critico (e non poco mi indigna) è la sufficienza con cui la Soprintendenza comunica con noi, curiosi fruitori di scoperte sulla nostra storia di sardi, proprietari (ma questa è un'altra storia) dell'enorme patrimonio lasciatoci dai nostri antichi.
E anche sulle scritte ritrovate (nella mia ignoranza non so quanto ci sia di vero), permettimi una critica-invettiva: che cosa osta alla diffusione, da parte della Soprintendenza, della notizia che i reperti supposti etruschi della Valle del Tirso sono stati inviati a Milano perché siano esaminati? E, ancora, che cosa osta a che la Soprintendenza dica di essere interessata a esaminare le due scritte trovate a Norbello e a Paulilatino?
Con stima
Gianfranco Pintore

lunedì 19 maggio 2008

Soprintendenza: fannulloni o solo protervi?

Reperto con scrittura etrusca trovato nei pressi del Nuraghe Crocores, sepolto dallo sbarramento sul Tirso. Foto pubblicata da n. 30 di "Paraulas", diretto da Franco Pilloni. In edicola in questi giorni.


Checché ne pensino alla Soprintendenza archeologica della Sardegna, quel che trovano in quest'isola non è "roba loro": devono risponderne ai cittadini. A quelli sardi, in primo luogo, ma non solo visto che hanno fra le mani tesori dell'umanità. Se fate un giro nei due siti delle Soprintendenze sarde (Sassari-Nuoro e Cagliari-Oristano), avrete la sensazione di trovarvi di fronte a castelli chiusi da cui solo raramente e con il contagocce filtrano notizie su che cosa al loro interno succede.
Poche righe, per esempio, sullo scavo del Complesso megalitico Sa Cuccuredda di Mogoro, cominciato nel 1994, quattordici anni fa. Niente su quanto dureranno ancora gli scavi, niente su che cosa si sia fino ad ora trovato, niente su quanto costano gli interventi. Del resto, è chiaro: è cosa loro. Volete sapere quante indagini di archeologia subacquea sono in corso o quante se ne siano conclude. Mancuna. Volete sapere a che punto sono gli scavi del Nuraghe Nurcale di Scano Montiferru, cominciati cinque anni fa? Segreto: è cosa loro.
E, a parte quelli in corso, sapete quanti scavi sono stati conclusi fra Oristano e Cagliari. Manco uno secondo il sito della Soprintendenza. Da quello che riguarda la Soprintendenza di Sassari-Nuoro, risulta che nella provincia di Nuoro (più l'Ogliastra) non c'è né uno scavo in corso né uno concluso.
Visto che sarebbe ingenuo pensare che nelle due Soprintendenze si muovono torme di fannulloni, non resta da concludere che non si sa (non si deve sapere?) alcunché perché quel che lì fanno interessa solo ed esclusivamente loro, i padroni del patrimonio archeologico sardo. Se e quando ne avranno voglia, e se saranno di buon umore, qualcosa ci comunicheranno.
Come che fine ha fatto la dozzina di ciottoli e terre scoperti nella valle del Tirso, durante un anno di grande secca che rimise a luce il Nuraghe Crocores, insieme ad un grande patrimonio culturale sommerso nel 1924, raramente riemerso ed oggi definitivamente sommerso. La piccola foto, tratta da Paraulas, la rivista di Franco Pilloni, che ne pubblica molte altre, si riferisce ai cosiddetti reperti di Allai di cui altre volte, qui, ho parlato. Immediatamente bollati come falsi da un funzionario della Soprintendenza, quindi sequestrati dai carabinieri accompagnati sul posto dalla Soprintendenza, oggi sarebbero a Milano dove etruscologi di fama li starebbero esaminando. "Sarebbero" e "starebbero", perché si tratta solo di voci, per quanto attendibili. Se nelle stanze della Soprintendenza circolassero rispetto per i cittadini e concezioni non proprietarie, soprattutto dopo il can can fatto da giornali stampati, telematici e audiovisivi, buon senso avrebbe suggerito una nota stampa: "I ciottoli supposti etruschi sequestrati a gennaio ad Allai sono all'attenzione di esperti in etruscologia".
Già, se... Chi sa se questa brutta vicenda di protervia interesserà il nuovo ministro dei beni culturali?

giovedì 15 maggio 2008

Altare rupestre di Oschiri: fuori dalla naftalina



Chi non sta dalle parti di Oschiri ha buone probabilità di non aver mai visto questo meraviglioso e unico monumento (altre foto nel mio sito a Fotografie). Si trova alla periferia del paese, in un luogo che la cristianità ha dedicato a Santo Stefano, fra la chiesa del santo e un importante complesso di domos de jana, dolmen e menhir, tutta roba probabilmente del IV millennio avanti Cristo.
Quel che ha tutta l'aria di essere un altare rupestre è alto più di tre metri, lungo una ventina ed è incavato con una ventina di nicchie quadrate, trapezioidali, circolari, ad arco acuto. All'interno di alcune nicchie sono scolpite delle croci greche, altre nicchie sono circondate da coppelle. Altre coppelle (dodici più una, grande, centrale) sono scolpite in un grosso masso attaccato all'altare. Su un'altra roccia è scolpita una faccia mostruosa (naso e bocca storti), simile al Bes nuragico di cui in Sardoa Grammata parla, con corredo di molte illustrazioni, Gigi Sanna.
L'altare rupestre, insieme alle altre testimonianze tutto intorno, è "noto alla Soprintendenza archeologica di Sassari dagli anni Sessanta", secondo quanto scrive la studiosa Paola Basoli. E quindi, facendo un po' di conti, da più di quaranta anni. E quindi, penserete voi, sarà stato scavato, misurato, studiato, "decifrato": in quaranta anni se ne fanno di cose. Macché, nulla, che si sappia. Del resto è comprensibile: mica ci sono, intorno, tracce di romanità, punicità o feniceserie. Vero è che, osservando l'altare, uno sprovveduto come me ci vede anche un tondo con sotto un trapezio che letti insieme hanno una curiosa rassomiglianza con la Tanit, la Dea madre. Roba punica, se non fosse che quei segni possono essere fatti alcuni secoli prima che i punici pensassero alla Sardegna.
Ma io sono uno sprovveduto. Il fatto è che la politica della Soprintendenza, con il suo non fare o il suo fare finalizzato a nascondere la preistoria sarda, autorizza qualsiasi interpretazione. Come quella, per dire, che l'altare rupestre è bizantino (ci sono segni, come le croci greche, che lo direbbero), come l'altra che la ventina di nicchie sono segni di scrittura o come l'altra ancora che le coppelle scolpite nella parete sono licenze grafiche, abbellimenti. Tesi tutte avanzate da volenterosi studiosi, digerite dal silenzio della Soprintendenza archeologica che, di questo meraviglioso sito, non dice nulla.
A proposito di silenzio, questo intollerabile atteggiamento di chi pensa di non dover rispondere ai sardi di come si guadagna carriere e stipendi, mi ha indotto a scrivere una lettera aperta al governo sardo. Lettera che, chi vuole, può trovare o nel sito Diariulimba o in su meu.
E sempre a proposito di silenzio, circola voce che la serie di supposti reperti etruschi trovati ad Allai, da mesi in mano alla Soprintendenza che li aveva sequestrati nel Comune del paese, sono a Milano dove sono esaminati da etruscologi di fama internazionale. Forse non sono del falsi, come imprudentemente aveva detto una funzionaria ad un cronista.

mercoledì 14 maggio 2008

Autonomia? Una parola protosinaitica, suppongo

Come la volpe considerò non ancora matura l'uva che vanamente cercò di afferrare, allo stesso modo gli aspiranti viceministri e sottosegretari sardi si sono consolati del mancato obiettivo, dicendo che tanto la Sardegna ha dalla sua parte Berlusconi. Qualcuno, più sfacciato degli altri (forse anche perché l'incarico l'ha ottenuto), conclude con una mezza banalità e un mezzo travisamento: Al governo non si rappresenta una regione. Chissà se dietro questa frase di Giuseppe Cossiga si cela una nuova idea di federalismo e, soprattutto, la negazione per la Sardegna degli stessi diritti, rivendicati e incassati, dalla Lega?
Il problema, invece, c'è e la decisione presa da Berlusconi è diretta conseguenza della scarsa autonomia messa in atto dal Pdl in Sardegna. Questo partito, insieme ai Riformatori sardi, all'Udc e al Partito socialista, si è fatto garante di una proposta di nuovo Statuto speciale (Sa Carta de Logu de Sardigna) che punta all'autogoverno nazionale e dunque a una fortissima autonomia. Ma nel mentre rivendica autonomia dalla Repubblica e si pone concretamente come ente equiordinato allo Stato, non riesce a resistere l'imposizione di due deputati che con la Sardegna hanno nessun rapporto. Ciò che, di fatto, porta i parlamentari sardi da 18 a 16. Alla Camera - direbbe Cossiga - non si rappresenta una regione. Ma al Senato sì.
La domanda è: come si può pensare di essere autonomi nella Repubblica, se non lo si riesce ad essere in un partito?
La ripetizione dell'errore, comunque, continua: nelle dichiarazioni successive alla privazione di rappresentanza governativa alla Sardegna, non troverete un solo accenno al nuovo Statuto né all'autonomia. Tutto o quasi è all'insegna di rivendicazioni economiciste: dalla continuità territoriale, al riconoscimento dell'insularità, alle opere pubbliche. Tutte cose che, se e quando si realizzeranno, saranno frutto di concessioni, non di poteri e competenze autonome. Uno Stato, soprattutto se unitario o al massimo regionalista come l'italiano, tende per forza di cose a guardare con sospetto alle autonomie: più crescono queste meno poteri ha esso. Figurarsi che pacchia, se i soggetti che dovrebbero essere autonomi non riescono ad esercitare la loro autonomia. La Lega e il Movimento per l'autonomia, insomma, non hanno insegnato nulla?

PS - Il rispetto a chi ha perso è dovuto. Ma, di fronte alle dichiarazioni di Giulio Calvisi, un millu su boe chi narat corrudu a s'àinu è altrettanto dovuto. Il deputato Pd accusa di colonialismo Berlusconi perché ha imposto candidati non sardi al Pdl. E Veltroni, che ha imposto l'anconetana Sbarbati al Pd della Sardegna, che cosa è: un paladino dell'autonomia sarda?

domenica 11 maggio 2008

L'astrologo nel pozzo. O era un nuraghe?

di Gigi Sanna

Qualcuno capirà di sicuro ma io non dirò dove si trova il nuraghe e non dirò quindi dove si trova la scritta (un'altra ancora! che persecuzione!) con caratteri fenici arcaici (precedenti, per intenderci, a quelli della stele di Nora). Tanto a che serve? Le scritte - si sa - sono detestate dai funzionari e da certi archeologi della Sovrintendenza quanto lo sono coloro che le segnalano.
Meglio quindi tacere per non farsi dei nemici giurati ed avere dei rimbrotti pubblici, meglio restare comodamente nella preistoria, nel buio più fitto, dove, tutto è nero e si può dire tutto ed il contrario di quel tutto. Per taluni poi l'epigrafia nuragica è semplicemente insignificante, anzi nulla perché non esiste, non è quindi l'occhio dell'archeologia. Mica le lettere alfabetiche arcaiche sarde sono la dea pottery. E solo per essa serve, quando raramente serve, la filologia. Del resto i convegni di oggi, in grande stile, lo dimostrano con autorevolezza e si fanno per amplificare la doverosa proscinesi dei Sardi nei confronti dei fenici che ci hanno dato tutto, ma proprio tutto, bottarga e vino compresi.
Nel detto nuraghe in tanti, in migliaia forse, data la sua notorietà, si sono arrampicati, sono penetrati nelle sue viscere, buie come quelle di un pozzo chiuso, si sono seduti in una delle nicchie della camera superiore, si son fatti fotografare con il sole abbagliante, quello che entra in un certo tempo, quasi a perpendicolo, dal pertugio nella sommità della tholos. “Avete visto” - grida da anni, compiaciuto, il noto archimandrita dell'astroarcheologia, seguito dal coro delle vestali – “avete visto che meraviglia? In questa nicchia colui che si sedeva o l'oggetto che ci stava erano illuminati dal dio astrale; i nuragici adoravano dunque il sole e conoscevano di lui tutto, ne seguivano puntualmente il corso con i solstizi e gli equinozi.”
E chi, sulle prime, potrebbe dirgli di no? Solo che bastano due o tre cosucce a far traballare quel dunque. E qui non sto a ripeterle tanto sono note e ripetute. La teoria però potrebbe essere inopinatamente supportata da qualcosa che non si è vista e non si vede perché spesso gli scienziati camminano con la testa in su, guardando solo in 'alto'.
Sono le 'caelestia', le Stelle, il Sole e la Luna, l'oggetto della loro indagine puntuale. Il resto non conta proprio. Conoscete la storiellina dell'astrologo caduto nel pozzo? Ovvero, fuor di metafora, precipitato nel buio quasi mortale? Per salvarsi lo sciagurato gridava aiuto, aiuto! Per fortuna lo sente un contadino che vistolo annaspare e con l'acqua alla gola gli chiede come mai sia finito giù. Alla risposta dell'astrologo scienziato, lo zoticone di rimando esclama: “Tu dunque osservi le cose celesti e non vedi quelle terra terra”?'
Ecco, il mio carissimo amico archeoastronomo, con la foga dello scrutare l'alto e il luminoso non ha visto il basso e l'oscuro, ovvero l'iscrizione tracciata, poco vistosamente, su di una pietra del nuraghe, proprio quella che tende a dimostrare che il sole c'entra, e come! C'entra tanto che è chiamato 'padre' e, credo anche 'signore'. Ma gli epigrafisti del nuragico così come gli archeoastronomi della preistoria è meglio che vadano a cogliere asparagi e neanche ci entrino nei nuraghi. Ed è vero. Ne ho colti tanti in questi giorni di Aprile-Maggio in cui essi tentavano, furbescamente, di nascondere e sovrintendere a certe pietre logorroiche.

giovedì 8 maggio 2008

E gli struzzi non hanno più sabbia

La notizia del ritrovamento di questo altare nuragico e delle scritte che vi sono, è di dominio pubblico perché ne hanno parlato i giornali sardi e perché questo modesto blog è stato letto da centinaia di persone in Catalogna, Spagna, Stati uniti, Francia, Perù, Argentina, Germania, Canada, Svizzera, Australia, Regno unito, Panama, Svezia, Polonia, oltre che in Italia.
E' la bellezza della rete che impedisce a chi vuol continuare a fare lo struzzo, di sperare che, passato il tempo che dura un articolo di giornale, tutto torni nel silenzio. Lo stesso che è stato calato sui ritrovamenti ad Allai di reperti riconducibili probabilmente agli etruschi, sulla scritta ritrovata in una capanna nei pressi del Nuraghe Lugherras e di una quantità industriale di cose in grado di disturbare le certezze acquisite.
Come loro diritto (ci mancherebbe) hanno chiesto di non ricevere più segnalazioni del genere alcuni che avevo informato, con mail, dell'ultimo ritrovamento. Pochissimi lo hanno fatto, ma tutti in qualche modo legati alla Soprintendenza archeologica. Un loro sacrosanto diritto, quello di non essere disturbati. Eppure ho la sensazione che non si tratti solo della voglia di non essere molestati.

mercoledì 7 maggio 2008

I nuragici? Dei gran grafomani

Altro che illetterati. I sardi della metà del II millennio (quelli che chiamiamo nuragici) erano dei grafomani. Mano a mano che saltano i prevenuti tappi del "i nuragici non sapevano scrivere" e del "non avevano bisogno di scrivere", si vanno trovando iscrizioni prima non trovate perché non cercate. L'ultimo ritrovamento è opera di Giovanni Meloni, avvocato in Norbello.
Si tratta di un grande masso di basalto, una volta parte di un altare nuragico (come certificherebbe una coppella elissoidale trovata nella parte superiore), distrutto insieme al monumento dopo l'insano editto delle chiudende. Se ne ricavarono, qui come in tutta la Sardegna, pietre e massi per i muretti a secco. Come quello trovato da Meloni in un luogo che, fidarsi è bene ma non fidarsi è più sicuro, è meglio non dire. E' con tutta evidenza pieno zeppo di segni che il professor Luigi Sanna - a cui l'avvocato si è rivolto - ha individuato come "lettere" dell'alfabeto protosinaitico e che, naturalmente con beneficio di inventario, ha trascritto come nel disegno qui sopra pubblicato.
La scritta si dovrebbe leggere da sinistra a destra e poi da destra a sinistra con andamento chiamato bustofredico, come fanno i buoi arando. Che cosa ci sia scritto è presto dire, anche se Sanna crede di aver individuato le prime due lettere N e L, forse Nul, come dire Sole. Ma l'elemento più importante (se gli studi lo confermeranno) è il segno al centro del masso, il segno Tanit, una figurina antropomorfa racchiusa in una sorta di teca.
Inutile dire agli studiosi, ma molto utile a noi, quale rivoluzionamento ci sarebbe se l'esame attento del masso confermasse l'esistenza del segno Tanit. Per dirne una, bisognerebbe rivedere le ipotesi, date per certezze, circa l'influenza dei fenici sulla scrittura in Sardegna, come quella che compare nella famosa stele di Nora. (A proposito, dovrebbe essere finita la sua trasferta a l'Institut du monde arabe di Parigi dove era esposta fino al 20 aprile; è tornata a casa, quella girellona?)
In questa pagina, le foto sono di necessità di modeste dimensioni e lettura, ma potete vederle cliccando qui. Con un po' di attenzione, chi sa farlo potrebbe forse leggervi le lettere "s" "r" "d" "n" che messe di seguito fanno srdn, shardana, insomma. Dice: "Mio caro giornalista, tu corri troppo con le ipotesi e la fantasia". Può darsi: è per questo che esistono epigrafisti e archeologi e addetti alla soprintendenza. Il fatto è che, fino ad ora, agli ormai numerosi ritrovamenti di "cose scritte" ci sono state o non risposte o risposte imbarazzate.
Per dire: che fine hanno fatto i ciottoli e altri reperti trovati ad Allai, sequestrati da Soprintendenza e Carabinieri e spariti nel buio della reticenza? Erano o non erano reperti etruschi? Siccome gli stipendi e le carriere di chi deve dare risposte derivano anche dalla nostre tasse, sarebbe gradito, come dicono i burocrati, un cenno di riscontro.

lunedì 5 maggio 2008

Una, dieci, mille nazioni sarde?

Le preoccupazioni di chi teme che una lingua nazionale distrugga i suoi dialetti hanno in questi ultimi anni disteso buoni argomenti (sia pure, a me pare, parossistici), sindromi vittimistiche e ragionamenti pretestuosi. Quasi tutti, questi ultimi, tesi al non fare e spia di un atteggiamento di sostanziale negazione della possibilità per il sardo di uscire dal folclore e dal localismo esasperato.
Non è un caso che fra i più accesi sostenitori del localismo ci siano quanti per anni, soprattutto intorno al Settanta e all’Ottanta, si sono schierati contro il riconoscimento della lingua sarda. Sono coloro che hanno fatto battaglie epiche contro la proposta di legge di iniziativa popolare sul bilinguismo (1975-76); che nel 1989 in Consiglio regionale hanno affossato con voto segreto la timidissima legge sulla lingua; che nel 1997, persa la battaglia contro il sardo, imposero la trasformazione della legge sulla lingua in legge per la cultura e per la lingua sarda, impedendo che la Sardegna si dotasse di una politica linguistica.
È nata in questi ambienti, persa la guerra santa contro il sardo, la battaglia per la parcellizzazione, sfruttando la paura che un processo di unitarietà della lingua potesse comportare danni alle parlate locali. Si tratta naturalmente di una incolta sciocchezza che non tiene conto di due fatti conosciuti: a) neppure 150 anni di imposizione della lingua italiana sono riusciti a distruggere dialetti e lingue preesistenti, nonostante la messa in campo di strumenti di coercizione enormi, dalla scuola al cinema, dall’esercito alla televisione al tentativo, abortito solo per fine di legislatura, di introdurre in Costituzione che la lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano; b) il radicamento dei dialetti nelle comunità di riferimento.
Pur incolta e strumentale, la battaglia per dividere per meglio comandare ha fatto danni cui non sarà facile rimediare: si è insinuata e ha fatto nido in persone che magari si dicono parte del popolo sardo ma non riescono a trarre le conseguenze da questo senso di appartenenza. Le cose peggiorano notevolmente quando a dar corpo alle ombre ci si mettono coloro che di mestiere fanno i linguisti e, quindi, hanno l’obbligo della scientificità delle loro affermazioni.
Capita così di leggere un articolo della professoressa Marinella Lõrinczi, solitamente garbata e problematica nel suo scrivere. Personalmente stento a condividere la sua visione dei problemi della lingua sarda per quanto legittima e ben argomentata. Questa volta, però, temo che si sia lasciata prendere la mano nella condivisione di quel senso di vittimismo che contraddistingue alcuni cittadini sardi abitanti nei Campidani. Nei loro confronti, secondo la professoressa, sarebbe in atto una discriminazione “non giustificata da nulla di scientifico o di storico (il campidanese è meno lingua del logudorese? i Campidanesi avranno mai oppresso gli altri?), se non dai luoghi comuni culturali o dagli stereotipi nazionalistici, dai quali dovremmo guardarci bene”.
“Stereotipi nazionalistici”? Addirittura. Esistono, dunque, due nazioni in Sardegna, una della quale (immagino la logudorese) discrimina la nazione campidanese. E dove mettiamo i baroniesi, i nuoresi, gli ogliastrini del nord e quelli del sud? Che dire della "Nazione" gallurese, e delle "nazioni" tabarchina, catalana e sassarese? Anche queste, evidentemente, sono vittime degli “stereotipi nazionalisti”. Guardiamoci, certo, dagli stereotipi. Ma da tutti.

sabato 3 maggio 2008

Aridatece i borboni... (bis)

Non sono molti quelli che hanno difeso la decisione di Visco di rendere pubblici i redditi 2005 dei contribuenti. Ma quei pochi hanno il dono di rendere chiarissime le pulsioni autoritarie che stanno dietro, volente o non volente Visco, questo modo di fare.
Il fatto è - scrive uno degli entusiasti - che "se il grande motociclista... denuncia un reddito miserabile, sarà il cittadino comune a scoprirlo e a denunciarlo, molto prima che la Agenzia delle entrate faccia le sue lente e insicure indagini". O ancora: "i vicini di casa hanno il sacrosanto diritto di scoprirli e denunciarli", i presunti evasori naturalmente.
Dietro questi discorsi, c'è una inconfessata nostalgia dei "capi condominio" dell'Era fascista e/o del clima esistente nella Germania dell'est dove la Stasi obbligava i cittadini a fare i delatori contro i vicini e i conoscenti ritenuti infedeli. Poco importa se allora, durante il fascismo in Italia e lo stalinismo nella Ddr, si trattava di infedeltà politica e oggi qui di infedeltà fiscale: l'uso della delazione come strumento di controllo è lo stesso.
Ma non basta la delazione, già di per sé mezzo infame per regolare conti personali, per esercitare l'invidia, per conquistare meriti. Qui si va al di là: si mette in campo il mezzo del rastrellamento, anch'esso strumento di cattura del colpevole che speravamo relegato negli angoli più bui della storia. In democrazia, ad un crimine corrispondono indagini su persone o gruppi indiziati fino a che non sia scoperto il colpevole. In regimi totalitari (o in società i cui governanti cedono alla seduzione dell'autoritarismo) il sospetto nei confronti dei cittadini-sudditi è componente essenziale. Di qui la tecnica del rastrellamento nella repressione: passando un rastrello, fitto o largo dipende dalla benevolenza del potere, è chiaro che qualcosa rimane impigliato.
Combinate l'invito alla delazione e la pratica del rastrellamento è state pur sicuri che qualsiasi governo ridurrà di molto qualsiasi tipo di delinquenza. Ma nel 2008, in una Repubblica che si proclama democratica, in una Europa che fa della difesa dei diritti dei cittadini la proclamata sua missione, la "cultura politica" di Visco e dei suoi zelatori è tollerabile?

venerdì 2 maggio 2008

Aridatece i borboni...

Non era poi così male il fisco degli "odiati borboni", visto con gli occhi sbalorditi di chi ha assistito in questi giorni al tentativo del ministro Visco di mettere alla gogna gli elettori che lo hanno mandato a casa. Il fiero soldato giapponese che conduce la sua guerra pur sapendo che è finita, ha, come sapete, promosso o autorizzato (il che è lo stesso) la pubblicazione della dichiarazione dei redditi 2005 di tutti i contribuenti.
Se l'iniziativa non fosse stata bloccata, l'anno venturo avrebbe fatto seguito la dichiarazione dei redditi del 2006 (Anno I dell'Era Visco) e gli elettori avrebbero visto come il suo pugno di ferro aveva funzionato.
Certo, nella iniziativa del Robespierre foggiano ci sono tutti gli aspetti oscuri denunciati in questi giorni: la sollecitazione dei più bassi istinti del guardonismo italiano; il rischio che la criminalità (non quella mafiosa, chiaro, che non ha bisogno di questa pubblicazione per sapere dove colpire, ma quella piccola e media sì) trovasse nei tabulati spunti interessanti per le sue azioni; la rivincita della "casta", costretta per legge a rendere pubblici i propri redditi, sui cittadini che l'hanno criticata e condannata; la rivalsa degli sconfitti del 13 aprile sugli elettori che li hanno bocciati.
Ma questi sono, tutto sommato, peccati veniali, bagatelle. Quel che è peggio, molto peggio, è il concetto del mondo, la weltanshaaung, che sottende il provvedimento. I cittadini sono, in quanto tali, tutti dei malfattori. Sta a loro l'onere di dimostrare che non lo sono. Le cartelle delle tasse, molto spesso inique e sbagliate, sono la traduzione fiscale del famoso detto: "Quando ritorni a casa, picchia tua moglie. Tu non sai perché lo fai, lei sì". Il braccio violento di questo concetto del mondo è, e non può essere altrimenti, lo stato di polizia fiscale, una sorta di "Terrore rivoluzionario" che l'antico Robespierre esercitò attraverso la ghigliottina e che il moderno giacobino, essendo la ghigliottina illegale, ha esercitato attraverso non solo le cartelle delle tasse, ma anche - per fortuna solo come tentativo - la pubblica gogna.
Tentativo solo in parte bloccato, va detto. Certi giornali, coscienti che tette, culi e altri oggetti di guardonismo vendono bene, hanno preso a pubblicare i tabulati che avevano scaricato prima che il Garante bloccasse il sito dell'Agenzia delle entrate. Se è vero che l'onanismo rende ciechi, temo a breve l'insorgere di una piccola epidemia di cecità.
Insomma, aridatece Franceschiello.

Ti consiglio di leggere anche il blog di Antonio Sechi sul come in un piccolo paese è vissuto questo provvedimento.