giovedì 30 aprile 2009

Caro Ainis, è sicuro di meritare il Nobel?

di Massimo Pittau

Evidentemente quell’illustre sconosciuto che è Gabriele Ainis ha avuto l’assicurazione che nella prossima tornata gli verrà assegnato uno dei Premi Nobel (ma in quale sezione? Boh?). Solamente con questo presupposto si può comprendere la decisione e la sicurezza che egli ha dimostrato nel prendere a sculaccioni noi, poveri Sardignoli che ci interessiamo della storia (o – come lui dice - fantastoria) del popolo sardo, del tutto buttati dunque nel nostro presunto glorioso passato, mentre non ci accorgeremmo che i nostri nemici ci stanno perfino togliendo di sotto ai piedi il terreno – costituito tutto dalle preziosissime “terre refrattarie” -. Noi dunque ingenui “passatisti”, mentre LUI - il maiuscolo è d’obbligo – è il solo “avvenirista” e soprattutto il solo che ha in tasca la soluzione di tutti i problemi della nostra Isola.
Siccome fra i passatisti sculacciati mi sono riconosciuto anche io, l’illustrissimo Gabriele Ainis mi permetta di fargli una lezioncina di storia, dato che questa discipina, in un modo o in un altro, l’ho insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado per 52 anni.
Nella storia dell’Italia il Risorgimento costituisce un punto cruciale e culminante, il quale, ad es., ha conseguito il grandioso risultato storico di unificare in un solo popolo popolazioni di differenti 18 staterelli, che per secoli erano state divise fra loro. Ma il Risorgimento italiano ha avuto effetti grandiosi anche nel quadro della storia europea: ci si chieda quanto sarebbe stata differente la storia dell’intera Europa se, ad es., nella I Guerra mondiale l’Italia avesse combattuto nella Triplice Alleanza anziché nella Triplice Intesa.
Orbene si deve considerare che il Risorgimento italiano è stato tenuto a battesimo da un famoso invito che Ugo Foscolo formulò nella prolusione al suo corso di Rettorica nell’Università di Pavia nel 1809: «Italiani, tornate alle istorie!». E in effetti l’intero Risorgimento italiano è stato preceduto e seguito da numeroosissimi studi di carattere storico, ai quali molti Italiani si dedicarono con tenacia e passione, tutti alla ricerca delle loro radici, tutti volti a trarne gli auspici per il futuro della nuova Italia.
Ebbene, all’illustrissimo Gabriele Ainis, che è convinto di avere l’esclusiva del quadro storico-politico della Sardegna odierna, invece è completamente sfuggito che nell’attuale momento storico in Sardegna c’è in atto un vero e proprio Risorgimento nazionale, alimentato e promosso anche dall’appassionato ritorno che noi Sardi stiamo facendo alle nostre origine storiche, alle nostre radici etniche e nazionali. L’Ainis sicuramente lo ignora: la regione italiana che supera di gran lunga tutte le altre per la produzione di opere e libri di carattere regionalistico, relativi alla storiografia, alla archeologia, alla linguistica, alla storia dell’arte, alla etnologia, alla botanica, ecc., è la Sardegna.
Ed è questo un Risorgimento della Sardegna che va molto al di là del misero apporto dei partiti politici operanti nell’Isola e molto al di là delle conquiste effettuate dalla stessa Autonomia regionale richiesta e finalmente conquistata.
Ebbene, l’appassionato ritorno alle nostre radici, alla nostra storia antica – perfino quella non gloriosa – non è perseguito da noi con una prospettiva “passatista”, ossia come adorazione del passato in quanto passato, ma è perseguito in vista del nostro nuovo futuro che vogliamo costruire, del tutto differente da quello trascorso. Non siamo dunque “adoratori del passato per il passato”, ma siamo studiosi e analizzatori del nostro passato con l’intento di costruire un avvenire molto migliore almeno per le nuove generazioni dei Sardi.
Potrei concludere col richiamo al latino Historia magistra vitae «la storia è maestra di vita», ma preferisco citare una frase di un grande personaggio delle cultura europea, Goffredo Guglielmo Leibniz: Reculer pour sauter «retrocedere per saltare» (evidente richiamo alla gara atletica del «salto in lungo»).

Nessun culto fallico a S'Urachi

di Alfonso Stiglitz


Caro Gianfranco,
l’intervento di Tonino Mura e Piero Zenoni, pacato nella forma (fatto raro), ci da notizia della formazione di un gruppo di volontari che si propone di contribuire alla tutela e salvaguardia dei nostri beni archeologici; un evento importante visti gli scarsi mezzi e forze di cui disponiamo. Importante per far crescere la consapevolezza della necessità di tutela. I pericoli che i beni corrono, infatti, sono soprattutto legati ai lavori agricoli, ai lavori edilizi e, in generale, ai lavori pubblici e, ovviamente ai tombaroli.
S’Urachi, fortunatamente, è oggi in una situazione relativamente tranquilla essendo in buona parte (ma non tutta) di proprietà comunale. Ha subìto a suo tempo dei danni sia con l’asportazione di una parte consistente dei blocchi delle torri e delle murature per realizzare il vicino abitato di San Vero, con la realizzazione di una cava per l’estrazione della terra per la realizzazione dei mattoni crudi di cui ci resta la discarica (il famoso strato dello Tzunami) e, in epoca più recente, la sua trasformazione in discarica pubblica e infine la realizzazione della vecchia strada provinciale che passa sopra due delle torri dell’antemurale.
Di tutti questi danni è oggi incombente solo la strada provinciale; è stato realizzato un nuovo tronco stradale dismettendo il vecchio che è stato di recente declassato a favore del Comune. Il passaggio di proprietà dovrà essere ratificato (chissà quando) dal Consiglio Regionale. Il Comune ha avuto comunque l’autorizzazione a rimuovere la strada e a rimettere in luce la parte occultata dell’antemurale, che dovrebbe essere relativamente “ben” conservata, quantomeno a somiglianza delle torri già note. A questo fine il Comune già da vari anni ha presentato il progetto per avere un finanziamento sufficiente per realizzare l’opera, finora senza alcun risultato. Speriamo di essere più fortunati.
Nel frattempo, con i pochi fondi disponibili ha avviato la realizzazione di una nuova recinzione; un pezzo alla volta quando è possibile. Anche per questo era stato presentato un progetto POR, proprio per realizzare le poche strutture necessarie per permettere di rendere visitabile in sicurezza l’area, purtroppo non ammesso a finanziamento. Posso assicurare che la volontà di dare un aspetto migliore a questo complesso c’è, mancano i mezzi.
Così come per gli scavi. Negli ultimi 15 anni siamo riusciti a svolgere solo due brevi campagne di scavo che ci hanno permesso di chiarire alcuni elementi della pianta del nuraghe e della stratigrafia delle fasi di riutilizzo. Le notizie dell’ultima campagna di scavo (2005) le abbiamo inserite nel sito del Comune contemporaneamente ai lavori, e sono leggibili all’indirizzo www.sanvero.it, cliccando sotto la voce Museo.
Veniamo ai “giganteschi falli circoncisi”. In realtà si tratta di mensoloni di varie forme, di quelli che normalmente si trovano vicino ai nuraghi e che erano posizionati sulla cima delle torri, a sostenere una sorta di terrazzo, se ne possono vedere ancora in situ, sulle torri, nel nuraghe Losa, in quello di Barumini e nell’Albucciu per citare i più famosi. Niente culto fallico mi dispiace.
Più complesso il discorso della seconda foto pubblicata, che parrebbe riportare o a elementi decorativi di una struttura o a decorazioni falliformi note in epoca romana; il blocco è fratturato e non permette di capire la reale forma del rilievo.
Una cosa però va sottolineata tutti questi reperti non appartengono a s’Urachi, ma si tratta di elementi rinvenuti nei decenni nel paese e trasportati a s’Urachi in via provvisoria, in attesa del trasferimento nel giardino interno del Museo; cosa che dovrebbe avvenire (faccio gli scongiuri) entro l’anno. Da dove vengono? San Vero ha una trentina di strutture nuragiche ma, personalmente, ipotizzo la provenienza almeno di una parte dei mensoloni da s’Urachi, ma è una mera supposizione. Il secondo elemento, quello con la protuberanza cilindrica (forse un fallo o forse no) è invece di provenienza assolutamente ignota (parlo della provenienza originaria).
Se mi permetti, posso invitare Tonino Mura e Piero Zenoni (ma chiunque altro voglia) a fare con me una visita al nuraghe così avremo modo di toccare con mano le molte problematiche della tutela di questo e di altri importanti siti di quest’area e del Sinis.

Ecco i falli del nuraghe S'Urachi

di Tonino Mura e Piero Zenoni

Abbiamo notato nei post a corredo dell’articolo Toh, chi si rivede: i Shardana, che il prof. Gigi Sanna ha parlato della presenza di alcuni falli che egli avrebbe rinvenuto, più di dieci anni fa (1998), con il suo amico Gianni Atzori nei pressi del nuraghe s’Urachi di San Vero Milis. La notizia è verissima perché appena un anno fa io ed alcuni amici appassionati di archeologia abbiamo trovato, nei pressi del cancello della traballante recinzione, i reperti fallici di cui sopra, buttati e confusi in un ammasso di pietre.
Incuriositi, un po’ sorpresi e molto preoccupati del fatto (la vicinanza all’entrata poteva consentire a qualsiasi malintenzionato di portar via gli oggetti) abbiamo provveduto immediatamente a scattare delle fotografie che pensavamo potessero servirci, tra l’altro, per segnalare il caso a qualche archeologo o alla Sovrintendenza. Dal momento che da poco tempo abbiamo costituito un’associazione (GRS: Gruppo Ricerche Sardegna) che ha come scopo fondamentale:
salvaguardia, documentazione, censimento e valorizzazione dei siti archeologici e dei beni storico culturali/cultuali della Sardegna antica, nell’assoluto rispetto delle normative vigenti in materia di conservazione e tutela dei siti; segnalare alle competenti autorità scavi clandestini o manomissioni dei siti archeologici, anche effettuando controlli e visite periodiche,ecc., il tutto anche attraverso dibattiti, convegni, studi particolari della nostra associazione, mostre fotografiche, ecc.,
abbiamo ritenuto che potesse avere un qualche significato la nostra testimonianza fotografica. Per questo motivo la sottoponiamo alla sua attenzione e, eventualmente, a quella dei lettori tutti del Blog.
Come giovani ricercatori abbiamo fatto la scoperta con disappunto perché riteniamo che il fatto che simboli così importanti per la cultura nuragica e di tali dimensioni (anche qui il prof. Sanna ricordava bene perché il fallo più grande misura più di due metri) siano stati lasciati in abbandono per decenni non giochi a favore di chi ha fatto e gestito gli scavi del nuraghe s’Urachi e di chi poi si è occupato di tutelare in qualche modo il sito. Perché certi reperti (il famoso candelabro di tipologia ‘cipriota’, ad esempio) si espongono e vengono anche ampiamente commentati nelle sale dei musei e i falli trascurati completamente?
Ci sembra una cosa davvero incomprensibile. Quasi che in maniera bigotta ci si vergogni di una certa cultura dei sardi antichi che, da quel che si capisce, con la loro raffigurazione realistica del sesso maschile e femminile intendevano esaltare la forza generante e creativa della divinità.
Sul problema se i falli che si trovano siano circoncisi non abbiamo la competenza per dirlo in assoluto ma sia da quelli trovati a s’Urachi sia da quelli scoperti in altri numerosi luoghi della Sardegna, ci sembra di capire che è altamente probabile che le popolazioni nuragiche usassero tale pratica, ovviamente di natura religiosa. E ciò è molto importante, va da sé, per chi sostiene che i nuragici conoscevano e usavano gli alfabeti semitici e che fossero imparentati con i popoli medio-orientali.
Solo però dalla raccolta completa e da un serrato confronto documentario si potrà dire definitivamente se questo sia vero o non.

mercoledì 29 aprile 2009

Giacobini all'assalto di Sa die de sa Sardigna

C’è una livida opposizione, che si rinnova ogni anno, alla celebrazione di Sa die de sa Sardigna. Una vera “costante resistenziale” per intellettuali e giornalisti di cui è difficile dire se sono solo gli ultimi compradores o inconsolabili vedove di un giacobinismo in salsa italiana. Di regola imbrogliano le carte.
C’è chi, come Giorgio Melis, irride alla cacciata dei piemontesi con questa argomentazione: la loro cacciata fu “seguita, pochi anni dopo, dal loro ritorno acclamato dagli stessi ex rivoltosi che trainavano la carrozza reale sostituendosi ai cavalli”. Melis sa benissimo che i rivoltosi non avevano alcun progetto di rovesciare il Regno di Sardegna, ma “solo” il governo della terra che aveva dato il nome allo Stato allora “federale”. E siccome lo sa, non resta se non la malafede a spiegare la sua acredine che si estende alla “ridicola pretesa di dirsi nazione” da parte della Sardegna”.
C’è anche chi, come Eugenia Tognotti, è più raffinatamente sleale. Si inventa un avversario di comodo nel “mito di una presunta autoctonia, di un ethnos incontaminato”. Forse c’è qualcuno che coltiva questo mito, ma francamente non è da una studiosa come la Tognotti mettersi a polemizzare con i frequentatori di un qualche Bar dello Sport che, fra una maledizione e l’altra contro le donne, il tempo e il governo, trovano il tempo di pensare a baggianate del genere. Non resta, anche qui, che la malafede.
Questa è uno strumento utilissimo a rimuovere la sostanza delle cose, soprattutto quando non si ha il coraggio, o semplicemente la voglia, di confrontarsi con i significati più profondi delle cose. Si irride alla “cacciata dei piemontesi” come simbolo nazionale, perché in realtà non si vuol riconoscere l’esistenza della Nazione sarda che è il risultato ovvio non di una purezza etnica (Dio ce ne scampi e liberi), ma di una mescolanza di genti cominciata nel Paleolitico e mai finita.
La controprova di come, quella parte di intellettuali sardi che accede ai giornali, rimuova la parola stessa Nazione riferita alla Sardegna, è nelle cronache di Sa Die de sa Sardigna celebrata ieri in Consiglio regionale. Il presidente della Regione, Cappellacci, ha parlato sei volte di Nazione sarda, i giornali neppure una volta. Non è consueto, è anzi molto raro, che in un suo discorso un presidente della Sardegna parli della sua terra in termini di Nazione “con proprio territorio, propria storia, identità ed aspirazioni distinte da quelle che compongono la Nazione italiana, ed assomma in sé tutte le culture e le civiltà che si sono succedute nell'Isola dal prenuragico ad oggi”.
Altrove, dove la stampa avesse meno retropensieri e pregiudizi ideologici, la rivendicazione della qualità di nazione alla terra governata da chi così la definisce avrebbe avuto risalto. Come si dice, avrebbe fatto notizia. Qui no, anzi qui ci si preoccupa di censurare, di occultare, con la coscienza che in una società dell’informazione sono i giornali a decidere che cosa esista e che cosa no: un fatto non raccontato semplicemente non esiste. La completezza dell’informazione può attendere. Forse solo un équipe di psicologi e sociologi sarebbe in grado di dare una spiegazione.
È anche per questo, oltre che per la qualità del documento, che propongo ai lettori di questo blog il testo integrale del discorso di Cappellacci, che si potrà leggere cliccando qui. La lettura non sposterà di un ette il giudizio politico, contrario, favorevole, neutro, sul nuovo governo regionale. Ma forse aiuterà a capire che la campagna elettorale è inesorabilmente chiusa.

domenica 26 aprile 2009

Gavoi: invidia, denti e pane e formaggio

di Simona C

Gentile Signor Pintore,
una breve replica a quanto da Lei detto.
Solo lo scorso anno ho potuto vivere un po’ del clima del Festival ed è stato bellissimo....
Leggendo pertanto il suo beffardo commento ho pensato: solo l'ignoranza, intesa come mancata possibilità di conoscere può averle fatto buttar giù simili parole. La invito a partecipare al Festival, a conoscerlo, a viverlo: ne resterà piacevolmente ammaliato. Perché capisca finalmente che le parole di qualunque scrittore non hanno cittadinanza.... E non venga a parlarmi di colonialismo, di fronte ad un gruppo di giovani con idee sane e meravigliose che da soli hanno mandato avanti questo incredibile progetto, che, mi permetta di dirlo, se non fosse per la caparbietà, l'ostinazione dei suoi organizzatori, caratteristiche poi queste del sardus vero, non avrebbe avuto vita lunga specie in un piccolo paese come il nostro.
Penso quindi alla lotta che ogni anno questi valorosi "isolani" compiono, contro chi non vuole che esso si svolga a Gavoi (questi sono i veri colonizzatori!!!) penso ai sacrifici iniziali perché fosse data vita ad un sogno così grande. Personalmente poi sono fiera di loro perché nell'abbandonare il precedente sogno di isola hanno optato per un'isola quella delle storie, che, mi creda, per tre giorni l'anno tiene unito il paese, in una felice sintesi tra saperi e sapori..

Cara Simona,
non capisco quale sia l'oggetto del contendere. Conosco Gavoi, i gavoesi, il festival cui ho assistito un paio di volte. Compresa quella (2006, se non sbaglio) durante la quale l'amico Salvatore Niffoi fu zittito perché parlò in sardo. E proprio perché lo conosco, posso criticare l'evento, non certo la generosità di chi ci lavora, né l'ospitalità del paese. Tutto sta nelle due ultime parole del suo molto gradito intervento: saperi e sapori. I primi sono messi a disposizione dai forestieri, i secondi dagli indigeni. E' questa pulsione ad acculturare gli indigeni, simpatici e folclorici fornitori di sapori genuini, che critico con tutta la mia rabbia.
Noto, piuttosto, che neppure lei sfugge alla tentazione dell'eguaglianza matematica critica=invidia. Chi critica il Festival lo vorrebbe portare via a Gavoi. Nella trappola dell'eguaglianza, lo dico tanto perché non si senta sola, è caduta in questi giorni una protagonista dell'edizione del 2007 (anche qui spero di non sbagliare). Nel suo sito, Michela Murgia usa questa categoria dell'invidia in una polemica con Paolo Pillonca che, senza peli sulla lingua, le aveva rimproverato una buona dose di approssimazione in cose scritte da lei in una guida della Sardegna. Non entro naturalmente nella polemica. Interessano di più le argomentazioni prodotte nel sito, fin dal titolo dell'articolo di apertura: "Pillonca e l'uva (Ecce homunculus)".
Scrive Michela Murgia: "L’unica cosa che posso ipotizzare è che il suo fastidio trovi origine nell’invidia di piccolo cabotaggio che spesso prende i letterati di provincia che si ritengono ingiustamente sottostimati, una sorta di corrosivo malessere dovuto al fatto che un altro ha magari la visibilità che vorresti tu". C'è tutta la filosofia della "nouvelle vague letteraria sarda" e del Festival che a lei, cara Simona, tanto piace.
Per quello che lo conosco, non mi pare che Paolo Pillonca nutra sentimenti di invidia. Ma semmai ne provasse, mirerebbe alto. Che so? Gadda, Hemingway, Proust, Tolstoj, forse Satta. Non lo considererei più un amico, se provasse invidia per Michela Murgia o a qualche altro militante della "nouvelle vague letteraria sarda". E se non di invidia si trattasse, cara Simona, ma un semplice esercizio della libertà di criticare le cose che non vanno? Del resto, sa?, se critico il Festival di Gavoi non è per trasportarlo, che so?, ad Ollolai o a Lodine: è perché mi piacerebbe che a Gavoi ci fosse un Festival di confronto e non un avvenimento durante il quale noi mettiamo pane e formaggio e i forestieri i denti per mangiare.
[gfp]

G8: qualcosa di nuovo nella politica sarda

Lo spostamento del G8 da La Maddalena a L’Aquila (scippo è parola grossa, viste le motivazioni non banali, ma vada per scippo) ha suscitato in Sardegna una ondata di critiche e proteste bipartisan non consuete nel ceto politico sardo. Di regola, a sinistra si protesta contro il governo italiano di destra, la destra fa lo stesso, quando il governo è di sinistra. Pronti, l’uno e l’altro schieramento, a trovare una qualche giustificazione al “governo amico”.
Questa volta no. Basta leggere, possibilmente senza preconcetti, le prese di posizione da una parte e dall’altra, per rendersene conto. Si vedrà come il centro sinistra sardo ha dissentito dalla decisione di quello italiano di appoggiare la decisione del governo Berlusconi, come il Partito sardo (per altro contrario al G8) abbia contestato il senso colonialista dello spostamento, come il centro destra abbia criticato, anche con parole inconsuetamente dure, l’operato del governo. Purtroppo, nei commenti dei frequentatori di blog e di Facebook, hanno prevalso paradigmi ideologici (i politici sardi sono antropologicamente succubi) e stereotipi talmente radicati da non ammettere dimostrazioni del contrario.
Il problema è che per criticare con cognizione di causa, bisogna passare attraverso le noiose fatiche della conoscenza delle cose e, per esempio, attraverso la lettura dei documenti che, pare di capire, non sono comunque in grado di incrinare certezze più simili a verità rivelate che ad acquisizioni critiche. Ed è un peccato, perché così si perde la consapevolezza che qualcosa di importante è successo nella politica sarda, in cui un sentimento nazionale ha prevalso sull’appartenenza a schieramenti.
Dal centro sinistra al centro destra al sardismo non isterico e al nazionalismo le reazioni sono state diverse da quelle che normalmente ci si dovrebbe aspettare. Dal centro destra è venuta l’indicazione di denunciare la incostituzionalità del provvedimento governativo: quando nel consiglio dei ministri si discute di qualcosa che riguarda la Sardegna, deve essere presente il presidente della Regione e così non è stato. Dal centro sinistra è venuta una presa di distanza dall’apprezzamento venuto dal segretario del Pd e da quello della Cgil. Dal Psd’az, alleato del Pdl, è venuta prima una condanna del G8 in quanto tale e poi l’accusa di centralismo rivolta al governo di Roma. I no global sardi di Sardigna natzione hanno duramente polemizzato contro i no global italiani, pronti a fare della Sardegna un campo di Marte per battaglie che con la Sardegna e le nazioni senza stato hanno nulla a che fare.
Ciascuno secondo il proprio ruolo, dalla Sardegna è venuta una voce unica: va bene la solidarietà con l’Abruzzo, ma così com’è la decisione del governo non ci piace. Non so e credo non sapremo mai se un atteggiamento più remissivo dei ceti politici sardi avrebbe avuto lo stesso risultato che si è avuto, almeno negli impegni del governo italiano. I lavori in corso alla Maddalena continueranno, la strada Olbia-Sassari si farà, le strutture realizzate serviranno per futuri incontri internazionali.
Personalmente, se a qualcuno dovesse interessare, ho sempre considerato il G8 come un evento irrilevante, che si faccia sotto casa o nel corno grande della forca, con un occhio di riguardo se mai dovesse portare benefici alla Sardegna. Come alla fine dei conti forse succederà, indipendentemente dal fatto che Obama, Sarkosy e compagni alberghino alla Maddalena o all’Aquila. Resta l’insopportabile alterigia dello Stato nei confronti della Sardegna. Dico Stato e non Governo perché quasi tutto deriva dal non risolto rapporto fra l’Italia e la Sardegna.
Berlusconi ha spostato il G8, Prodi ha bocciato una legge sarda che parlava della sovranità del popolo sardo, Ciampi ha respinto una legge sulla lingua sarda, De Mita ha impedito la celebrazione del referendum popolare sulla base Usa di Santo Stefano. In questi ultimi casi, il ceto politico si è diviso fra i favorevoli al governo amico e gli oppositori al governo nemico. Questa volta, la protesta è stata corale. Forse è il segno che una campagna elettorale all’insegna della sardità ha lasciato qualche segno. Comunque sia, io preferisco vivere in una società in cui il cento politico se non amico non mi sia nemico, piuttosto che in una in cui so preconcettualmente come si comporterà lo schieramento tale e il suo opposto.
Piuttosto che irridere alle reazioni del nemico, preferisco capire se il mio avversario politico, per una volta, è in sintonia con me di fronte a scelte che tutti ci coinvolgono. Del resto, una società davvero autonoma e autogovernantesi, questi presupposti dovrebbe avere.

Nella foto: l'ex ospedale militare della Maddalena

venerdì 24 aprile 2009

Ad occhi chiusi e testa bassa, non si vede, caro Pittau

di Gigi Sanna

Caro Pittau,
penso ancora e sempre a coloro che ci giudicano e desiderano ‘risposte’, anche quando queste forse non sarebbero necessarie. Fare ‘la gara di un giorno’ non serve a nulla, proprio a nulla. La scienza per sua natura ha bisogno del durevole non dell’effimero. Di fatti non di parole. Per esempio non di quelle tue che tradiscono lo scopo inutile di ‘coprire’ in qualche modo le mie argomentazioni. Tuttavia per attestato di cortesia ‘nonostante tutto’ (con questa espressione cattivella stavi per rovinare veramente ‘tutto’) trovo un po’ di tempo per risponderti.
In primo luogo, vedo che hai avuto la saggezza di non replicare, neppure con una virgola, alle mie obbiezioni sulla presunta ‘specularità’ della tavoletta A1 di Tzricotu (e bada che io non ho parlato delle altre tre!), in seguito a quel capolavoro di osservazione del tuo amico archeologo - epigrafista. E’ già molto, questo tuo silenzio. Devo premetterlo. Per onestà. Quindi la prima tua ‘certezza’ non c’è più, dato che il tuo D’Oriano non ha ‘dimostrato’ proprio nulla.
In secondo luogo. Tu affermi che io non avrei messo nel mio ‘alfabeto’ (evidentemente alludi a quello pubblicato nel Blog di Gianfranco) il ‘segno’ (o i ‘segni’) che tu vedi come ‘fregi ornamentali’ nel documento che però, stavolta, hai il buon gusto (e direi anche la saggezza), di non interpretare (con atteggiamento di subalternità o totale passività che non ti si addice), come ‘longobardo’.

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giovedì 23 aprile 2009

Sessantamiza candeleddas


Oe custu blog at brincadu sas 60 miza bisitas. Comente narant sos napuletanos "'o scarrafone è bello a mamma sua". Deo, si mi pirmitides, li fatzo sos agùrios a su "scarrafone nostru"

Rincoglionirsi dietro ai Shardana

di Gabriele Ainis

Gentile sig. Pintore,
che fa, rivendica il diritto di alimentare il proprio blog che langue? Muore un giornalista onesto? Zero commenti! Una banca (mi verrebbe da dire ‘la banca’) isolana lucra sulla sventura altrui? Zero commenti!
Anche la lettura dei fregi sembra aver perso mordente, forse in attesa che ne compaia qualcuno ancora più fantasioso e surreale da gettare nell’arena della polemica. Chissà cosa vedremo in futuro, mai mettere un limite alla realtà, assai più surreale della fantasia.
Bene. Se il blog sonnecchia, c’è sempre un argomento principe che lo può improvvisamente risvegliare: i mitici sherdana.
Basta nominarli, che immediatamente fioccano i commenti: il lettore di fregi, lo scienziato turistico, qualche anonimo che insaporisce il brodo come un osso che non guasta mai, insomma una sicurezza. Bravo!
E poi? Adesso che ha finalmente dimostrato (secondo Lei) quanto eravamo forti e potenti quattromila anni fa (o tremilacinquecento, faccia un po’ Lei che sa di protostoria) si sente di aver dato un forte supporto all’identità culturale dei sardi?
Ma certo, voltiamoci indietro quanto più lontano possibile per ignorare le cose di oggi, possibilmente in un passato talmente nebuloso che i frustrati pseudostorici dilettanti, in cerca di una cena gratis, possano leggere ciò che fa comodo: che c’è di meglio di una gloria scomparsa per esorcizzare un disarmante presente?
Vorrebbe un commento sugli sherdana? E perché? Le pare più rilevante ciò che accadeva millenni addietro rispetto al fatto che il Puffo di Arcore viene a vincere le elezioni a casa nostra? O non sarà che mentre ci voltiamo indietro a rincorrere le sciocchezze di un inesistente passato porgiamo i glutei per farci presentemente trombare?
E non mi dica che cerco di insinuare il dubbio che i suoi argomenti siano un sonnifero per rivolgere l’attenzione altrove, distogliendola dai problemi (serissimi) dell’Isola di oggi, perché non è così!
Io non lo insinuo: lo affermo!
C’è chi ricoglionisce (mi passi il termine, lo amava anche Gadda) di fronte al Grande Fratello o all’Isola dei Famosi, Lei vorrebbe che ci rincoglionissimo di fronte all’importante e fondamentale disputa sui guerrieri sherdana.
A Lei sta a cuore la nostra terra? Le propongo una singolare metafora che non mancherà, credo, di intrigarLa. Sa cosa sono le Terre Refrattarie? Robaccia che si cava dall’Isola con qualche ruspa e pochi soldi, sabbiaccia di poca importanza. Vanno all’estero, scompaiono e si tramutano in ceramiche tecniche di costo spropositato generando fatturati miliardari (di euro, sig. Pintore). Ecco: mentre lei parla di lontani e inesistenti guerrieri cornuti, ci sfilano la terra di sotto i piedi, così, oltre che cornuti, restiamo anche mazziati.
É soddisfatto di questo? O non sarebbe meglio porsi il problema del perché non riusciamo neppure ad accorgerci che ci levano il terreno di sotto i piedi perché siamo occupati a guardare le stelle?
Mi dica, sig. Pintore, dove sono i fari culturali che ci indicano un’identità migliore di quella che ci vorrebbe con le ghette ai piedi a ballare tre mesi all’anno per deliziare i turisti? I lettori di fregi e gli ex professori che rispondono irati senza dimenticare di citare i propri libri? Il ragazzotto frustrato che non perde occasione per deliziarci con le proprie sconcertanti banalità? Lo sgrammaticato pseudostorico che non sfigurerebbe sul palcoscenico di Zelig?
É questa la cultura che lei difende?
Sì, le terre refrattarie fanno meno audience degli sherdana. Anche la progressiva riduzione delle libertà democratiche fa meno audience del grande fratello...
Sarà per questo che per avere qualche commento lei è costretto a parlare di Sherdana?

Gentile sig. Ainis, se lei per un attimo smettesse di pensare che la realtà è quella che vede guardandosi allo specchio, il dialogo procederebbe molto meglio. Questo blog (che l'assicuro non procede per spettacolarizzazioni) gode di ottima salute e si occupa di shardana come di banche e di cronisti fuori dal coro, come ha ricordato. Si è occupato anche di Berlusconi che, però, le confesso è l'ultimo dei miei incubi. Ne ho altri e riguardano, per esempio, la saccente intolleranza di chi vorrebbe dettarmi l'agenda di argomenti di cui occuparmi. Fatica inutile, del resto: in 47 anni di giornalismo ho resistito a ben altri tentativi di imposizioni. Qualche volta ho pagato con il licenziamento in tronco: ora non è più possibile. [gfp]

mercoledì 22 aprile 2009

Toh, chi si rivede: i Shardana

“I nuragici non erano il popolo dei Shardana: è questa la tesi dell’archeologo Alfonso Stiglitz” è l’incipit di un piccolo articolo pubblicato oggi su La Nuova Sardegna. Ed è quello che ha detto durante una conferenza ad Oristano, facendo notare come il dibattito sui Shardana, soprattutto negli ultimi anni, sia aperto e veda contrapporsi tre tesi fondamentali.
“La prima si basa sul fatto che i Sherdana siano arrivati in Sardegna dopo l’attacco all’Egitto ma, se non avvallata da profonde ragioni scientifiche che, comunque, trovano riscontro negli studi di eminenti professori, rischia di essere “fantarcheologia” come la definisce Stiglitz. La seconda tesi è quella occidentalista, secondo la quale i Sherdana erano i nuragici. La terza è quella che si potrebbe definire scettica, ossia la tesi che sottolinea come non ci sia nessun dato scientifico che per ora collega, in maniera definitiva e inconfutabile, i Sherdana con la Sardegna.”
Quest’ultima è la tesi di Stiglitz, assicura il cronista. Lo scetticismo è atteggiamento più soft della affermazione lampante fatta all’inizio dell’articolo, ma si sa lo spettacolo vuole la sua parte. Chi avrebbe continuato a leggere un testo che cominciasse: Alfonso Stiglitz non ha le prove che i nuragici fossero i Sherdana? Il fatto che si ricominci a parlare dei Sherdana e del loro rapporto con i sardi del XV secolo è comunque importante, come apprezzabile è il fatto che Stiglitz ribadisca la sua tesi, spesso detta su questo blog, secondo cui “il popolo che anticamente abitava la Sardegna aveva una propria specificità e non necessita di altre etichette per avere dignità storica”.
Apprezzabile, va da sé, purché non significhi che, data la dignità storica assodata dei nuragici, ogni altra specificità (come quella di esser stati i sherdana, per esempio) sia un di più superfluo e ininfluente. Considerevole è anche il fatto che, mi pare di capire, l’amico Stiglitz attenda dati scientifici per ritenere inconfutabile il collegamento Sardegna-Shardana (o Sherdana come preferisce chiamarli). Insomma, non è pregiudizialmente contrario.
Il problema è capire che cosa egli chieda in fatto di “dati scientifici”. In Internet ce ne sono quanti se ne vuole. Sono quelli secondo cui i shardana venivano da Sardis (curioso popolo questo, girava per il Mediterraneo trecento anni prima che fosse fondata la città che gli dette il nome)? Stiglitz ne bolla la veridicità come “fantarcheologia”. Ma sono anche quelli che attestano l’equivalenze Sherden/Sherdana/Shardana = Sardinians. E, soprattutto, dati scientifici – posto che tali non consideri quelli forniti da Sergio Frau e dai libri di Leonardo Melis – sono quelli di Giovanni Ugas.
Il fatto che ancora non sia stato pubblicato il libro a cui da anni lavora, non toglie che dati ne abbia fornito, e non pochi, in interviste, in scritti, e anche in un intervento su questo blog. Personalmente non apprezzo affatto la puzza al naso che l’archeologia ufficiale prova di fronte a scritti di non addetti ai lavori, anzi la trovo piena di inutile prosopopea, dannosa per la ricerca che, per definizione, deve essere libera. Ma Ugas è un addetto ai lavori, anche se pericolosamente per lui, non allineato. Non sarebbe male se i “dati scientifici” di Ugas, invece che ignorati in una lotta interprofessionale incomprensibile, fossero discussi. Magari per trovarvi motivi di scetticismo che, a quel punto, non sarebbe preconcetto.

Nel disegno: Rilievo di Medinet Habu in Egitto, prigionieri. a) Ittita, b) Amorita, c) Tjeker, d) Shardana, e) Shekelesh, f) Teresh

martedì 21 aprile 2009

Quando muore un cronista

Tonino Piredda, cronista delle pagine nuoresi di L'Unione sarda, se ne è andato. E con lui una maniera di fare giornalismo di cui, purtroppo, si è perso lo stampo. Aveva di questo nostro mestiere una idea giusta: suo compito è informare, a formare ci devono pensare la chiesa, la scuola, il partito.
Nella stampa sarda (ma non è, questa, una specialità nazionale), convinta che suo impegno sia quello di convincere il lettore, e pazienza per l'informazione, ci stava stretto. Tonino aveva, ovviamente, una sua idea politica, ma non si capiva quale fosse, leggendo le sue cronache. Pensava, giustamente, che non interessasse e separava nettamente dal commento, la notizia che lo spingeva a scrivere. E siccome era intellettualmente libero, non aveva nicchie politiche intoccabili.
Oggi, quel suo modo di fare apparirebbe curioso e originale a chi è abituato a sorbirsi righe e righe su che cosa il cronista pensa di un fatto che, bontà sua, alla fine si degna di raccontare. Giornalista fuori tempo e, per questo, attualissimo in una società dell'informazione con parvenza di normalità. Che, purtroppo, però, non è questa.

lunedì 20 aprile 2009

Le fissazioni di Brunetta: specialità delenda est

Rieccolo Brunetta con il suo pallino di abolire le regioni speciali, rendendo speciali tutte le 20 regioni della Repubblica e quindi nessuna speciale. Questa sua fissazione riemerge, come un fiume carsico, di tanto in tanto, ogni volta che si accorge che nel suo libro mastro di buon ragioniere, il dare e l’avere non tornano. Intendiamoci, dal punto di vista contabile ed economico, Renato Brunetta non ha torto.
Le attuali Regioni a Statuto speciale” dice il ministro “sono istituzioni della Repubblica che per 50-60 anni hanno, chi bene, chi meno bene, goduto di un vantaggio finanziario. Molti l’hanno usato bene, altri meno bene. Con il federalismo e il federalismo fiscale che stiamo realizzando, avremo tutte regioni a statuto speciale. Si giocherà non più sui trasferimenti maggiori, ma sull’efficienza, la qualità, la trasparenza, la produttività.” Ci sarebbe, a questo punto, da chiedersi, come ha fatto Paolo Maninchedda nel suo blog, che cavolo ci sta a fare, allora, questa “Unità della Repubblica” cui molti, penso anche Brunetta, tanto tengono.
Le nazioni diverse dall’italiana (insieme alla sarda, la sudtirolese, la slovena, la friulana, la ladina, la valdostana) stanno nella Repubblica unitaria perché questa ha assicurato loro, in Costituzione, che avranno una tutela differenziata: altrimenti, perché dovrebbero? Perché non dovrebbero cercare e trovare casa o per proprio conto o in altri stati europei che almeno parlano la stessa lingua? Il fatto è che, non so con quale consapevolezza, Renato Brunetta mi pare figlio di una cultura vetero marxista, quella stessa che impose ai Costituenti italiani una visione economicista delle autonomie.
Si “concesse” l’autonomia alle regioni, definendole speciali, non per le loro peculiarità linguistiche, culturali, storiche, identitarie, ma per ragioni economiche o geopolitiche. O per obbligo internazionale, nel caso della Valle d’Aosta, della Venezia Giulia, del Sud Tirolo, o per paura della rinascita del separatismo siciliano o, nel caso della Sardegna, per colmare un deficit di sviluppo. Se davvero fossero questi i fondamenti della specialità, Brunetta avrebbe una qualche ragione nel pensare superati i motivi delle peculiarità economiche e geopolitiche. Del resto non è il solo a pensarla così. Ieri, sulla Nuova Sardegna, Andrea Pubusa ha confermato che “la posizione del ministro in realtà esiste in continente non solo nell’area della destra, ma anche negli ambienti giuridici democratici, con i quali ho spesso polemizzato. Dicono in sostanza che le ragioni della specialità sono venute meno, quindi tutti vanno trattati allo stesso modo perché la specialità si configura come una posizione corporativa. Ma non considerano, per quanto riguarda almeno la Sardegna e in parte la Sicilia, che la ragione della specialità non è superabile e che resta, per tutte le implicazioni che questo comporta, anche la necessità di difendere il patrimonio culturale e identitario, che esiste dappertutto ma che altrove non è paragonabile a quello delle Regioni speciali”.
Questo è, infatti, il punto. Le ragioni della specialità non sono solo economiche, forse non lo sono affatto se si pensa a terre come la Calabria regione non speciale, ma soprattutto nazionali, nel senso che la peculiarità attiene a nazioni diverse da quella italiana. Per quanto riguarda la Sardegna, neppure il riconosciuto svantaggio derivante dalla sua insularità è elemento primo della specialità. Mai capiti, ma se anche un domani a qualcuno venisse in mente di unire con ponti la Sardegna all’Italia, la sua specialità e unicità non verrebbe meno.
È necessario a questo punto, però, trasformare in norme di rango costituzionale quel che in Sardegna è ormai una visione maggioritaria dei fondamenti della nostra specialità. Sia nel programma di chi ha vinto sia di chi ha perso le elezioni di febbraio, la necessità di un nuovo statuto speciale è avvertita come prioritaria. In entrambi i programmi la questione della identità è centrale. L’insistenza di Brunetta potrebbe essere utilizzata per dare una accelerazione a questo processo di riscrittura.

venerdì 17 aprile 2009

E la banca tassò la solidarietà



Un amico mi ha mostrato, e fatto fotografare, il documento riprodotto qui sopra. In un giorno di Dicembre dello scorso anno, a un mese dalla devastante alluvione di Orosei, il mio amico sottoscrisse 30 euro a favore delle persone che avevano subito danni davvero considerevoli.
Mai avrebbe immaginato che questo suo atto di solidarietà dovesse essere tassato dalla banca con un addebito di 82 centesimi di euro, quel che una volta erano 1.600 lire. Sappiamo bene che una banca non è una istituto di beneficenza e che, insomma, fra il Banco di Sardegna e le Dame di San Vincenzo c'è una qualche differenza. Ma profittare di una sciagura come è stata quella di Orosei nell'autunno passato è un po' troppo.
Non so quante centinaia di persone si siano servite di un bonifico per dare una mano agli alluvionati e quanto, così, il Banco di Sardegna di abbia lucrato, né so se questo del tassare la solidarietà sia costume diffuso fra le banche. Se lo fosse, l'immagine un po' retro del banchiere con sembianze di avvoltoio acquisterebbe un sapore di verosimiglianza.

Caro Sanna, son solo fregi ornamentali

di Massimo Pittau

Caro Gigi Sanna,
L’immagine della tavoletta di Tzricottu che tu hai pubblicato di nuovo è così chiara, che ormai senza alcuna ombra di dubbio mi sono convinto che essa contiene solamente fregi ornamentali, mentre non contiene alcun segno di scrittura. Tanto è vero che nessuno di quei segni ornamentali corrisponde ad alcuna lettera degli alfabeti medio-orientali che tu di volta in volta sei solito mettere avanti. D’altronde sull’argomento tu hai fatto una grande virata: prima avevi presentato i segni della tavoletta come quelli dell’alfabeto tutto ed esclusivamente “nuragico”, poi hai finito col connetterli con alcuni, anzi troppi, alfabeti medio-orientali.
Circa la questione della simmetria bilaterale di quella che tu interpreti essere un’iscrizione, c’è da considerare e precisare che in nessuna scrittura si ha mai la retroformazione contigua di una sequenza spaziale di grafemi o lettere, dato che in nessuna lingua si ha mai una analoga retroformazione contigua di una sequenza temporale di fonemi o suoni vocali.
La ripetizione e il raggruppamento della lettera M in due piramidi di nove e di sette lettere, che tu hai presentato nella tua lettera, non è affatto un discorso epigrafico e tanto meno linguistico, mentre non è altro – come tu stesso l’hai chiamato – che un lusus scrittorio, un gioco che assomiglia molto ai castelli fatti con le carte da gioco. E infatti la lettera M può essere l’abbreviazione di Massimo e di Maria, ma anche di mare, monte, movimento, morte, Montalbano, Malaga, Montevideo, Mississipi e di altre migliaia e migliaia di vocaboli di molte lingue, senza che si possa capire a quale di questi vocaboli la lettera M esattamente si riferisca.
Però nella tua lettera hai tralasciato di rispondere alla mia obiezione fondamentale, quella relativa al punto debolissimo delle tue argomentazioni: perché nei tuoi studi e nelle tue pubblicazioni hai ignorato completamente ciò che sulla lingua nuragica ha scritto la glottologia o linguistica storica negli ultimi 8O anni? Snobbare ciò che ha scritto Massimo Pittau nel suo libro, di 232 pagine, «La Lingua Sardiana o dei Protosardi» (Cagliari 2001, Libreria Koinè Sassari), pazienza (mi ci sono adattato senza fiatare); ma snobbare una dozzina di linguisti titolari di cattedre universitarie che si sono interessati della lingua nuragica o sardiana, non ti sembra un atto di presunzione, che poi ha avuto ed ha le sue ovvie conseguenze?
Nonostante tutto, sempre con cordialità

mercoledì 15 aprile 2009

A lezione di scrittura nuragica

di Gigi Sanna

Il 14 maggio alle 18.30 comincia nella sede della Associazione culturale "G. Pirina" di Oristano un mio Corso sulla scrittura nuragica. Il Corso che proseguirà con altre due lezioni, sempre nel mese di Maggio, continuerà con altre 9 che si terranno, sempre di Giovedì, con cadenza settimanale, nei mesi di Ottobre e di Novembre.
Il corso avviene dietro diretta e pressante richiesta di molti appassionati e studiosi che hanno partecipato alle conferenze tenute in numerosi centri dell’Isola (Abbasanta, Cabras, Bosa, Sindia, Cagliari, Sassari, Marrubiu, Mogoro, Ales, Ninnai, Oschiri, Tortolì, Sanluri, Oristano, ecc, Università, Scuole secondarie, Università della Terza età, Circoli culturali, Sedi di Gruppi archeologici.

Per vedere il programma

martedì 14 aprile 2009

Custu biazu de sa limba sarda, a ube andat?

de Mario Antiogu Sanna*

A ube andat a finire sa limba sarda isparghida in deghe ribos defferentes? Pruite no cherimus cumprender chi gherrande contra de nois matessi, tra limba sarda campidanesa e limba sarda comuna, no andamus a perunu logu? Pruitte semus semper terracos de sa limba italiana?
Soe meda in pensamentu pro su benidore de sa limba nostra e cheret nadu, puru pro su traballu “onestu” de sos operadores “onestos” chi in sos isportellos (o ufitzios), ant fattu su dovere issoro.
Sa limba sarda pro sighire a bivere e a creschere devet intrare in sas Iscolas e in sa Televisione, in sa Radio e in Internet.
Semus sardos primu de tottus, ma esser sardos, no cheret nare no a esser petzi italianos o petzi tzitadinos de s'Europa e de su mundu. Chi faeddat (e iscriet o su nessi bi che provat) in sardu, est una pessona chi giughet una ricchesa manna intro a s'anima e a cussentzia sua: unu “surplus” de autocoscientzia”.
Deo chi soe pro metade logudoresu e pro metade campidanesu, no mi che ponzo nemmancu su problema limbisticu: faeddo e iscrio in logudoresu (meda puru in sa LSC), ma cumprendo puru su campidanesu, ca sa “forma mentis” chi tenzo, mi pirmittit de aberrer sas origlas e de proare su nessi a cumprender su chi mi sunt nende.
Meda bortas apo intesu dae sos dozentes unu dimanda chi deo agatto meda banale: “de accordu pro su sardu in iscola, ma cale sardu”?
E cun custu alibi, si sighit a faeddare de sa limba sarda in limba italiana...
Deo penso chi sa faeddadas de sas biddas, depent a esser tuteladas non petzi in domo, ma finas in iscola, mancari chi chi su compitu de s'Iscola est cussu de mezorare sas cumpetenzias de sos piseddos in calisiat materia. Pro sa limba sarda, aisettende chi calicunu comintzet a iscrier deabberu liberos “didatticos” in sardu, comintzamus a fagher connoscher sos condaghes e carchi ateru documentu antigu, ca sa limba sarda “amministrativa”, meda no l’ischint, ma at lompidu dae meda sos 1000 annos, no duas dies!!!!
E petzi faghimus, imparare a sos piseddos (o pitzinnos), puru sas poesias, sas pregatorias, sas paristorias....
Est ora de pesare sa conca a chelu, est s’ora de l'agabbare cun sas brigas e sas “malas trassas”, est ora de dimandare, arziande puru sa boghe, a chie contat de daer logu (e puru dinari) a chie cheret traballare deabberu pro sa limba sarda.
Petzi torrande a impreare su sardu in onni cuntestu, ma innanti a tottus pro s'informatzione e sa cultura in sos medios de comunicatzione, amus a fagher carchi cosa de mannu pro salvare sa limba de sos iaios nostros. E si calicunu no est in accordu, chi lu nerzat una borta pro tottu, ma chi l'agabbet de fagher su mortore de sa limba, leandesi a sa cua sos dinaris “de e pro” sa limba sarda.
Faghimus bider nessi pro una borta, chi semus “unu popolu cun una limba”, mancari bi siant treghentos biddas chi faeddant in manera defferente; faghimus bider chi semus un'anima sola; faghimus bider chi semus unu popolu; faghimus bider chi semus nois, sos “meres” de sa limba nostra. Lassamus a un'ala sa “tendentzia” nostra de esser sempre “terracos”. In custa batalla pro sa limba no si depet narrer “se Deus cheret e sos carabineris lu permittint”!!! Semus nois chi li depimus cherrer e depent a esser sos amministradores a lu permettere cun d’una Leze fatta “ad hoc”.
Ca si no faghimus nudda nois, paris cun issos, su biazu de sa limba sarda, est unu biazu destinadu a s'atoppare cun sas limbas mortas; comente narat su diciu: «S’andada de su fumu!»

* Resp. ULS de su Comune de Sindia

lunedì 13 aprile 2009

Cultura, identità e Mister Ainis

di Francu Pilloni

Ho seguito con interesse gli ultimi post del blog che così gentilmente ci ospita e ci dà modo di scambiare i pareri, e qualche volta gli insulti, quasi in diretta, rispettando i tempi e gli impegni di ciascuno. Sono tornate a galla le questioni di sempre, della lingua, della letteratura, della storia, dell’identità del popolo sardo, sempre che sia ancora “popolo” o “nazione”, non solo un segmento del pubblico indistinto al quale è rivolta una comunicazione commerciale. “Su populu sardu” come target, appunto, con solamente alcune specifiche chiavi d’ingresso.
Tutti i temi che di volta in volta vengono affrontati con veemenza spesso inversamente proporzionale all’acutezza delle osservazioni (non nego di essere stato io stesso un campione di esagerazione), risultano facce diverse dello stesso poliedro, considerate per se stesse, delimitate negli e dagli spigoli che le racchiudono, ignare delle altre rappresentazioni attigue e/o opposte che comunque formano tutte insieme una realtà unitaria e complessa, come può essere la cultura, anche quella sarda che notoriamente ha la c minuscola.

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sabato 11 aprile 2009

Idea: perché non intitolare a Moratti il Golfo di Cagliari?

di Pierluigi Montalbano

Premetto che non sono pro o contro i feniciomani ma..
Sapete che la storia dei Fenici è stata ricostruita da noi occidentali? L'archeologia in Fenicia (cioè nell'attuale Libano) ha rinvenuto qualche tomba, un paio di templi, qualche sarcofago antropomorfo (peraltro di fattura greca) e... basta, nient'altro. Per sapere cosa ha fatto questo strabiliante popolo bisogna cercare in Occidente dove, intorno all’800 a.C., iniziano a comparire piccoli centri di appoggio ai commerci dei Tiri (gli abitanti di Tiro che, spinti dagli Assiri che li sottoponevano a pesanti tributi, dovettero cercare alloggio altrove) che crearono dei fondaci a Cadice (Spagna), Cartagine (Africa del nord), Sardegna, Baleari (anzi no, solo ad Ibiza perché le Baleares erano sotto il controllo dei Talaiotici), Sicilia e Malta
Tutta la loro potenza (dei fenici) si manifestò solo quando Cartagine divenne una città che controllava militarmente i commerci navali
Non si hanno notizie (letterarie, archeologiche o leggende) che parlano dei fenici come di una popolazione bellicosa. Si integravano sempre (e ripeto sempre) con gli indigeni offrendo manufatti finiti e anfore contenenti olio e vino in cambio di metalli
In sostanza, la civiltà fenicia è pacifica! Quella punica è ben altra cosa, allora propongo che si parli della differenza sostanziale che esiste tra i fenici, amici degli indigeni, e punici, militari agguerriti
Dunque Golfo dei Fenici è un nome che con i sardi e la Sardegna c'entra ben poco: è come se domani chiamassimo il Golfo di Cagliari col nome di Golfo di Moratti!

venerdì 10 aprile 2009

Archeologia: chi controlla i controllori?

di Valeria Cannas

Continuamente si rinvengono reperti archeologici, molti dei quali hanno grande importanza, poiché rivelano e illuminano punti ancora oscuri della storia. Spesso chi li ritrova sono pastori e agricoltori, che il più delle volte non ne colgono l’importanza e inconsapevolmente li lasciano sul campo o al bordo delle siepi, altre volte sono operatori meccanici dell’edilizia che ricoprono il tutto, per evitare le traversie burocratiche, per la severità della legge sulla tutela dei beni archeologici, alle quali si andrebbe incontro, con perdite di tempo, lavoro e soldi. Poi ci sono purtroppo i tombaroli che sconvolgono la stratigrafia del sito per recuperare solo quanto abbia più di valore, per averne un tornaconto economico. Tutti questi casi sono certamente deplorevoli, ma una qualche scusante, pur non approvandola, la si può intravedere.
Altri casi, molti dei quali non se ne saprebbe niente, se non come questi ultimi che stanno animando il dibattito di questo recente periodo, sulla stampa e in questo Forum.
Questi ultimi casi sono perpetrati da coloro che dovrebbero divulgare e valorizzare quanto è proprietà dello Stato, quindi di tutti noi, che paghiamo le tasse per pagare anche costoro. Interferiscono con i sindaci, democraticamente eletti e rappresentanti lo Stato stesso, che si adoperano per valorizzare quanto il loro territorio restituisce dopo millenni di oblio.
I primi, pastori agricoltori e tombaroli, se scoperti possono incorrere nei rigori delle legge; i secondi, i sindaci, se sbagliano vengono osteggiati dalla opposizione politica o puniti dal popolo non rieleggendoli.
Ma questi ultimi, deputati a tutelare il patrimonio storico-archeologico, chi li controlla? chi li può portare ad un democratico contraddittorio scientifico? Eppure hanno la prerogativa di interdire chiunque con una semplice telefonata, nascondere, di esporre, di pubblicare, spesso con la sola loro visione della storia, o in ben calcolati tornaconti intellettuali .

giovedì 9 aprile 2009

Ci meritiamo di più di certa robaccia

di Gabriele Ainis

Gentile sig. Pintore, ho apprezzato che lei abbia voluto rispondere alla mia osservazione in merito alla pochezza di certa robaccia che si vorrebbe spacciare come cultura sarda. Mi permetta di apprezzare meno il suo preteso non capire a cosa mi volessi riferire, visto che prima della mia noticina si era appena materializzato un esempio eclatante di quanto vado dicendo.
Non vorrei che si rimanesse nell’equivoco o si scadesse nella farsa: se Lei non ama rispondere a questa categoria di domande, o non vuole farlo, è un suo diritto. Del resto ci troviamo a casa sua (ed io, da maleducato, mi sono autoinvitato).
Tuttavia le rinnovo la mia richiesta e le suggerisco uno spunto di riflessione: questa mattina, alle otto in punto, il canale della radio di stato dedicato all’informazione parlamentare ha diffuso, come avviene quotidianamente, i titoli delle prime pagine delle principali testate nazionali. Un momento particolare: la vicinanza alle vittime della tragedia abruzzese. Dunque una lista infinita, dal Piemonte alla Sicilia. Mancavano solamente l’Eco di Roccacannuccia, l’Urlo di Bagnatica ed un qualunque accenno ad un quotidiano sardo. Sai la novità!
Immagino che non sia un problema: tanto noi parliamo in limba.
Mi scuserà, ma continuo a pensare che ci meritiamo qualcosa di meglio.


Caro Ainis, come avrà notato l’ingresso a quel che lei chiama casa mia è assolutamente libero. Non c’è alcun bisogno di bussare, si entra e basta, senza alcun controllo preventivo di quanto si scrive: non si senta autoinvitato né maleducato, è benvenuto. Ciò detto, le confesso che avevo capito a chi si riferiva, quando parlava di “certa robaccia”, ma mi illudevo che così non fosse.
Lei chiama “robaccia” i libri di Leonardo Melis e, mi par di capire, altri scritti del genere. E su questo divergiamo in maniera abissale. A me interessa poco se Melis scrive cose condividibili, ma mi interessa molto sapere – da lei e da una folta schiera di scettici – se egli abbia o no il diritto di avanzare tesi, senza correre il rischio della scomunica. Non so se lei abbia letto i libri sugli shardana scritti da Melis. Io l’ho fatto e vi ho trovato una mole impressionante di dati, riferimenti storici, esame di documenti autentici. Si tratta, insomma, di tesi fondate su una conoscenza non comune.
Mi convincono? Alcune cose sì, altre no, altre forse. Ma è l’ultima delle mie preoccupazioni. Mi fanno riflettere su alcuni aspetti non marginali del rapporto fra la codificazione della storia, la refrattarietà dell’accademia a rimettersi in discussione, la propensione di tanti a chiudere la porta alla ricerca che non abbia il bollo tondo degli “addetti ai lavori”. Se questa propensione fosse stata vincente, ancora oggi saremmo probabilmente convinti che la città di Troia sia una invenzione poetica di tal Omero. Avrebbe vinto la incredibile protervia della Baronia archeologica francese che per quasi ottanta anni aveva messo la prua contro gli straordinari ritrovamenti archeologici nel villaggio francese di Glozel, definiti per 80 anni dei falsi souvenir per turisti. Potrei continuare ancora a lungo, ricordando, per esempio, la bizzarra tesi secondo cui i sardi abbiano dovuto attendere migliaia di anni, sino all’arrivo dei fenici, per imparare a viaggiare per mare.
Quel che per lei è “robaccia”, per me è terreno di scoperta, pronto, va da sé, ad arrendermi all’evidenza, ma solo quando questa sia dimostrata in modo inoppugnabile con una dovizia di dati pari almeno a quelli che si contestano. In archeologia e, naturalmente, in tutti gli altri domini della conoscenza e della cultura, l’una e l’altra, per fortuna, in continua evoluzione e poco inclini alla contemplazione dei rispettivi ombelichi.
Lei infine lamenta la nulla considerazione riservata alla stampa sarda nella tragica vicenda del terremoto di L’Aquila. Ha ragione, naturalmente, a lamentarsene. Ma che c’entra la lingua sarda? Forse non legge i quotidiani stampati in Sardegna (sardi è una parola grossa), altrimenti si sarebbe accorto che non sono scritti in sardo e che alla mania dei sardi si parlare la propria lingua non può essere imputata la scarsa considerazione di cui gode la stampa prodotta in Sardegna.
[gfp]

martedì 7 aprile 2009

Simmetrica la tavoletta di Tzricotu? Non scherziamo

di Gigi Sanna

Giustamente due lettori di questo Blog hanno protestato, di recente perché, sui temi dell’archeologia (ma non solo, direi), non esiste una vera e propria dialettica costruttiva. Certi studiosi infatti manifestano la tendenza a rispondere alle argomentazioni e alle ‘critiche’ in modo non tanto da soddisfare la curiosità e le legittime aspettative dei lettori quanto per gettare discredito (e talora fango) sull’avversario, soprattutto contro chi non rispetta una certa ortodossia. Ho cercato di rispondere brevemente (ma vedo che lo ha fatto anche Gianfranco Pintore) ai motivi per cui questo accade. Molto, molto altro si potrebbe dire.
Se ora ritorno ai motivi del contendere tra me e Massimo Pittau non per è desiderio di rivalsa o per cercare di avere l’ultima parola ma perché io credo che la curiosità di ‘sapere’ e di farsi un’idea precisa da parte dei due predetti lettori (e penso di tanti altri) debba essere soddisfatta. Essa sarà stata sollecitata, io penso, già all’inizio dell’intervento di risposta al mio articolo di ‘critica’ riguardante il libretto dello studioso dell’Università di Sassari sul Sardus Pater e sul Tempio di Monti Prama. Dice infatti Pittau che io non dovevo ‘prendermela’ con lui ma con il d’Oriano ed il Serra.

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lunedì 6 aprile 2009

Fois: fatelo tu un festival in lingua sarda

di Marcello Fois

Ho letto il tuo commento preventivo al prossimo festival di Gavoi e mi sono definitivamente convinto che il tuo problema sia di ottenere il massimo dei risultati col minimo lavoro, niente infatti ti vieta di organizzare il tuo festival in Limba de linna non pintada, se non il fatto che c'è troppo lavoro da fare e quindi è meglio sfruttare il lavoro fatto da altri.
E' un modello spaventoso e folklorico che la dice lunga sul tuo presunto modello di tolleranza. Mettetevi al lavoro e fateci il culo a noi di Gavoi con la Sardegna vera non con quella colonizzata e finta.

Preventivo sì, prevenuto no. Ho commentato una notizia su indiscrezioni fintamente dal sen fuggite apparsa sull'Unione sarda. Non so perché non hai capito il senso del commento e dunque lo rendo più semplice: non vorrei sostituire a un festival monocorde un altro monocorde. Desidererei un festival in cui le letterature possano confrontarsi. Perché non lo faccio io? Non ho le necessarie entrature politiche. Comunque, libero tu di fare quel che fai, libero io di criticare. [gfp]

sabato 4 aprile 2009

Primavera: spuntano le margherite e l'Isola delle storie (altrui)

Puntuale come le rondini il giorno di San Benedetto e le pecore di ritorno dalla transumanza, ecco il nuovo Festival letterario di Gavoi, L'isola delle storie. Altrui, va da sé. Si presenta, anche quest'anno, con il suo carico di linna pintada per far vedere ai villici sardi quanto grande sia e di che cultura grondi ciò che fuori di quest'Isola si produce. Si produce in fatto di letteratura, va da sé, perché - questo mica lo negano gli organizzatori - anche noi sappiamo produrre: formaggio, vino, abardente, pecora con patate e sa caule gavoesa, e altre cose pittoresche.
Uno scambio alla pari, insomma: loro portano la cultura e la letteratura, noi cibi genuini che piacciono tanto a chi viene da fuori a visitare questi sardi, autentici nella loro naturalità non contaminata dalla cultura moderna, quella con la C d'esportazione. Altre volte sono stato accusato di vittimismo e di invidia. Invidia di che non lo so, certo non di chi viene esibito sul palco o per le strade come un fenomeno da toccare per appurare se è proprio vero che un personaggio famoso si è degnato di mescolarsi a mangiatori di Fiore sardo e di pecora in cappotto. Nè invidia di chi ai personaggi esibiti dà del tu.
Vittimismo? No, solo incazzatura contro i miei compatrioti e me stesso che protestiamo, questo sì, per operazioni di vetero colonialismo, senza avere la forza e la capacità di contrapporre un luogo di vero confronto fra culture e letterature ad una inculturazione del buon selvaggio. Contento perché, è vero non produce letteratura come in Continente, ma è forte nella produzione di formaggio e vino, olio genuino e pane curioso, quello che quando lo mastichi fa musica. L'unica, del resto, che qui valga la pena di ascoltare.

venerdì 3 aprile 2009

Sos primos istrìulos de su Movimentu pro sa limba

S'est riunidu su 29 de martzu 2009, in Bilartzi su comitadu impinnadu a promòvere su Movimentu Limba Sarda. Obietivu suo: Sa limba sarda e is àteras limbas reconnotas dae sa L.R. n.26 e dae sa L. 482, gadduresu, tabarchinu, tataresu, catalanu de s'Alighera, depent tènnere ufitzialidade prena e efetiva in onni àmbitu e usu in sa sotziedade e in su territòriu.
In sa riunione fata cun tantos espertos, operadores e diretores de ufìtzios de sa limba comunales e provintziales, intelletuales, scritores e studiosos de lingua sarda, s'est detzisu de promòvere paritzos atòvios cun autoridades cumpetentes in matèria de lingua sarda, a livellu regionale e cun is sìndigos de totu sa Sardigna.

In Facebook si gollint firmas pro "Su sardu ufitziale in totuve".

giovedì 2 aprile 2009

Bandiera, stemma e "questioni devianti"

Bustianu Cumpostu est sa prus mente fine de su movimentu indipendentista in Sardigna. E non mi tropedit in s’istima su sentidu de amighèntzia chi nd’apo. Ispantat, pro custu, su papiru chi eris at bogadu pro cuntrastare s’issèberu de sa Regione sarda de torrare a s’istemma suo natzionale. Deo nd’apo un’àtera idea, nd’apo iscritu s’àtera die, e non torro a pistare aba.
No est custu giudìtziu, craru, chi ispantat. In polìtica totu est legitimu pro brigare sos aversàrios e, antis, est de pretziare in bonu s’istima chi Cumpostu tenet pro sa pandela natzionale, segàndela in curtzu cun sos issolòrgios de chie nde diat chèrrere una càmbia. Ma Cumpostu narat àteru chi a mie mi paret a grabu de torrare in palas a sos annos chi totu su chi non punnaiat a crèschere in primis s’economia e su traballu, fiat “deviante”, una cosa chi essiat dae sa norma sotziale ghetada che pregone dae s’una de su Pci, e non sa mègius.
Narat s’amigu Bustianu: “La chiusura delle fabbriche, il Sulcis allo sfascio, la perdita di 1700 cattedre nella scuola, la mancata realizzazione della strada Olbia-Tempio sono inezie rispetto a un altro grave impedimento che turbava il sonno dei sardi, quello dello stemma ufficiale della Regione Sarda”. Proamus a lèghere custas allegas cun pagos càmbios: “La chiusura delle fabbriche, il Sulcis allo sfascio, la perdita di 1700 cattedre nella scuola, la mancata realizzazione della strada Olbia-Tempio sono inezie rispetto a un altro grave impedimento che turbava il sonno dei sardi, quello del bilinguismo” o, finas, “quello della Die de sa Sardigna” o, galu, su de cale si siat cosa punnet a isorvere chistiones non econòmicas.
Cumpostu, e cun isse totu sos chi ant gherradu pro sa limba, amus intesu s’iscomùniga de chie nos incausaiat de pesare chistiones “deviantes”, deviantes dae su Pranu de Renàschida, deviantes dae sa crisi de sa Peltrochìmica de Otzana o de Assèmeni, deviantes dae sa crisi de su pastoriu, deviantes, pro la fàghere curtza, dae una norma giusta chi non fiat ogetiva, ma prus a prestus pregonada dae chie pessaiat de tènnere semper resone.
Si Cumpostu e totu sos àteros nos fiamus rèndidos a custas iscomùnigas, sa pelea pro sa limba sarda fiat meda ma meda peius posta de oe. Custu est ladinu. E tando it’est sa chistione? Chi su guvernu sardu, impreende deghe minutos pro deliberare in contu de istemma natzionale, at dogadu deghe minutos a s’atentu chi pedint sas chistiones econòmicas? Craru chi nono. Craru chi la tenet cun s’issèberu de torrare a sa Regione sarda s’istemma suo de in antis.
Fiat mègius cussu isseberadu dae su guvernu Soru in una delibera de su fevràrgiu 2005? De acordu. B’at petzi una chistione de minutallas chi, però, contat issa puru. Su 25 de ghennàrgiu 2005, su guvernu sardu at aproadu unu disinnu de lege pro fàghere legale su càmbiu. Finas a como, nessi a su che resurtat dae su situ de su Cussìgiu regionale, su disinnu de lege no est istadu bortadu in lege e, duncas, cussa delibera est sena balore. Sunt mègius sos bator moros ma no s’istemma betzu? Eja.
Bastat de torrare a presentare una proposta de lege a su Cussìgiu. Bastante siat craru chi sa Sardigna, che a àteras natziones sena istadu che a Euskadi e che a meda istados che a Itàlia, devet tènnere e siat sa pandela natzionale (cussa detzìdia cun lege in su 1999) e siat un’istemma de sa Regione autònoma. Su chi timo est chi, tando, carchi unu si peset a nàrrere: “La chiusura delle fabbriche, il Sulcis allo sfascio, la perdita di 1700 cattedre nella scuola, la mancata realizzazione della strada Olbia-Tempio sono inezie rispetto a un altro grave impedimento che turba il sonno dei sardi, quello dello stemma ufficiale della Regione Sarda”.