lunedì 10 maggio 2010

Unità d'Italia: istruzioni per l'uso

Prepariamoci ad un anno di retorica e ridondanza. Quelle messe in piazza dai Fini, dai Franceschini, dai Casini fino ad ora sono una pallida idea del crescendo che ci aspetta in tema di unità d'Italia. Il presidente della Repubblica mi pare abbia avvertito il rischio e così lo esorcizza: “Retorica sarebbe una rappresentazione acritica del processo unitario, che ne lasci in ombra contraddizioni e insufficienze per esaltarne solo la dimensione ideale”. Ma anch'egli, nei suoi primi interventi, da la sensazione che – come dice Francesco Cesare Casula – l'Italia sia “l'unico Stato nel mondo che non vuole sapere quando è nato, dov'è nato e qual è la sua storia”.
Parla di Piemonte come sinonimo di Regno di Sardegna e come destinatario del movimento dei volontari provenienti dagli stati austriaci, pone la nascita dello Stato unitario nel momento in cui il Regno di Sardegna, del resto già unitario, cambia semplicemente nome. Parla addirittura di “nuovo Stato”. La storia e soprattutto i documenti dicono altro. E se una persona di grande equilibrio, conscia del fatto che la retorica è dietro l'angolo, così dice, figurarsi che cosa può venir fuori dai retori di terza fila. Vengono fuori espressioni come “Roma capitale è una montagna di luce che illumina ventisette secoli” (Ferdinando Camon).
E vengono fuori falsificazioni storiche a bizzeffe, come quella secondo cui Cavour si oppose, fino a dimettersi, all'idea di una Confederazione degli Stati esistenti sotto la presidenza onoraria del Papa. Si gioca sul fatto che non tutti conoscono i fatti e che i più, inculturati in una scuola almeno approssimativa, si fidano di quel che sentono. Mica vanno, ad esempio, a leggersi gli accordi di Plombières tra Cavour e Napoleone III. E nemmeno vanno a leggersi la lettera che il ministro sardo scrisse al Re di Sardegna di ritorno dalla cittadina di Plombières. In questa lettera, con la quale, fra l'altro, il Cavour faceva il conto dei soldati necessari per la prossima guerra (l'imperatore “incominciò col dire che era deciso di aiutare la Sardegna con tutte le sue forze in una guerra contro l'Austria”), così illustra gli accordi raggiunti:
Dopo lunghe dissertazioni, delle quali risparmio a V. M. il racconto, noi ci saremmo posti d'accordo a un di presso sopra le seguenti basi, riconoscendo però che si potrebbero modificare dagli eventi della guerra: La Valle del Po, la Romagna e le Legazioni avrebbero costituito il Regno dell'Alta Italia, sul quale regnerebbe Casa Savoia. Al Papa si conserverebbe Roma e il territorio che la circonda. Il resto degli Stati del Papa, colla Toscana, formerebbe il Regno dell'Italia Centrale. Non si toccherebbe la circoscrizione territoriale del Regno di Napoli. I quattro Stati italiani formerebbero una Confederazione a somiglianza della Confederazione Germanica, della quale si darebbe la presidenza al Papa per consolarlo della perdita della miglior parte de' suoi Stati. Questo assetto mi pare interamente accettabile”.
Tutto questo non capitò in decenni lontani dal 1861: successe appena tre anni prima, nel luglio del 1858 e il trattato fu firmato a fine gennaio dell'anno successivo. Far conoscere o nascondere? Gli storici naturalmente sanno, perché quelli di regime nascondono, pur sapendo che questa conoscenza non cambierebbe lo stato delle cose? Una spiegazione è che la conoscenza delle contraddizioni esistenti all'epoca darebbe un quadro non idilliaco, diverso della supposta concordia che avrebbe animato tutti i protagonisti del risorgimento italiano, limitandosi i dissidi a simpatici tic caratteriali. Cavour e Garibaldi? Non si erano simpatici, tutto qui, ma poi erano d'accordo su tutto. Per il resto basta nascondere che il primo accusava – dimettendosi da primo ministro – il secondo di avventurismo e di rischiar di far scoppiare una guerra tra Sardegna e Francia. Occhio non vede, cuore non duole e, soprattutto, chi se ne importa della storia? L'importante è avere a disposizione una vulgata convincente e spacciarla come storia.

4 commenti:

elio ha detto...

Che ci vuoi fare, Gianfra'. Fecero l'Italia ma non sono riusciti a fare gli Italiani. Uno ci tentò, si può dire con qualche convinzione e con molta retorica. Anche per lui "Roma era una montagna di luce che illuminava ventisette secoli". Andò avanti per vent'anni e alla fine il nazionalismo lo fregò. Ci sarebbe riuscito senza le folli ideologie, figlie della Dea Ragione, che imperavano in Europa in quel secolo? E che portarono all'estinzione quasi del convivere civile nel vecchio continente? Mah, chi lo può dire? D'altra parte, la storia non si fa con ipotesi del terzo tipo. Quel che possiamo vedere è che quanto si è cacciato a forza dalla porta, rientra prepotentemente dalla finestra. Bossi e la sua Lega non sono venuti fuori come i funghi nei boschi in fase di luna crescente. In Sicilia, in Calabria e in Campania non è solo questione di malavita organizzata. Non confonderemmo le cause con gli effetti? Che dire, poi, di noi? Noi Sardi, intendo. Frastornati da sirene incantatrici che hanno predicato l'internazionalismo proletario, nascondendo il tricolore dietro la bandiera rossa (non era un semplice vizietto semantico) e che ora si ergono a vestali dell'unità d'Italia e della sua costituzione? Non sarebbe ora di riconsiderarla la nostra storia, di fare un Patto fondante fra di noi e proporci nel contesto degli altri popoli in quest'Europa sfinita sotto il peso di ipotesi identitarie che si fondano sull'euro e sul mercatismo,come panacea di ogni male? Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti? E' ancora possibile un "Forza Paris"?
A mengiur biere, Gianfra'.

Grazia Pintore ha detto...

personalmente preferivo Sardinia indipendente,forza paris mi fa pensare troppo a forza italia,credo si sia ormai capita la mia allergia a Silvio,ad ogni modo mi aggrego anch'io a "Forza Paris",l'importante è che non ci illudiamo che i continentali ricchi possano fare qualcosa per noi.E' così difficile che i sardi si uniscano tutti quanti, destra o sinistra, per il bene della Sardegna?W " Forza Paris"

elio ha detto...

Cara Grazia,
a nessuno il dottore ha ordinato dosi più o meno massicce di Cavaliere, prima e dopo i pasti. Altrettanto valga per qualsiasi altro di ‘Lor Signori’. Conveniente sarebbe di non lasciarsi guidare dal fegato o dal sentimento sui temi che riguardano le scelte politiche. Meglio, molto meglio l’istinto, visto che la ragionevolezza sembra latitare. Istinto allo stato puro, però, non inquinato dall’ideologia, altrimenti siamo punto e a capo.
Che tu sia una persona che ragiona, non ho dubbi. Allora ti chiedo: perché non utilizzare il Cav. e tutto quello che lui è riuscito a rappresentare e rappresenta, per conseguire un risultato che, a nostro, e ripeto nostro, modo di vedere sia conveniente? Quale guerra vuoi combattere contro il Berlusca? Sei sicura che sia la tua guerra, la nostra guerra? Se parlo del Silvio, a cui tu hai fatto riferimento, è perché, oggi come oggi, si trova a capo del governo italiano. Qualora al suo posto ce ne fosse un altro, un altro qualsiasi, il problema per noi Sardi non si sposterebbe di una virgola. O non sei d’accordo?
Prima però bisogna decidere quale sia ‘il nostro modo di vedere’. E qui vengono le dolenti note. Ti faccio un esempio, un esempio bada bene ma è paradigmatico. Lo faccio senza paura, anche se so benissimo di andare a cacciarmi in un ginepraio in cui orrù, tiria e titioni faranno di tutto per ridurmi a brandelli: il nucleare in Sardegna. Sai cosa successe, in tempi ormai lontani, ben prima del referendum che seppellì il nucleare, quando vennero in Sarcidano l’on. Dettori e il senatore Carta, entrambi democristiani e sottosegretari in non so più quale governo di centrosinistra? Tutti sapevamo che erano lì per avanzare la proposta di una centrale nucleare nel nostro territorio. Bene, menarono il can per l’aia. Di nucleare neanche una parola. Da vecchie volpi della politica avevano fiutato l’aria e anziché intavolare un discorso sui pro e sui contro, batterono in ritirata senza neanche affacciarsi sul campo. Classico esempio di classe, non dirigente, ma diretta esclusivamente dalla ricerca del consenso ad ogni costo. Si lisciava il gatto per il verso del pelo. Ancora, sai cosa ha detto il nostro berlusconiano (più di così?) attuale Governatore, a proposito di nucleare in Sardegna? “Dovranno passare sul mio cadavere!” Sono passati più di quarant’anni e non è cambiato niente.
Sai come andrà a finire? Che le centrali ce le metteranno lo stesso e saremo ancora una volta cornuti e mazziati o, se preferisci, a pitzus de is corrus cincu soddus, per non voler rischiare niente e aver la puzza al naso. Quando, in un momento in cui tutti sanno che le centrali si faranno ma nessuno le vuole, potremo contrattarcela al meglio la faccenda, cercando di ricavarne il massimo possibile. Ma bisognerebbe parlarne però, guardandoci nelle palle degli occhi e non farci trasportare dal sentimento, dalla paura e dall’ideologia. ripeto è soltanto un esempio.
So bene cosa dicono gli indipendentisti di Ornella Demuro e Franciscu Sedda: “Prima fuori gli Italiani, poi se ne parlerà fra di noi.” Intanto parlare ne dovremmo e non capisco perché non farlo ora, e poi, nelle nostre condizioni, con l’Europa in bilico, con l’euro tirato su per i capelli, possiamo aspettare l’utopia dell’indipendenza? Va bene che l’utopia di oggi spesso è stata la realtà di domani ma su quando potrà sorgere quel domani nessuno ci può dare assicurazioni. E noi non possiamo più aspettare futuri radiosi in cui ‘l’amore’ guiderà ogni cosa. Ora e subito dobbiamo darci da fare, anche rischiando quel che c’è da rischiare, anche sporcandoci la veste bianca della nostra immacolata coscienza.

zuannefrantziscu ha detto...

Ho una visione assai meno pessimista di quella di Elio della incapacità dei sardi di non farsi imporre qualcosa dall'esterno, ma per il resto ha ragione. Come moltissimi emigrati col magone nel cuore, Grazia ha dei sardi un concetto del come dovremmo essere, non di come siamo. E' naturale: se si è dentro il popolo sardo residente (lo è anche quello del disterru) si vedono le differenze, più ce ne allontana e più si vede una massa compatta, al massimo divisa fra un su e un giù o, il che è lo stesso, fra destra e sinistra.
Fino a quando si continuerà a ragionare in termini di sinistra e di destra, in senso politico intendo, sarà difficile pensare ad una unitarietà di intenti. Le rouge et le noir - cantava Leo Ferré - ne s'epousent- ils pas. Si continuerà a guardarci in cagnesco, gli uni facendo il tifo per un principe alla Corte di Madrid. gli altri a favore di un altro principe alla stessa Corte. Sulle cose di nostro interesse sarebbe diverso e allora il nostro mondo si dividerebbe in maniera assolutamente diversa da quella che a Madrid (o a Roma) si vuole. Politiche pro nazione sarda riserverebbero curiose sorprese, rimescolando destra, sinistra, su e giù. Ho carissimi amici di Rifondazione comunista e dell'ex An che su queste politiche nazionali avrebbero una sintonia che non hanno all'interno dei rispettivi partiti. Ma bisticciano fra di loro perché nella loro agenda nessuno ha avuto l'idea e la forza di iscrivere le politiche per la nazione sarda.
Chi queste politiche le ha nella propria agenda (penso ai partiti e ai movimenti nazionalisti e/o indipendentisti) invece di porle all'ordine del giorno continua a schierarsi con questo o quel principe alla Corte di Madrid. Anche quelli che gridano: "La Sardegna non è Italia", usano i paradigma italiani. Mi auguro che le elezioni di fine mese premino negli schieramenti le forze autonome (nazionalitarie, autonomiste, federaliste e indipendentiste) e che dopo queste, facendo i conti, concludano: "Caspita, siamo davvero una bella forza. E se smettessimo di ragionare come se fossimo alla Corte di Madrid?"

PS - Cara Grazia, Forza paris è di qualche secolo più vecchio di Forza Italia. Allora Italia era solo il nome di una penisola del Mediterraneo.