martedì 8 febbraio 2011

Federalismo: gattopardi lì e complessati qui

Questo federalismo incombente non mi piace, sa tanto di graziosa concessione a che tutto cambi perché nulla cambi. Ma non si può certo dire che sia qualcosa di ininfluente per i popoli della Repubblica, dal sardo all'italiano e a tutti gli altri che popoli si sentono. Comunque sia, è una tessera nel mosaico che, se completato, certificherà il cambiamento della natura della stessa Repubblica da unitaria ed autonomista in qualcosa d'altro, anche se non federalista. Forse è il massimo possibile in una Italia largamente dominata da una cultura giacobina o forse è il tanto sufficiente per alimentare l'illusione chiamata Italia unita. E scusate se è poco.
Si tratta non della “svolta epocale” evocata dalla Lega (ma, si sa, 'o scarrafone è bello a mamma sua), ma di qualcosa di più importante di una leggina fatta per accontentare una lobby. Purtroppo così viene considerata a destra e a manca. La maggioranza, sconfitta nella commissione bicamerale per il federalismo, si arrampica sugli specchi per mostrare ai suoi federalisti convinti che nulla è perduto e vara in quattro e quattr'otto un decreto che non aveva alcuna possibilità di superare il vaglio del presidente della Repubblica. Le opposizioni fanno, se possibile, di peggio e dicono che voterebbero il federalismo se la Lega levasse loro dalle scatole Berlusconi. Come dire: a noi del federalismo non ce ne può fregare di meno (alcune di quelle forze anzi gli sono contrarie), però se la Lega ci fa il piacere di fare quel che noi non siamo in grado di fare, far cadere Berlusconi, beh, allora lo voteremo.
Ho letto analisi meno grossolane di questa, ma quasi tutte a questo nocciolo della questione si riducono. Come si fa a dar un minimo di credito alla politica ridotta a questi livelli? Giganteggia, così, la figura di Comesichiama Casini che, almeno, da sempre dichiara che di federalismo non vuol vedere neppure l'ombra. Se non fosse per il fatto che questa politica melmosa ha pesanti riflessi su quel quartiere del villaggio globale che è la Sardegna, verrebbe da dire: “Arrangiatevi voi italiani, noi ci dissociamo”. E invece no, siamo nelle peste anche qui; la qualità della nostra politica non è tale da farci pensare possibile partecipare autonomamente a un processo federalista, almeno con la dimostrazione del possibile. Con uno Statuto nuovo, intendo, che riguardi certo la Sardegna, ma che restituisca al federalismo un significato non truffaldino né gattopardesco. Quello di un patto, un phoedus fra parti diverse.
La maggioranza di governo ha tra le mani una proposta che fu condivisa anche da chi oggi è schierato diversamente (Roberto Cappelli, allora capogruppo dell'Udc e Ignazio Artizzu, allora capogruppo di An e oggi di Fli, entrambi, quando si dice l'ironie della parole, aderenti al Polo della Nazione, italiana va da sé). Sempre questa maggioranza ha un suo disegno di legge in merito presentato in Senato e depositato in Consiglio regionale. Nell'opposizione anche il Pd ha a disposizione un disegno di legge, anch'esso presentato in Senato e trasmesso al Consiglio regionale. Il fatto è che, come ho avuto modo di scrivere, la Commissione autonomia è da cinque mesi senza presidente. Pietrino Soddu, ex presidente del governo sardo ed ex parlamentare della Dc, oggi una delle menti più lucide del Pd sardo, in un'intervista definisce gravissima la mancata elezione del presidente “ma mi sembrerebbe strano che il Consiglio fosse paralizzato da una nomina. La verità è che forse non sa che cosa fare”.
Temo che abbia ragione Soddu, pur se anche lui debba attribuirsi una qualche responsabilità, non essendo proprio l'ultimo arrivato da quelle parti. In queste pagine ho diverse volte segnalato, con ottimismo che in molti mi hanno rimproverato, relazioni e interventi a favore della sovranità e del diritto all'autodeterminazione, fatti da esponenti dell'opposizione e della maggioranza. Ma, evidentemente, un conto è leggere un importante discorso in Consiglio e altro conto è capire dove certi concetti portino. E, una volta compreso, attrezzarsi a fare.
Quello di decidere in piena libertà lo status politico, sociale, culturale della Sardegna è un diritto sancito e garantito da trattati internazionali. Ma è come se il complesso della politica sarda avesse il terrore di chiedere di poterlo esercitarlo: c'è sempre il rischio di sentirsi dire di sì. E allora sì che sarebbero guai, sic stantibus rebus.

2 commenti:

Grazia Pintore ha detto...

E' veramente vergognoso che il Pd,pur non apprezzando questo federalismo,è disposto ad approvarlo dietro il ricatto di fare cascare Berlusconi.Ed è per questo motivo che il PD non riuscirà a liberarsi di Silvio.Siamo ridotti proprio male.

elio ha detto...

Volenti o nolenti nella “bagna” ci troviamo e sarebbe solamente consolatorio sostenere che noi sardi non abbiamo la nostra responsabilità, poca, perché poco siamo.
Visto dalla parte dello Stato italiano, che cos’è il federalismo se non uno dei tentativi di schiodare l’Italia da una situazione diventata insostenibile? Frutto, tale situazione, di scelte per buona parte obbligate, nel secondo dopoguerra, e pervicacemente perseguite nelle vicende di cui, nel presente, si festeggiano i 150 anni.
Non entro nel merito del federalismo di cui posso percepire gli aspetti positivi, buona parte per via indiretta: quando ne annuso gli avversari trovo difficoltà a ricercarne le pecche che, indubbiamente, ci sono.
In linea molto generale mi sento, però, di dire qualcosa: se una cosa è da fare, va fatta, anche male, ché le correzioni sono sempre possibili; l’immobilismo è deleterio, non in sé stesso, ma per il fatto che i vuoti si riempiono sempre, con contenuti antitetici a quelli sperati. Statalismo, corporativismo, mancanza di libertà e giustizia ruberanno il posto alla libera manifestazione delle energie positive di una nazione. Un poco come la moneta cattiva che scaccia quella buona.