giovedì 27 ottobre 2011

Napolitano? L'ultimo Capo di Stato occidentale che confonde il federalismo con il secessionismo.

di Adriano Bomboi, www.sanatzione.eu

Napolitano ai leghisti: “Secessionismo fuori dalla storia”.
Si capisce, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è un uomo di alto profilo istituzionale, la sua cultura non gli impedisce di venire meno al mandato costituzionale che il Parlamento gli ha affidato. Ed in quanto tale, finge di non sapere che la geografia politica mondiale nei soli ultimi 50 anni ha visto nascere decine di nuovi Stati. Altrimenti verrebbe da chiedersi se Napolitano abbia mai comparato un mappamondo del 1960 con uno del 2010.
Non siamo leghisti e né secessionisti naturalmente, tuttavia siamo democratici, ed in quanto tali ci domandiamo fino a che punto la Costituzione Italiana lo sia nei confronti di una Comunità Internazionale che riconosce il diritto dei Popoli all’autodeterminazione rispetto al centralismo di Stati sorti nell’800. Degli Stati che, al posto di rispettare le Autonomie, le declassano omologandone l’economia, la storia, la cultura e persino la lingua a quella considerata “nazionale”. Ne consegue che si formano, come nella Repubblica Italiana, zone di seria A e zone di serie B.

mercoledì 26 ottobre 2011

Cosí parló il GAP

di Stella del Mattino e della Sera

Il valente archeologo GAP giá attivista in merito ad un famoso documento epigrafico sardo del museo di Madrid ed allo scherzoso plagio di un articolo di R. Sirigu, ha ultimamente rilasciato importanti e definitive dichiarazioni sulla navicella di Teti. Detta persona vorrebbe cosí aprirci gli occhi  senz´altro scopo del nostro bene. Dall´alto della sua autorevolezza il GAP definisce cosí il sedicente reperto. “Io più che una "navicella" ci vedo un coccio probabilmente facente parte di una lampada a olio, che appunto assomiglia alle navicelle di bronzo per via della sua forma a cucchiaio, si nota inoltre che l'uso fu prolungato dai resti di vetrificazioni (diverso colore dell'argilla silicea) che si notano già a occhio nudo nonostante la pessima risoluzione della foto. Magari fosse "Nuragico" come si afferma da parte Non accademica. [..] si può parlare di reperti Post-Nuragici oppure Proto-Sardi, ma Non Nuragici per via della cronologia sinora repertoriata che li pone indiscutibilmente nel Bronzo finale e alla prima età del ferro. E' la famosa età dei pozzi sacri dei bronzetti e di altri edifici cultuali costruiti a loro volta smantellando interi nuraghi come chiunque può notare al Nuraxi di Barumini e al Nuraghe Genna Mari di Villanovaforru, dove si nota chiaramente che il villaggio dell'età del bronzo finale e del primo ferro siano stati costruiti demolendo e smantellando le sue cortine e torri per recuperare materiale per l'edificazione del successivo villaggio protostorico che lo sovrasta inglobandone i monconi delle torri del complesso, che vennero "riutilizzate" come sacelli templari dedicati alla dea Cerere e Diana (La nostra Janas). Dunque sbaglia chi afferma che si tratti di reperti nuragici dell'età del bronzo, sbaglia ancora di più quando poi si afferma che si tratti di scrittura con idiomi autoctoni nuragici (se il reperto non é nuragico come fa a d'esserlo pure la scrittura??). Personalmente non metto in dubbio che si tratti di idiomi e che il reperto (si spera) sia autentico, come non avrei nessun problema nell'affermare che si tratta di vera scrittura protostorica.. per altro agli albori (1100/900.750 a. C.)” 

Atryx e il prof. Sanna che sono Accademicissimi potranno forse darci contezza di queste parole di cui io da misero giornalista non ho capito un eccídente. Altresí il GAP potrebbe indire una conferenza stampa per spiegare a noi manzi  di quale tipo di scrittura protostorica trattasi, ché noi non lo capiamo da soli. Protoromanaico?

P.S.: è inutile che vi linki una qualsiasi pagina del GAP: esse hanno la tendenza a scomparire. Come anche i suoi articoli su riviste scientifiche. L´Antico potrebbe pur tornare a trovarmi per togliermi dai dubbi culturali in cui mi dibatto. Grazie.

domenica 23 ottobre 2011

Scrittura nuragica. Il Nuraghe Gedili di Jerzu, la torre B ed il lusus scribale delle finestrelle

di Gigi Sanna

dedicato a Gianfranco Pintore


Tab. 1
1. Considerazioni iniziali.
Credo che ormai ci stiamo avviando, passo dopo passo, alla comprensione 'totale' della scrittura arcaica sarda dell'età del Bronzo medio, finale e I Ferro, quella che abbiamo chiamato con termini, ovviamente di comodo, 'nuragica' o 'shardan ' (dei signori giudici). Cioè stiamo cominciando, in virtù dei continui rinvenimenti di documenti di scrittura e della spesso notevole qualità di essi (v. oggi la mostra didattica fotografica permanente aperta in Macomer), a fissare il quadro dell'intero sistema, il quadro delle regole (quelle e non altre) del codice convenzionale adoperato dagli scribi sardi. Certo, segreti ancora di questa magnifica scrittura ne restano e ne resteranno, ma diciamo che i più importanti possono ritenersi svelati.
   Già nel nostro SaGra (1)  avevamo congetturato e tentato di dimostrare (con l'analisi dei simboli e dei suoni della Tomba di Giganti) che i nuragici, così come gli Egiziani, scrivevano foneticamente, servendosi anche di pittogrammi monumentali (2). C'erano non pochi indizi che portavano a pensare ad una scrittura che, in fondo, non si mostrava del tutto originale se non nella sua scontata caratterizzazione 'nazionale' (diciamo cosi seguendo, ancora una volta,  le orme (3) del Pettazzoni). Lo stesso ormai accertato orientamento astrale delle piramidi, con i particolari 'corridoi' e le 'finestrelle' puntate (guarda caso) sulle stelle o sulle costellazioni, non può che costituire un forte indizio che anche in Sardegna, appurato ormai che i nuraghi sono costruzioni templari e non altro, sia stato adoperato il dato stilistico architettonico terra - firmamento del modello egiziano.

2. Lo strumento d'indagine dell'archeoastronomia.

 Oggi nella nostra indagine a tutto campo sulla 'scrittura'  abbiamo uno strumento in più per dimostrare che quelle ipotesi di lavoro e quelle congetture non erano affatto campate per aria e frutto di 'elucubrazioni' (con buona 'pax  detractorum'): quello dell' archeo-astronomia, della ricerca scientifica basata sullo studio e sul calcolo dell'orientamento degli astri. Oggi abbiamo in tasca, in particolare, i dati scientifici (le rilevazioni empiriche ed oggettive non soggette a contestazioni) elaborati dai giovani del G.R.S. sulle torri nuragiche attraverso le finestrelle del Nuraghe  Gedili di Jerzu, di Serbissi di Osini, di Alvu di Pozzomaggiore e di Santa Barbara di Villanova Truschedu (ma io ora metterei, per dovere, quelli anticipatori di Franco Laner, riguardanti un nuraghe Cheremule e il S.Antine  di Torralba). Dati per i quali si rimanda ovviamente  ai capitoli specifici del volume dei  G.R.S. (4) e del  Laner (5). 

venerdì 21 ottobre 2011

Segni nella mente





“Quello che molti ignorano è che il nostro cervello è fatto di due cervelli. Un cervello arcaico, limbico, localizzato nell’ippocampo, che non si è praticamente evoluto da tre milioni di anni ad oggi, e non differisce molto tra l’Homo Sapiens e i mammiferi inferiori. Un cervello piccolo ma che possiede una forza straordinaria. Controlla tutte quelle che sono le emozioni..... L’altro cervello è quello cognitivo, molto più giovane. È nato con il linguaggio e in 150 mila anni ha vissuto uno sviluppo straordinario, specialmente grazie alla cultura.” Rita Levi Montalcini


"La tradizione Occidentale, come conseguenza del Dualismo Platonico e, successivamente, del Dualismo Cartesiano, ha creato una dicotomia fra le scienze dell’uomo e le scienze biologiche, contrapponendo il biologico al culturale, la natura alla cultura, i geni all’apprendimento. Grazie alle Neuroscienze, ormai nell’uomo il culturale non può essere concepito senza il biologico, il cerebrale non può esistere senza condizionamento ambientale. Scopo del convegno è quello di ricreare una visione unitaria della conoscenza umana, attraverso un percorso interdisciplinare che indaga i differenti linguaggi che la  mente utilizza per apprendere, comunicare, tramandare le infinite forme dell’esperienza umana".

Il logo del convegno, un cervello umano con impressi segni arcaici di una scrittura che ormai non ci è più estranea, ci ricorda due indimenticabili post che la dottoressa Piras ci regalò su queste pagine. Per me, che mi avvicinavo alla scrittura arcaica da un' angolazione totalmente diversa, furono sorprendenti. E' con estremo piacere che annuncio questo convegno interdisciplinare cui avrò l' onore di prendere parte, e che si continuerà con l´inaugurazione della mostra epigrafica di Macomer, il giorno 30 alle 10:30. AB

giovedì 20 ottobre 2011

Indipendenza, ipotesi folle o scommessa vincente?

di Francesco Casula (*)

Da un sondaggio di un Quotidiano isolano emerge che la stragrande maggioranza dei Sardi (più dell’80%) guarda con simpatia all’indipendenza considerata una scommessa su cui investire per il futuro della Sardegna. E non, un’ipotesi fantasiosa e folle, come ritiene una infima minoranza (meno del 20%). Si dirà che si tratta di un sondaggio senza i crismi della scientificità e, dunque sostanzialmente senza valore e credibilità. Può darsi. E’ certo però che esprime una tendenza in atto nella società sarda.
L’ipotesi indipendentista, fino a qualche decennio fa demonizzata e criminalizzata, oggi è entrata prepotentemente nel dibattito politico e nelle più alte sedi istituzionali, Consiglio regionale compreso. E certo si può convenire e dissentire. Una cosa però occorre affermare con nettezza: il diritto alla Autodeterminazione dei popoli – e dunque alla Indipendenza e persino alla secessione-separazione – è garantito dal Diritto e da tutte le Convenzioni internazionali. Con buona pace di Napolitano e della stessa Costituzione italiana  che prevede la repubblica “una e indivisibile”. E anche con buona pace dell’ordinamento giuridico italiano liberticida secondo cui la “secessione” è addirittura un reato (art. 241, Attentati contro la integrità, l’indipendenza o l’unita’ dello Stato) da punire con la reclusione non inferiore a dodici anni.
Del resto, il diritto alla “secessione” è stato praticato negli ultimi decenni –per limitarci solo al Vecchio Continente – da decine di popoli europei, dando vita a nuovi stati con la disgregazione dell’URSS e della Iugoslavia; con la “separazione” della Slovacchia dalla repubblica Ceca ecc.
Il diritto all’autodeterminazione e dunque all’indipendenza del popolo sardo si fonda sul suo essere “nazione”; ovvero sulla sua  storia, diversa e dissonante rispetto alla storia italiana. Storia che incardina la sua specifica identità culturale e linguistica che non può essere sciolta e dispersa – come fino ad oggi è successo – nel calderone della “italianità”.
La Sardegna è entrata nell’orbita italiana nel 1720 , quando per un “baratto di guerra”, l’Isola passa dalla Spagna al Piemonte. Ritrovandosi una provincia di uno staterello ottuso e famelico, specie dopo la rinuncia all’Autonomia stamentaria nel 1847. Forse è arrivato il momento storico di riprendersi la sua indipendenza nazionale persa.

(*) Pubblicato su Sardegna quotidiano del 20-10-2011

lunedì 17 ottobre 2011

Per la gioia di Gigi Sanna

di Franco Laner

Stavo cercando delle foto per documentare il recente restauro del nuraghe Majore di Cheremule. Esso è stato costruito talmente in cima ad un cocuzzolo, che se si fosse dovuto costruire una rampa esterna per portare i massi, sarebbe stata lunga almeno un chilometro! Mi sono venute per le mani due foto che presi sostando nel nuraghe , quando cercavo di rincorrere la figura stagliata dal sole che penetrava dalla finestrella. E’ un altro esempio di toro rovesciato, mi verrebbe da dire, ma per tanti motivi è d’obbligo la sospensione di giudizio.
Nuraghe Majore. Cheremule

Invece –ma data ormai più di dieci anni- l’osservazione del sole al solstizio d’inverno che entra dalla finestrella del S. Antine e colpisce il betilo del cortile è davvero emozionante. E’ ciò succede da illo tempore. Riuscirà il sole a riprendere la sua forza vitale e trasmetterla?
Fra il 20 e 22 dicembre comunque il sito è luogo di pellegrinaggio…

E qui la coincidenza è dura. I costruttori  hanno “girato” il muro per permettere che il raggio entrasse! Anzi, per un bel po’ ho dovuto ragionare sull’anomalia del muro del S. Antine, che presentava una gobba senza senso. Su Accabadora ho ben documentato quest’evento sostiziale. E che le ricerche si muovano in questa direzione non può che rendermi soddisfatto. Ma la felicità non è mai piena. Peccato!

domenica 16 ottobre 2011

INDIGNATI? MEGLIO BLACK BLOC

di Francu Pilloni


Mi mancano le analisi della situazione politica che il Direttore fin qua puntualmente e lucidamente ha proposto all’attenzione del popolo del blog; mi manca il dialogo, il piacere di concordare, ma specialmente il gusto di dissentire da lui, pur cogliendo la logica dei suoi ragionamenti e condividendone il rigore morale e la passione civile. In attesa, mi resta la speranza che almeno legga quanto scrivo oggi e, se vuole, dissenta, senza accusarmi però di forzare e di esasperare concetti e situazioni, perché so da me di essere esagerato.

Gli indignati

Che quella di ieri a Roma, e in molte altre città d’Italia, d’Europa e del mondo intero, sia stata concepita come una civile manifestazione di dissenso politico, lo condivido con chiunque la pensi allo stesso modo e faccio fatica ad immaginarmi il contrario, a pensare che qualcuno non provi simpatia per quei giovani di labili prospettive o per gli adulti e anziani in sofferenza sociale ed economica. Non è solo Draghi a provare simpatia per i giovani, ma anche Draghi in buona compagnia dei vescovi italiani attraverso il loro quotidiano Avvenire, dei tanti politici dai Vendola ai Casini, ai Fini e ancora più in là, passando forse dai Bersani e dai Di Pietro. L’indignazione per dove vanno le cose in Italia e per come vengono trattati gli affari di tutti è un atteggiamento equilibrato, motivato, sacrosanto, ma resta il fatto che non rientra nelle categorie della politica. L’indignazione è Vivo risentimento che si prova per ciò che si ritiene indegno, riprovevole, ingiusto, così la definisce il dizionario di A. Gabrielli, attiene dunque alla sfera del personale e del privato, dipende dalla sensibilità e dall’educazione di ciascuno, oltre che dal tempo e dal luogo in cui storicamente si vive. Gli indignati sono legalitari, chiedono il permesso per dimostrare e la protezione delle forze dell’ordine: sono fantasiosi e teneri, falsamente liberi come bambini all’ora di ricreazione sotto lo sguardo vigile della maestra.

sabato 15 ottobre 2011

Appuntamento a Macomer

A cura del Gruppo culturale Solene in collaborazione con l’Associazione culturale Melchiorre Murenu. La mostra, costituita da una quarantina di pannelli, si avvale della competenza scientifica del prof. Gigi Sanna, autore di diverse pubblicazioni sulla scrittura dei Nuragici, e si propone di allargare la conoscenza di un fenomeno poco noto della protostoria della Sardegna: quella dell’uso della scrittura da parte dei costruttori dei nuraghi, delle tombe dei giganti, dei templi a pozzo...L’esposizione e’ dedicata agli studiosi, ai cultori di preistoria e di storia sarda e, particolarmente, agli alunni di ogni ordine e grado e alle persone che si avvicinano alla conoscenza delle nostre radici.


mercoledì 12 ottobre 2011

Rapporti tra fenici e nuragici in Sardegna

di Stella del Mattino e della Sera

Ultime news dal convegno di Domus de Maria, 3 settembre 2011.

Marco Rendeli (su Sant’ Imbenia, a sorpresa): “Ah, una cosa che volevo dirvi: le anfore sono tutt’e due locali. Anche l’ anfora più recente che doveva essere di tipo sardo-fenicio non è espressione delle colonie, ma è espressione del contesto locale".
Io: “ Grazie lo stesso professore, ce lo aveva già detto Tzoroddu!

Marco Rendeli (su Sant’ Imbenia, al solito): “E poi qui un piccolo..una piccola imitazione di sigillo orientale”.
Io: “Riferirò al Sanna  che crede ci sia scritto San Yahweh! Dove lo troviamo l’originale orientale?”

Il finale di questa notizia è andato perso

martedì 11 ottobre 2011

La terra dei record. Anche nella scrittura?

di Atropa Belladonna

“In questa regione,  che condivide il medesimo repertorio di immagini, pittogrammi incisi su supporti mobili o su colonne megalitiche (come in Anatolia)  mostrano chiaramente associazioni di segni ed immagini che erano indubbiamente comprensibili dal gruppo o da una parte di esso. In ogni caso, forniscono una chiara evidenza dell’ abilità delle società dell’ epoca di registrare e trasmettere messaggi attraverso una vasta area geografica”. Danielle Stordeur, 2011 (1)

La regione di cui parla l’ archeologa francese, direttrice di ricerca del CNRS, è un’ area di circa 90000 km2 che comprende la regione di Urfa, nel sud-est della Turchia, e la Siria del Nord, nella valle del Medio Eufrate. Sì, la regione della Harran di Abramo. L’ epoca è quella del X-IX millennio a.C., il cosiddetto neolitico pre-ceramico. L' età in cui il simbolismo è già spia di un nuovo modo di pensare e di sentire, quella  "rivoluzione dei simboli" che, secondo Jacques Chauvin, precedette la rivoluzione agricola del neolitico. 
Alcuni dei pittogrammi su supporti mobili  li vedete in figura 1: quattro tavolette di pietra che all’ epoca del loro ritrovamento fecero notizia (2) e finirono, oltre che su pubblicazioni specializzate, anche sulle pagine dei più svariati giornali, dal prestigioso New Scientist fino al Corriere della Sera. Una delle tavolette, la più bella (a sinistra in figura 1), mi è stata segnalata da Romina Saderi, che ringrazio di tutto cuore per questo regalo: stavamo discutendo sulla dea avvoltoio di Chatal Huyuk ed è uscita questa tavoletta. Con le ali spiegate sul mondo di sotto e le gambe aperte, a me ricorda tantissimo la divinità astrale delle tavolette di Tzricotu e delle statue stele di Laconi. 

lunedì 10 ottobre 2011

Su Rennu Nuragico

di Marcello Cabriolu

Stato o organizzazione tribale? Come può un popolo, supposto come organizzato in tribù, essere capace di sferrare attacchi agli imperi per più di duecento anni?

Figura 1.Pugnaletti ad elsa gammata - 
bipenni e colombe divine - Museo
Archeologico di Cagliari
Leggendo tra le righe dei lavori relativi alla lingua sarda, tracciati dal Prof. Massimo Pittau, si è potuto individuare facilmente la composizione etnica dei gruppi umani presenti in Sardegna in epoca storica. Questa elaborazione è stata ampiamente supportata sia dall’epigrafia (es. nuraghe Aidu Entos di Mulargia) che dall’analisi relativa alla toponomastica sarda in piena concordanza con le fonti letterarie. L’elaborazione umana fatta dal prof. Pittau individua una cinquantina di populi e li distribuisce da nord a sud sul territorio insulare, con confini geografici molto precisi. Il prof. Raimondo Zucca, in un capitolo[1] pubblicato su “Storia della Sardegna Antica”, conferma la consistenza, durante l’epoca repubblicana e imperiale di Roma, dei gruppi umani e la localizzazione di ciascun populus. Un’altra traccia precisa è lasciata dalla letteratura classica, riportata dal prof. Giovanni Ugas[2], che individua la cinquantina di principi Tespiadi, come regnanti sugli altrettanti cantoni nuragici[3]. Questa divisione burocratica passa straordinariamente immutata e indenne attraverso i secoli tanto che la ritroviamo molto più tardi, in epoca giudicale, sotto un altro nome: curatorias[4], ovvero la definizione di aree amministrative sostanzialmente corrispondenti[5] ai cantoni nuragici. 


sabato 8 ottobre 2011

Sas feminas de maccumere

di Mikkelj Tzoroddu

La instancabile Bellamente, ci ha suggerito di vedere, “nell’ambito della mostra del libro in Sardegna”, la pagina sulla “prima mostra didattica della documentazione scritta della scrittura nuragica, dal Bronzo Medio al Primo Ferro, organizzata da Gruppo Solene e Associazione Melchiorre Murenu e curata da Gigi Sanna”, dove abbiamo trovato la immagine qui proposta, la quale ci regala una parziale veduta dei betili di Tamuli. 
Sappiamo che essi sono definiti femminili a causa di quelle sporgenze nella loro parte superiore, definite da tutti gli studiosi sardi (più per copia e incolla che per un esame approfondito del soggetto sul piano artistico, storico ed etnologico) “rilievi mammillari”. Noi, invece, in questo istante stiamo realizzando che i tre betili siano sì rappresentazioni di altrettante donne, ma non per la banale considerazione che le sporgenze si riferiscano a delle mammelle, bensì per le movenze, che traspaiono chiaramente trasmettersi da tre donne che avanzano con atto femminile tipicamente aggraziato, quasi permeato d’una ieratica solennità.
Un incedere lento, pur se deciso, di tre feminas che si recano a campu, pro tzappittare (?), dialogando fra loro. È da notare come l’occupazione dello tzappittonzu o sarchiatura, era operazione particolarmente delicata, tesa a rendere ottimale la crescita del grano. Tale occupazione era posta in essere dall’arte e sensibilità della donna, la quale curava amorevolmente la pianta, dalla nascita fino alla maturazione e raccolta del grano. Il grano era [nella salda gestione (paleolitica) della domus e in quella fondamentale dell’ager fertilis operata dalla donna] il mezzo attraverso cui si manifestava la sua supremazia nella sfera alimentare. Il frumento, era preso in consegna dalla signora che, all’esterno ed all’interno della casa, attraverso l’uso della madia, del forno e del focolare, ricavava il principale nutrimento, per gli abitanti la “casa”, ovvero la “famiglia”, ossia la “comunità”, indispensabile per raggiungere il futuro. Quindi, ben a ragione le movenze sono aggraziate, ma solenni, nella coscienza di adempiere ad un rito (non un lavoro) ch’era d’importanza vitale.
In particolare, il dialogo si svolge fra le due donne alla destra nella foto: delle due, quella a sinistra (alla parvenza la più anziana delle tre – se ne interpretiamo la postura leggermente curva in avanti - quindi la saggia del gruppo, oseremmo dire la matriarca, per il modo autorevole con cui sopravanza le altre) sembra affermare un concetto di cui si sente molto sicura, infatti, procedendo nel suo cammino, getta lo sguardo in avanti con atteggiamento che non ammette replica. La figura alla sua sinistra (quasi teatrale nel suo porsi) ostenta un movimento del corpo che inclina tutta la figura verso la sua parte sinistra e, quasi alzando il piede destro, lancia uno sguardo sulla compagna di viaggio, a voler mostrare il suo alto stupore per quanto sentito ma, non si azzarda ad andare oltre, non permettendolo l’alto rispetto per l’autorità che le stava a fianco. La signora che cammina alla destra della coppia dialogante, sembra non partecipare allo scambio di parole, ma tuttavia pare attenta al loro contenuto, che mostra, se non condividere, almeno gelosamente memorizzare. 
Così, crediamo sia molto evidente come le sporgenze siano da considerarsi gli occhi della donna. Reputiamo ciò acclarato dalla posizione che esse assumono nella figura, così alta da escludersi che possano trattarsi di mammelle, ma anche perché in assenza degli occhi, oltre ad essere figure prive d’una più solida connotazione antropomorfa, risulterebbero tristemente rigide nel loro mutismo: pietrificate, appunto. Essendo invece, tali rilievi, dei veri e propri occhi, essi, oltre a restituirci delle figure incorrotte nelle loro proporzioni, mettono la voce a quelle feminas in cammino, che ci parlano con fare solenne dall’eternità.

giovedì 6 ottobre 2011

I toponimi della Sardegna (II)

di Massimo Pittau 

Pure la recente comparsa della mia opera «I Toponimi della Sardegna – Significato e origine» (Sassari 2011, ediz. EDES), nelle cui 1103 pagine ho analizzato circa 21 mila toponimi, ha dato l’occasione ad Alberto G. Areddu (che comunemente si firma Illiricheddu) di attaccarmi a testa bassa come un toro delle corride spagnole. Egli lo fa spesso anche in questo blog.

Io ho conosciuto l’Areddu una quindicina di anni fa e mi ricordo di averlo sempre accolto con cordialità e perfino con simpatia; sentimenti che mi sembrava che egli mi ricambiasse. Invece in questi ultimi anni egli non ha mai lasciato perdere alcuna occasione per attaccarmi, come si faceva nelle giostre medioevali con la “testa del saracino”. E questo è avvenuto da quando egli si è convinto che sia io la causa principale delle sue disgrazie culturali. Ma questo non è affatto vero:
1) Io non ho alcuna colpa del mancato conseguimento da parte dell’Areddu di un posto di “ricercatore” nella Facoltà di Lettere di Sassari, dato che io non facevo parte della commissione e addirittura ero ormai fuori ruolo e in pensione.
2) Io non alcuna colpa del fatto che nessun linguista di professione ha accettato e nemmeno preso in semplice considerazione la sua tesi fondamentale della connessione del protosardo con l’illirico o albanese.
3) Io non ho alcuna colpa del fatto che egli trova difficoltà a far pubblicare dagli editori e dai direttori di riviste le sue opere e i suoi scritti.
4) Mi sembra di aver compreso che egli ce l’abbia a morte con me per la ragione che io non lo cito mai nei miei scritti. Ma come posso citare un autore che mette in Albania «Sofia», la capitale della Bulgaria? che sostiene perfino che in origine Sardò/Sardinia significava «la palude nera, la palude putrida»?

Chiedo vivamente scusa ai miei lettori per questa mia odierna precisazione, ma l’ho fatta semplicemente perché non sembri, col mio silenzio, che io non sia in grado – se lo volessi – di rispondere ai continui attacchi di questo personaggio. D’altronde di recente io l’ho bloccato sulla sua stupefacente tesi che l’antroponimo Efesiu, che compare in una iscrizione etrusca del III/II secolo avanti Cristo, sia di origine bizantina....

martedì 4 ottobre 2011

Pacificatori del passato vs bellicisti (irrealistici)

di DedaloNur

Nel ventesimo secolo l'accademia archeologica ha stranamente ignorato la guerra e in senso più ampio il warfare, nonostante l'ampia documentazione archeologica consistente in “traumata”, armi, sepolture di guerrieri e iconografie guerresche giunti dalla preistoria.
A chi si occupa di archeologia sarda, e nuragica in particolare,  queste parole potrebbero suonare  come un grossolano errore se non una vera e propria provocazione. Fu proprio il Ventesimo secolo a vedere l' affermazione incontrastata delle tesi belliciste del Lilliu intorno alla funzione dei Nuraghi;  a ragion veduta pertanto, chi vorrà, avrà al suo arco numerose frecce da scagliare a chi avventurosamente  parlasse di  “estranietà dell'archeologia sarda alle tematiche  militari”.
Infatti l'incipit è da riferirsi, in generale, (naturalmente, non mancarano le eccezioni) all'archeologia europea continentale, e più in particolare, ai decenni intercorsi alla fine della secondo conflitto mondiale e gli inizi degli anni novanta; è in questo periodo che la guerra preistorica si specchiò in due atteggiamenti opposti; da un lato c'erano coloro che, in buona fede, tendevano a minimizzarla per esempio attraverso il “simbolismo guerresco”: basti pensare che per culture, oggi considerate eminentemente guerresche, come quella norrena del bronzo, la deposizione della spada nella tomba venne studiata più che altro dal punto di vista simbolico e religioso, o “culturale”. Non che gli archeologi europei non parlassero di guerra (e qui ci si riferisce al polo “militarista”), ma quando questo accadde la guerra fu ritratta in modo irrealistico se non  antistorico, magari incanalando nelle  “tesi belliciste”,  tensioni politico militari vissute in prima persona. Il caso di scuola più esemplare è Marija Gimbutas, la quale, come sarà noto, contrappose ad un Antica Europa pacifica e matriarcale una immensa invasione indoeuropea di stampo patriarcale ed ovviamente guerresca. Non mancarono i detrattori che intravidero nell'invasione indoeuropea dell'antica Europa, una rielaborazione psicologica dei traumi vissuti dalla Gimbutas, allorchè l'Unione Sovietica invase la sua Lituania.  L'accusa può suonare come un affronto a colei che rimane una delle più importanti studiose del neolitico europeo.

lunedì 3 ottobre 2011

Le pietre e la luce

Quali segreti nascondono i nuraghi, monumenti simbolodella Sardegna? Cosa spinse gli antichi sardi a costruire queste imponenti torri? Erano davvero fortificazioni per la difesa militare, castelli e residenze di antichi capi? Queste sono le domande che hanno spinto un gruppo di liberi ricercatori sardi a studiare per diversi anni fenomeni di eccezionale rilevanza scientifica. Con un ampio corredo fotografico, il libro cerca di dare una risposta agli interrogativi circa lo scopo di queste antiche costruzioni, il cui messaggio fino ad oggi è rimasto celato nel linguaggio delle pietre e della luce.

Chi come me ebbe la fortuna, lo scorso gennaio, di assistere alla proiezione del filmato registrato al solstizio d' inverno al nuraghe Santa Barbara, non potrà dimenticarlo facilmente.  Il sole entrava da una finestrella e, come un pennarello di luce, disegnava pian piano l' inconfondibile figura di una protome taurina sulla parete interna del nuraghe. Questo e tanto altro, tutto rigorosamente documentato, nel nuovo libro che tutti attendevamo. In bocca al lupo G.R.S.! AB