mercoledì 14 dicembre 2011

Ma quel Condaghe parla anche sardo

di Mauro Maxia

Alcuni anni fa è stata pubblicata, a cura di Paolo Maninchedda e Antonello Murtas, un’edizione critica del condaghe di San Michele di Salvennor (in sigla CSMS), fonte ben nota per la storia del sardo medioevale. In precedenza era uscita, quasi un secolo fa, la prima edizione a cura di Raffaele Di Tucci. Ad essa aveva fatto seguito, dopo oltre ottanta anni, quella curata da Virgilio Tetti. L’ultima edizione, in particolare, rappresenta un utile contributo in relazione a un testo che, nonostante la sua importanza, in qualche misura aveva allontanato i filologi per il fatto che, a differenza di analoghe fonti del medesimo periodo, questo codice rappresenta non un testo in sardo bensì una versione in spagnolo eseguita alla fine del Cinquecento.
La novità dell’ultima edizione viene da quattro schede in sardo logudorese che, dopo essere rimaste per alcuni secoli in un archivio spagnolo, giungono a rivalutare l’antico codice e a ricollocare al loro posto alcuni importanti tasselli che ancora mancavano nel contesto delle fonti medioevali sarde.
Trattandosi di un’opera specialistica i curatori dell’edizione, rinunciando alla traduzione in italiano, hanno affidato questa operazione al glossario che correda l’edizione. In questa sede l’interesse per l’edizione di cui si discorre si limita, più che altro, ad alcune questioni di contenuto toponimico che emergono attraverso la lettura delle schede in sardo e, qua e là, anche in quelle, assai più numerose, scritte in spagnolo. Un aspetto di cui tener conto proviene dal fatto che nel glossario dei termini sardi figurano anche toponimi come Lusia, Petraia o parti di toponimi come Campu de Alagone, Mura Mayore, Nurache de Agasones, Sierra de Bolorique, Vallecito de Calquinata e altri. Sempre nel glossario dei termini sardi sono compresi anche vocaboli spagnoli che dagli editori sono ritenuti voci sarde, come nel caso, ma non è l’unico, del fitonimo arboleda.

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