sabato 22 settembre 2012

Unu millione

Eris note amus brincadu su millione de bisitas. No isco pro ite, ma so cuntentu

Quella insana voglia bonapartista

L’articolo 114 della Costituzione italiana afferma che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Prima del 2001, quando con i suoi soli voti (4 in più) il centrosinistra approvò la riforma di questo e degli altri articoli del Titolo V, la Costituzione del 1948 affermava che “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”. La trasformazione non è da poco, visto che vi si riconosce, 53 anni dopo la approvazione della Carta italiana, “una posizione paritaria a tutti gli enti costitutivi della Repubblica” fino ad allora un quasi sinonimo di Stato. È una affermazione che irrita, e non poco, gli adoratori del centralismo bonapartista, fra i quali il costituzionalista Michele Ainis che oggi sul Corriere della sera si scandalizza perché così “lo Stato ha la stessa dignità del Comune di Roccadisotto” (fra l’altro inesistente) e parla di “sprezzo del ridicolo”.

giovedì 20 settembre 2012

Perbacco, quante cose dice quel frammento a Monte Prama

Foto dal sito Viaggi e vacanze in Sardegna
 di DedaloNur

Su invito di rsroberto nella discussione Dalle stalle alle stelle: l’upgrade dello scarabeo di Monti Prama ripropongo il mio invito a riflettere sul frammento di scarto di lavorazione delle statue. Questa è la notizia riportata da Rendeli, in La Profezia sul Passato p. 243-244 nota 4, da cui estrapolo il brano seguente:

Esiste poi una seconda via che lega il gruppo statuario a uno spazio consacrato di carattere civile piuttosto che funerario, più precisamente un edificio che potrebbe essere un tempio a megaron situato a qualche centinaio di metri di distanza o, in alternativa, da ricostruire nell’area delle tombe. Massimo Pittau, in un suo recente lavoro, propone la ricostruzione di una aedes nella quale i cosiddetti “pugilatori” potrebbero avere la funzione di “colonne-telamoni” (Pittau, 2008, pp. 27-30). Nel primo caso si scioglierebbe il legame fra area funeraria e complesso statuario, legame che C. Tronchetti e P. Bernardini ritengono molto forte e che viene avvalorato dal rinvenimento nella tomba 6 di un frammento di scarto di lavorazione di uno scudo: dunque appare  difficile sciogliere questo nesso (4).  (4): Questa notizia, presente nel diario di scavo redatto da Carlo Tronchetti, mi è stata ricordata da Paolo Bernardini in una sua comunicazione personale. Ringrazio entrambi: il primo per avermi concesso, con la consueta disponibilità e amicizia, la lettura del diario; il secondo per avermi ricordato questo fatto e per essere stato sottoposto a una lettura di questo testo con successiva, stimolante discussione di alcuni punti chiave del discorso.

Difficilmente potrò prender parte alla discussione. Quindi ribadisco preventivamente alcune mie considerazioni.

mercoledì 19 settembre 2012

Sos Nurakes e le città nuragiche

di Mikkelj Tzoroddu

Abbiamo appreso da una scorreria sul web, come il signor Mario Galasso, che pare molto addentro alle “cose sottomarine”, riferisca d’aver notato anni addietro, a duecento metri dalla riva, di fronte all’insediamento nuragico di Sant’Imbenia, nella Baia di Porto Conte, delle strutture circolari alte qualche decina di centimetri, poste ad una profondità di m. 2,5, che gli fecero pensare ad abitati nuragici (egli li chiama capanne nuragiche). Prendiamo atto (con ritardo per nostra colpa) della segnalazione, che il Galasso dice essere stata inoltrata inutilmente alla sott’intendenza di Sassari, e noi commentiamo: povero signor Galasso, non sapeva che a dirigere quell’ufficio, pagata, ebbene sì, anche con il suo danaro, era apaticamente stanziata la sviscerata amante dei Ciprioti, altrimenti nota come Nostra Signora della Soprintendenza? Ma noi, facciamo subito nostra la notizia che riteniamo carica di conseguenze per il prosieguo della riscrittura della davvero vetusta storia del Continente Sardegna. Acquisiamo pertanto il dato del Galasso circoscritto, così come rilasciato, dai semplici dati esplicitati, però sufficienti a permetterci di affermare che: in tal caso circa nel 750 a.C., quelle strutture si trovavano allo stesso livello del mare.
Orbene, siccome il saggio uomo non costruisce nulla al livello del mare, evidentemente esso, all’atto della “posa della prima pietra”, si trovava distante da quel punto. E, siccome il Nurake è una struttura destinata a rimanere in eterno (da quel poco che abbiamo potuto capire dei Nurakes) il mare, in quella circostanza d’inizio costruzione, doveva trovarsi non semplicemente distante, ma molto distante. Ora, essendo la percezione della risalita del mare (secondo il nostro parere) molto ben presente a qualsiasi cultura umana marinara dall’Ultimo Massimo Glaciale in qua, ed in particolare negli ultimi quindicimila anni (e, aggiungiamo, soprattutto per tutta quella terra emersa che definimmo Sardegna Paleolitica nella sua sì variegata manifestazione geomorfica), era evinte ai Sardiani, che il Nurake dovesse costruirsi molto lontano dal mare, anzi e meglio, dovesse essere costruito in un luogo che risultasse molto in alto rispetto al livello del mare. E, quale poteva essere una altezza di sicurezza? Secondo un parere che abbiamo elaborato fin dalla prima occasione in cui ponemmo in essere queste elucubrazioni, non può essere meno di sette-otto metri, meglio se dieci! Consideriamo però, come ciascun sito abbia le sue peculiarità e questa non può considerarsi pertanto una regola generale.
Bene, se prendiamo il luogo nominato dal Galasso e guardiamo (sulla carta nautica) verso il mare aperto, ci accorgiamo che a circa un miglio marino (m. 1852) trovasi l’inizio del limite di profondità proprio dei dieci metri, il che significa (a nostro parere) che del complesso che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, fu iniziata la costruzione prima di 4500 anni fa. Ma, quanto prima? Beh, noi crediamo che, per la Baia di Porto Conte, una altezza sul livello del mare di assoluta sicurezza, per quei tempi, dovesse essere rappresentata dai venti metri. E, sì, il limite di tale profondità trovasi a circa 1,5 miglia marine cioè a circa m. 2778 dal punto indicato dall’ormai nostro signor Galasso. Ed, in tale corrispondenza, in termini temporali, siamo andati indietro di circa 7000 anni dall’oggi. Quindi, l’inizio della costruzione dela struttura che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, può essere avvenuta anche settemila anni fa. Con buona pace delle asfittiche intellettualità che sono ancora ferme all’adorazione dei 3500 anni fa, senza aver mai, assolutamente, effettuato una pur minima ricerca per verificare e confermare tale data: essa fu rilasciata dall’obnubilato sapere di qualcuno e fu semplicemente fatta propria da tutta quella congerie di nanetti che stettero per decenni, ma ancora sono, accovacciati ed imploranti sotto il tavolo, a nutrirsi delle poche briciole di cultura che il caso fa loro cadere addosso. Si tenga presente che nel contributo scritto per questo blog nell’ottobre 2011 abbiamo scritto, suscitando il più negligente disinteresse (chiediamo venia per il voluto pleonasmo), essere nostra opinione (che ci deriva da una precisa elucubrazione su alcuni dati molto più circostanziati di questi buttati giù in un attimo senza prenderci nessun tempo, se non per dare un’occhiata qua e là) che la datazione del primo Nurake dovesse essere posta prima di ottomila anni fa, il quale dato si avvicina, guardate un po’, a quello testé scoperto!
Ergo, il momento in cui gli incapaci immaginano di far arrivare qualche straccione da qualsiasi dove (intorno al 1000 a.C.), proprio nella progredita città nuragica di Sant’Imbenia, quel popolo Sardiano, Grande Maestro Dell’Architettura, era ivi stanziato da moltissimi secoli, forse anche quaranta!
Caro ed attento lettore, considera un po’ se questo dato (che crediamo posto molto vicino alla realtà, il quale siamo disposti a discutere (magari fosse) con chicchessia) possa ancora permettere, a quei taluni, che tu profumatamente paghi perché ti diano onesta contezza di un lavoro intelligente, ben impostato, scientificamente condotto, senza badare a soddisfare nepotismi mentali, di raccontare amenità, dannose per te e per la riscrittura della storia della tua isola, ma certo utili a puntellare i loro ormai traballanti scranni.

domenica 16 settembre 2012

Sa Catalugna indipendente diat sighire a fàghere parte de s'Unione Europea

 de Sarvadore Serra (*)


In intro de su dibàtidu abertu subra de sa possibilidade, pro una Catalugna indipendente, de abbarrare in s'Unione Europea.   Horitzò Europa (assòtziu trasversale, apartìticu, catalanista e  europeista chi s'est formadu in Catalugna in su 2007). at fatu unu comunicadu in ue ponet in duda  chi s'Ispagna sigat a èssere membru de deretu prenu de sa UE. Custu assòtziu at giai fatu un'istùdiu subra de sa possibilidade de ampliamentu  internu de s'Unione Europea, elaboradu dae su professore Antoni Abat, de s'Univesidade  de Stanford, e presentadu in su mese de freàrgiu de su 2010.
Cunforma a custu istùdiu, sa Catalugna est unu territòriu de sa UE, de su mercadu comunu, de sa zona èuro e de s'ispàtziu Schengen, chi  "interessat totu sa legislatzione de s'Unione ". In custu sentidu,  su status de una Catalugna indipendente eventuale in intro de sa UE diat èssere una "chistione  chi diat chèrrere negotziada politicamente, cun s'interessu a li dare una solutzione  pro evitare chi sa crisi de s'èuro aumentet".
Manifestu indipendentista
S'istùdiu nos ammentat chi "sos Tratados europeos  no istabilint ite protzedura bi cheret  si unu territòriu  de un'Istadu membru si partzit". E narat finas chi "non prevident mancu sa protzedura de sighire in su casu de s'annessione  de unu territòriu esternu a sa UE a un'Istadu membru".B'at petzi unu casu chi diat pòdere èssere orientativu: s'unificatzione de sa Germània in su  1991, chi l'ant fata gràtzias a un'acordu polìticu.
Cun custa  premissa, pro Horitzó Europa un'indipendèntzia ipotètica de Catalugna  diat chèrrere nàrrere chi  "su Rennu de Ispagna de como si diat partzire  in duos Istados noos". Una situatzione chi, segundu s'istùdiu, "non b'at nudda chi asseguret  chi s'Istadu ispagnolu nou  resurtadu dae custu protzessu  diat sighire a èssere membru de s'Unione Europea in sas matessi cunditziones de como, e nemancu chi s'Istadu catalanu nou  diat dèvere cumintzare  su protzessu de adesione  a sa UE moende dae  zero". 
Cunforma a custu istùdiu, "s'Ispagna noa, mancari mantenende su nùmene suo, si diat agatare cun  37 milliones de abitantes e diat dèvere torrare a negotziare  sas cunditziones suas de adesione  a sa UE, comente su nùmeru de eurodeputados, su votu in su Cussìgiu o su cuntributu a su bilàntziu comunitàriu". A s'àtera ala, una "Catalugna  indipendente diat èssere erede de s'Ispagna betza e diat tènnere  sos matessi deretos e doveres,  in dae in antis de s'Unione  Europea, de s'Ispagna noa". "Duncas ", cuncruit s'istùdiu, diat torrare a negotziare sos tèrmines de s'adesione de sa Catalugna,  ma non si diat pònnere in duda sa continuidade de s'Istadu catalanu  in intro de s'Unione Europea.

sabato 15 settembre 2012

Saremar o Antitrust? Ma il sardismo è in grado di governare nel 2012?

di Adriano Bomboi (*)
 
Pur non vedendo alternative valide nell'insieme dell'indipendentismo, non da oggi ritengo che il
sardismo abbia perso la sua spinta propulsiva nell'offrire tutte quelle soluzioni che nell'ultimo
secolo sono diventate parte del patrimonio politico ed intellettuale Sardo. Il sardismo ha
cessato di ragionare sulle soluzioni strutturali e si è rintanato nelle suggestioni del passato. Il
dibattito regionale attorno al tema della “Flotta Sarda SPA” è solo uno dei vari esempi che si
potrebbero fare al riguardo. L'aver pensato che poche navi pagate dai contribuenti avrebbero
potuto invertire la drammatica situazione dei trasporti dell'isola è stata una operazione
alquanto ingenua e forse persino irresponsabile. Purtroppo nel nostro gruppo non ci eravamo
sbagliati.
L'intero nazionalismo Sardo oggi dovrebbe chiedersi a che punto è la riflessione sul tema della
Costituente: le riforme sono o non sono la chiave di volta per lo sviluppo sociale ed economico
Sardo? Io credo che pochi lo abbiano compreso. Le poche proposte di riforma dello Statuto
Sardo continuano a rimanere non aggiornate alla realtà culturale ed economica del 2012 e,
oltre ad esse, ben 13 partiti Sardi (fra autonomisti e indipendentisti) non riescono a produrne
di nuove, tantomeno ad alimentare un dibattito.

venerdì 14 settembre 2012

Il popolo che celebra le sconfitte

di Francu Pilloni

Esiste un popolo davvero strano sul nostro pianeta che celebra le vittorie altrui, ovverosia le proprie sconfitte. Si dice che viva circoscritto sul suo territorio da vari millenni, tutto compreso nel cercare di comprendere (scusate il gioco di parole) la propria angoscia esistenziale. Da come ho iniziato il mio discorso qualcuno arguirà che si tratta di un excursus storico vero e proprio, oppure di uno studio specialistico di antropologia, di quelli, per intenderci, in cui vene passata al microscopio ogni più piccola manifestazione quotidiana, comprese le eventuali rughe d’espressione della fronte che esprimono perplessità di fronte alla realtà, come pure la piega amara del disincanto riservata alla visione del futuro personale e collettivo. No, non è così: si tratta solamente del racconto di una realtà per altro non ignota, questa volta esaminata da un punto di vista estemporaneo, se non paradossale, come paradossale vi sarà sembrato il titolo di questa comunicazione. In parole povere, è come se guardassimo alla via che frequentiamo tutti i giorni non con i piedi sull’asfalto della strada, ma da sopra un campanile o, meglio ancora, come se vedessimo la città, il nostro quartiere o il paesello dall’alto, affacciati dal cesto di una mongolfiera così che i parametri più evidenti delle cose non sono più l’altezza delle stesse e i colori, ma la distanza e la relativa collocazione spaziale, poiché il colore dominante sarà quello dei tetti o dei prati.

mercoledì 12 settembre 2012

Milliones in Catalugna pedende indipendèntzia. E nois isetende late dae su mariane


Belle duos milliones de catalanos sunt falados eris a sas carreras e a sa pratzas de Bartzellona pro pedire s'indipendèntzia. Est a nàrrere chi cada bator eletores, unu fiat manifestende pro “Catalugna, istadu nou de Europa”, ponende fatu a sa mutida fata dae sa Assemblea Nacional Catalana. Fiat, comente si cumprendet, una manifestatzione unitària chi at collidu paris totu sas fortzas polìticas, dae su tzentru dereta de Convergencia a sa manca indipendentista a sos “eco-sotzialistas” de Iniciativa. Custa est s'imposta torrada a su tentativu, fatu dae su Guvernu de Madrid, de pedire a sa Catalugna una tzessione de soverania in càmbiu de unu imprèstidu de dinare. Dinare chi, de àteru, narant sos catalanos, “est dinare nostru”.
Pro cumprèndere sa chistione, bastat de cunsiderare chi in Catalugna s'istadu ispanniolu collit prus dinare de su chi dassat pro chi sos catalanos si potzant guvernare. E pro custu, su presidente de sa Generalitat Artur Mas at a addobiare a còitu su primu ministru de Madrid Rajoy, pro cuntratare unu raportu fiscale nou. Mas, in pratza eris non bi fiat: “Non potzo pedire s'indipendèntzia in su mentras chi so andende a tratare cun Rajoy” at naradu. E at annantu finas chi est bènnida s'ora de l'intregare a sa Catalugna istruturas de un'istadu.
Si sos catalanos, dae sa manca a sa dereta e dassende a banda sos natzionalistas ispanniolos, a sa crisi li torrant custa imposta, forte e sena dudas, milli chilòmetros a levante, in Sardigna cale est s'imposta sarda a una crisi econòmica chi paret sena essida? Mìgias de operajos dae cabu de susu a cabu de giosso faghent su chi podent pro sarvare su traballu semper prus a arriscu. Dae Portu Turre a Nuraxi Figus, dae Portu Vesme a Otzana su desertu industriale s'est mandighende su chi bi fiat. Una morte annuntziada non dae como, si non dae annos e annos. Tropu còmodu est a lis ghetare sas neghes de custu disacatu a sa polìtica chi, balla!, neghes nde tenet. Sa responsabilidade est de totu sa classe dirigente sarda, dae sa polìtica a sa sindacale a sa culturale a sa imprenditoriale.
Neghe ca est totu sa classe dirigente sarda chi at chertu custa industrializatzione sena isperu, chi at mandigadu una cantidade de dinare bastante a fàghere pròspera sa Sardigna, chi s'ischiat chi non podiat durare tempus meda. Ma neghe, mescamente, ca no at postu mente a unu disignu cale si siat pro sarvare sa Sardigna dae unu disacatu chi fiat a sas bistas. Ne a manca ne a dereta, ne sos sindacados ne sos imprendidores e prus pagu puru sos intelletuales cunventzionados cun sa polìtica, s'est cumpresa una cosa: s'Istadu italianu no est e nen podet èssere una imposta torrada a unu problema, s'istadu italianu est su problema de sa Sardigna. Pensare chi s'istadu italianu siat a gradu de nde bogare sos pees dae sos disacatos de Alcoa, Vinyls, Otzana, Nuraxi Figus e dae totu sas àteras crisis est un'alluinu: podet campare una classe dirigente compradora e dipendente, ma non podet isorvere sos anneos e sas traschias de chie est a puntu de pèrdere su traballu. Mìgias de persones e de famìllias chi sunt che a sos angioneddos pedende late a su mariane.

martedì 11 settembre 2012

Dalle stalle alle stelle: l’upgrade dello scarabeo di Monti Prama

--> di Atropa Belladonna

Dal punto di vista dell’analisi macroscopica, stilistica e iconografica, gliene hanno fatte di tutti i colori, manco il materiale si era riusciti a capire: osso, avorio o steatite invetriata? Adesso gliene han fatte di tutti i colori  dal punto di vista microscopico (1). È come se ad un umano facessero NMR, TAC, PET e analisi del DNA. Nell’introduzione, il sigillo viene definito chiaramente scarabeo e non più scaraboide: del resto i fianchi incisi e la morfologia del dorso lasciavano pochi dubbi sul dovuto upgrade. E finalmente si parla con linguaggio preciso e sintetico: “The chemical analyses of the glaze matrix and of the embedded crystal inclusions, together with the detailed characterisation of the texture of the glaze-body system, confirm the compatibility of the scarab with the glazed-steatite Egyptian production, and specifically with the Egyptian scarabs of the New Kingdom”.  
La composizione e la manifattura rimandano alla tecnica egizia del Nuovo Regno (1550-1070 a.C. ca.), come del resto l’analisi formale. Come è del resto vero per lo scarabeo dell’obelisco e, sospetto, per quelli dei complessi  nuragici di Nurdole  e  S’ Arcu e is Forros. Sull’altro scarabeo considerato egizio, quello di S. Imbenia, nulla posso dire: ne conosco solo il dorso (Figura).
E adesso? certo, lo scarabeo della tomba XXV può essere tranquillamente più vecchio della tomba stessa: nessuno usa scarabei per datare contesti, passano troppo facilmente tra le generazioni. Ma le datazioni all’VIII e al VII secolo sono cascate come paletti muffiti e non sarà più così facile affermare che necropoli e statue non possono essere più vecchie dello scorcio finale del VII secolo, come era stato fatto proprio sulla base di un’affrettata datazione dello scarabeo.

G. Artioli, I. Angelini, F. Nestola, New milarite/osumilite-type phase formed during ancient glazing of an Egyptian scarab, 2012, Applied Physics A, DOI 10.1007/s00339-012-7125-x

lunedì 10 settembre 2012

Anfora con scritta di S'Arcu 'e is Forros. Garbini: in filisteo - fenicio. No, in puro nuragico


I grafemi dell'anfora di Villagrande Strisaili
di Gigi Sanna
Ora non si 'nasconde' più, non si ignora più e non si fa finta di nulla. Le sorprese sulla scrittura dell'età del Bronzo finale e del I Ferro in Sardegna non arrivano da fonti di 'cialtroni' e/o di 'falsari' ma sempre di più dalle fonti ufficiali. Anzi esse si enfatizzano persino con annunci di rivoluzioni di conoscenza storica attraverso canali impensabili sino a qualche mese fa. Persino con comunicazioni di illustri studiosi in sedi prestigiosissime come l'Accademia Nazionale dei Lincei. Chi l'avrebbe mai detto!
Sappiamo ora attraverso un articolo dell'archeologa M. Ausilia Fadda e una scheda sintetica dell'orientalista G. Garbini (1) che nel sito nuragico di S'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili è stato rinvenuto un grosso frammento di anfora contenente per buona parte della superficie diversi segni di scrittura 'incisa dopo la cottura' del recipiente (2). La Fadda presenta una foto con i frammenti dell'anfora, in parte ricomposta e la illustra affermando che il testo in caratteri filistei e fenici si trova sulla spalla di un'anfora cananea (3) databile tra il IX e l'VIII secolo a.C. E aggiunge infine due informazioni date per certe, anzi certissime. La prima: è il documento più antico lasciato da genti del Levante. La seconda: purtroppo si tratta di un tipo di scrittura ancora indecifrato'.
Le cose però non stanno proprio così, a Villagrande Strisaili nessuno 'lascia' niente e non c'entra per niente la scrittura filistea e tanto meno il codice di scrittura fenicio. E vedremo perché. [sighi a lèghere]

mercoledì 5 settembre 2012

Il fatto è che i nuragici sapevano scrivere


L’articolo di domenica scorsa, I filistei smemorati, ha suscitato alcune decine di commenti, solo pochi dei quali sul merito: la scoperta a Arcu de is forros di una iscrizione attribuita ai filistei. Naturalmente non me ne dolgo, per due ordini di ragioni. Il primo è che, una volta pubblicato, un articolo – e persino un libro – cammina con le sue gambe e prende strade ignote al suo autore. Il secondo ordine di motivi riguarda la mia evidente incapacità di mettere a fuoco l’argomento. Tento, così, di farlo, tralasciando questioni, certo importantissime, che gli sono, però, collaterali.
Figurarsi se non ho presente un aspetto della nostra storia passata, quella degli Shardana, che è fondamentale per conoscere chi eravamo o non eravamo. Dico soltanto, su questo, che della questione esistono diverse letture e diverse interpretazioni e che una di esse, eretica rispetto alla vulgata corrente, è stata illustrata non in un articoletto su un blog, ma in un convegno internazionale promosso dalla Università di Haifa. Voglio dire che la relazione (e le pezze d’appoggio scientifiche) di Giovanni Ugas hanno almeno la stessa dignità delle poche righe apodittiche di un paio di altri studiosi. Come l’hanno, del resto, i lavori di molti altri studiosi che hanno spesso (troppo poco spesso) onorato questo blog.
Ma nei pressi di Villanova Strisaili, a Arcu de is forros, si è di fronte a qualcosa di diverso, capace di confermare, con la voce dell’ufficialità, la tumulazione di uno stereotipo: i protosardi non scrivevano, i protosardi sono stati trascinati nella storia da popoli venuti da lontano. A chi segue questo blog (quasi un milione di visite in tre anni e mezzo) la faccenda non è certo ignota: ha seguito gli articoli di Gigi Sanna ed è a conoscenza delle reazioni che i loro articoli hanno suscitato, prima di isterica negazione, poi di tentati approcci dialettici, quindi di insultante derisione, in fine di silenzio tombale. Recentemente ci sono stati ripensamenti, non ancora un dietro front, ma un timido approccio alla questione “scrittura nuragica” con o senza virgolette. Difficile negare che la capacità di Sanna di non arrendersi al dileggio abbia provocato questo cambiamento di approccio, ma non ancora la fine della pratica del nascondimento: la barchetta di Teti, il coccio di Pozzomaggiore, la “rotella” di Palmavera, fra gli altri oggetti visibilmente scritti.
Il recente articolo di Maria Ausilia Fadda e di Giovanni Garbini su Archeologia Viva, pur con le reticenze degli autori, i loro salti logici, i loro silenzi, i contorcimenti compiuti davanti al bellissimo reperto, una cosa tira fuori con chiarezza: agli inizi del Primo millennio avanti Cristo nel centro Sardegna si conosceva la scrittura. Essi affermano che il coccio cananeo con scrittura filistea è dell’VIII secolo e secondo la signora Fadda, la data è certa perché lo strato su cui giaceva è certamente databile. Secondo un amico archeologo, si tratta di una buona approssimazione, ma non di una certezza, visto che difficilmente un oggetto di tanto pregio non avrebbe seguito la vita e le sorti dei frequentatori del santuario nato mezzo millennio prima. E seguendo queste sorti avanzato strato dopo strato. Decisiva sarebbe la datazione della scritta.
Ma non è questo che, poi, conta molto. Conta che i nuragici di allora erano dentro la storia e fuori della preistoria. Cosa che Gigi Sanna afferma da tempo e che ora trova una “conferma accademica”. In due loro interventi, centrati come sempre e come sempre rarissimi, Pietro Murru e Maimone si chiedono e ci chiedono di che natura sia il tarlo divoratore che si nasconde dietro la disistima mostrata da tanti archeologi. Secondo me, si tratta del tarlo della solitudine. I tentativi della dr Fadda prima di spostare Sirilò (alle porte di Orgosolo) in pieno Supramonte per dire che lì erano arrivati i romani, oggi di mettere i filistei al centro dell’Ogliastra a far da direttori dei lavori dei nuragici, nascono dalla paura che qualcuno possa pensare ai nuragici e ai post nuragici come degli isolazionisti. Gente chiusa, refrattaria ai contatti e alle contaminazioni.
E pensare che le basterebbe convincersi che quelle navicelle nuragiche (una bellissima è stata trovata a Arcu de is forros) non erano semplice lampade votive, ma riproduzione in scala di navi naviganti e questi suoi timori svanirebbero nel nulla.   

domenica 2 settembre 2012

I filistei smemorati


La lenta marcia di avvicinamento di archeologi sardi all’idea che i nuragici scrivessero può esser letta con ottimismo o anche con il fastidioso dubbio che sia ormai irreparabile la inadeguatezza della nostra scuola archeologica. Per indole, propenderei per l’ottimismo: in fondo sono passati appena quattro anni da quando questo blog, solitariamente, ha cominciato a pubblicare notizie e articoli sulle scoperte che venivano fatte di iscrizioni nuragiche. Quattro anni fa, la vulgata archeologica sarda produceva fondamentalmente luoghi comuni offensivi e immotivati del tipo “si tratta di falsi” e sillogismi come questi: “La scrittura è roba da città e da stato, i nuragici non avevano stato né città, ergo…” o “I vinti non hanno scrittura, i nuragici sono dei vinti, ergo…”. Nella vulgata, erano ospitate anche affermazioni apodittiche quali “i nuragici non avevano bisogno di scrivere”.
Certo, nessuno dei negatori arrivò, allora, a concepire inarrivabili affermazioni come questa, riguardante alcuni reperti archeologici: Essi non recano “alcuna traccia di scrittura di età nuragica anche perché, come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura”. Ma qui parla un ministro e non a tutti è concessa una profondità concettuale che solo quel ruolo assicura. Chi ha seguito questo blog negli ultimi tempi, sa che la “scrittura nuragica”, con o senza virgolette, è argomento di un articolo di Paolo Bernardini  e di due articoli di Giovanni Ugas scritto per questo sito. La scrittura nuragica, non mi interessa ora dire come, è insomma stata affrancata dal silenzio o peggio dalla negazione assoluta.
Da qualche giorno, ai due archeologi si sono uniti l’ex soprintendente di Nuoro e direttrice degli scavi a Arcu de is forros, Maria Ausilia Fadda, e l’esperto di filologia orientale, Giovanni Garbini. Su Archeologia viva, la dottoressa Fadda ha scritto un articolo tanto bello e informato nella descrizione di cioò che è stato trovato negli scavi di Arcu de is forros (circa 7 km a nord di Villagrande Strisaili) quanto raffazzonato e ambiguo nella interpretazione di uno straordinario reperto, quello di cui si occupa Stella del mattino e della sera. Una cosa, lei e Garbini l’affermano: quell’anfora cananea del 700 aC è scritta con lettere filistee incomprensibili. Secondo l’archeologa nuorese, la scritta potrebbe essere “la matrice linguistica del protosardo”.
Tralasciando la ambiguità di quel “matrice linguistica” che il protosardo avrebbe trovato nell’VIII secolo in una scritta filistea, resta il fatto che i protosardi, malamente come potevano fare delle scimmie copiatrici, scrivevano. Senza città e senza stato. Secondo Garbini, come detto, l’epigrafe è indecifrabile. Quei filistei del 700 aC, insomma, a contatto con i lontani isolani, avevano dimenticato come scrivere lettere comprensibili ai posteri. Capite perché è fondato il dubbio che la confusione sia grande. Ho come l’impressione che, per ripicca o per altro, c’è chi vorrebbe leggere, per dire, ควาย (bufalo in lingua tai) servendosi dell’alfabeto latino, concludendo, così, che si tratti di segni incomprensibili.
La scritta sull’anfora è quella che trovate in testa a questo post. Nella mia ignoranza, ci vedo un pugnaletto nuragico così come lo ha visto l’amico Stella, e come segnalo qui accanto. Forse è dunque vero, in filisteo non si capisce. E se si usasse il nuragico (con tutto quell’armamentario di segni che Gigi Sanna da anni ci suggerisce)? Coraggio, amici archeologi: molti di voi hanno fatto il gran passo, ammettendo che i nuragici scrivevano. Compite un altro piccolo passo e usate la griglia che potete trovare anche in questo blog.

venerdì 31 agosto 2012

La Signora in giallo

di Stella del Mattino e della Sera

Dove arriva lei spunta il mistero. Una navicella fantasma a Teti, uno scarabeo nel ripostiglio di S’Arcu e is Forros che è lì in modo “inconsueto e inspiegabile” (1). Scritte indecifrabili al nuraghe Nurdole (1). Una Tanit più vecchia dell’epoca Cartaginese (1) (aiuto! vuoi vedere che quel simbolo è più antico??!! noooooo).
A un certo punto non ce la fa più e chiede aiuto ad un epigrafista di fama universale. Che invece di dipanare la nebbia la infittisce (gli epigrafisti son fatti così). Allora ecco che a S’Arcu e is Forros spunta un’anfora Cananea, in mezzo a un po’ di pentolini Nuragici, con una bella scritta di quelle lunghe lunghe. L’Epigrafista la decifra così:
1. segni incisi dopo la cottura (dove e quando? non si sa) su un’anfora Cananea dell’ VIII sec. a.C.
2. I segni sono Filistei e Fenici
3. Un segno (e dico ben un segno signori!) uguale ad un segno presente su un ostrakon di Ascalona, una città Filistea
4. Scrittura indecifrabile
5. Indica forse la matrice linguistica del protosardo (ma perché, se è Filistea, Fenicia e indecifrata?)
Certo che quella scritta è incasinata forte! altro che i mix di Sanna, le fanno un baffo.
Tanto che c’è, il duo vuota il sacco e confessa anche che a S’Arcu e is Forros c’è una lima Nuragica con un paio di letterine incise e sul muro esterno del nuraghe Nurdole ci sarebbero 4 segni di scrittura in fila, che l’Epigrafista non è in grado di leggere. Però, udite, udite, vuole dire che i Filistei erano presenti quando il nuraghe fu costruito! Ma che….? A Nurdole poi c’è un’altra bazzeccola di uno scarabeo Egizio col nome di Amenhotep III e la crittografia di Amun, con un amuletino con segni di scrittura senza significato (sarà Filistea?).  Signora in Giallo: tanto che c’era gliel’ha fatta vedere al professore la navicella scritta?
P.S.: per me in quella scritta sul caraffone Cananeo ci hanno infilato un pugnaletto Nuragico, per fare casino e senza significato (freccia rossa)

(1) M.A. Fadda, S'arcu 'e is Forros, Nuragici, Filistei e Fenici fra i monti della Sardegna (con scheda di Giovanni Garbini), Archeologia viva, n.155 settembre-ottobre 2012, pp.46 -57

giovedì 30 agosto 2012

Rayaniar faeddat in sardu puru


Su Comitadu pro sa limba sarda l'at torradu gràtzias oe a su Cumandante de Rayanair chi bolende sas dies coladas cara a Casteddu at impreadu sa limba sarda, in prus de àteras limbas, pro lis dare informos a sos passigeris chi ant agradèssidu meda. Su videu, giradu dae unu de sos biagiadores, at fatu su giru de s'Internet e a chie no l'at galu bidu l'agatat inoghe e totu. Cumbidende a Rayanair a la sighire gasi in totu sos bolos chi interessant sa Sardigna, su Comitadu pro sa limba sarda proponet a su Consìgiu regionale de faghere a manera de imperare s'impreu finas de sa limba sarda a totu sas cumpangias, aèreas, maritimas chi siant, ponende·bi in mesu, craru, sa regionale e sa privadas de postales chi biàgiant in Sardigna.
Su comunicadu de su Comitadu est inoghe.



Miniere, Alcoa e altri segni di coma


L’agonia della industrializzazione in Sardegna ha ripreso le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei telegiornali. Ora tocca alla miniera di Nuraxi Figus, ieri all’Alcoa, prima alla Vinyls e prima ancora alla petrolchimica di Ottana. Fra l’uno e l’altro dramma, una miriade di fallimenti nell’industria tessile, in quella estrattiva (qualcuno ricorderà pure l’infamia della miniera d’oro di Furtei) e in quella edilizia. Figli della mala sorte, questi fallimenti? No, ma neppure figli solo della politica che di questi e di futuri disastri è responsabile insieme ai sindacati, ad una imprenditoria compradora e di una intellettualità impastoiata nella retorica industrialista  e incapace di esercitare la critica. O meglio, critica sì, ma nei confronti delle poche voci avverse, accusate di essere nemiche della classe operaia e delle sue magnifiche sorti e progressive.
I partiti italiani, tutti senza eccezione e con a volte la complicità del Partito sardo, hanno nel passato condiviso e fatto digerire ai sardi la monocultura petrolchimica e, quando questa cominciò ad agonizzare, stanziarono una quantità enorme di denaro per prolungare questo coma irreversibile invece di elaborare un progetto per la fuoriuscita non traumatica dalla crisi. Se la politica ebbe gravi responsabilità, non minori furono quelle degli altri segmenti della classe dirigente sarda. La incapacità di avere visioni autonome da quelle proprie delle rispettive centrali statali, fece sì che le imprese più truffaldine in circolazione potessero far nido in Sardegna con il finanziamento della mano pubblica. Colpa di partiti incolti e etero-diretti, certo, ma non si è mai sentita una voce critica da parte dei sindacati, degli imprenditori. Solo a truffa avvenuta e solo per l’intervento della magistratura si è “scoperta” una faccenda lampante.
L’Alcoa, una delle industrie più affamate di energia in una terra dall’energia carissima, è a rischio chiusura da almeno tre anni. Tre anni perduti nella irresponsabile corsa ad illudere i lavoratori che ne fosse possibile salvezza e rilancio. Persi, dico, perché in tre anni si sarebbe dovuto e potuto trovare una via di uscita non per conservazione di quel “posto di lavoro” ma per la sicurezza del lavoro. Fra qualche giorno, a Roma la questione dell’Acoa sarà al centro di un incontro che dovrebbe affrontare anche quella, davvero disperata, della miniera di Nuraxi Figus (Nuracsi, come pronunciano irritanti annunciatori televisivi, tanto pieni di sé da neppure informarsi). Se per la fabbrica d’alluminio, qualche speranza di prolungamento d’agonia c’è, per la miniera del Sulcis pare proprio di no.
D’accordo con l’amico Vito Biolchini: Io sto con i minatori, ma non con la miniera. La Sardegna chiuda definitivamente con il carbone: perché il vero sviluppo sta altrove. Meno con il suo j’accuse unilaterale contro la politica. Che, ripeto, ha enormi responsabilità, soprattutto di subalternità e di dipendenza. Ma che ha buona compagnia nei sindacati impegnati quasi esclusivamente a scaricare sulla politica responsabilità sue proprie. E ottima compagnia in quel ceto intellettuale che si è cullato nella mistica industrialista e operaista e che oggi sogna il giorno in cui potrà dare spallate.

mercoledì 29 agosto 2012

L’evento della luce dei fori apicali del nuraghe Ruju di Torralba

Nuraghe Ruju di Torralba
del Gruppo Ricerche Sardegna 

Come sappiamo i nuraghi sono considerati, dalla maggior parte degli archeologi, delle strutture di carattere militare; eppure in questi ultimi anni la loro unica funzione di fortezza è venuta meno, sostituita gradualmente da altri ruoli, come quello di magazzini o residenze reali.
Pochissimi cattedratici hanno ipotizzato che fossero templi, il più noto fra questi è sicuramente il Prof. Massimo Pittau. Sono ormai storici gli studi di Carlo Maxia e Lello Fadda, tra i primi ad aver portato come prova della funzione del Nuraghe-Tempio, i singolari eventi che accadono periodicamente all’interno di questi monumenti. Furono proprio questi due studiosi ad aver messo in evidenza il singolare evento da noi chiamato “fenomeno della luce dal foro apicale”. Gli eventi all’interno del nuraghe Aiga di Abbasanta, e del nuraghe Biriola di Dualchi furono da loro scoperti. A questi due casi si sommarono quello del nuraghe Is Paras di Isili (Zedda 1992) e altri due casi, l’Ola di Oniferi e il Nani di Tresnuraghes. Quest’ultimo da noi studiato e reso noto, assieme ad un accurato studio su altri eventi analoghi, nel libro “La luce del toro” (G.R.S Gruppo Ricerche Sardegna, PTM 2011). 
L’evento in questione si verifica quando il sole, nei giorni del solstizio d’estate, raggiunge una determinata altezza. In questo giorno così particolare è possibile ammirare uno degli eventi più sbalorditivi che animano queste antiche torri. Un sottile raggio di luce penetra attraverso il foro ricavato dagli antichi costruttori all’apice della cupola costruita all’interno del nuraghe. Tale raggio attraversa tutta l’ampia volta e va ad illuminare (se presente) la nicchia in sala, oppure la base della camera (Is Paras di Isili). [sighi a lèghere]

martedì 28 agosto 2012

Notizie false e fascismi veritieri

Circola da più di un mese nella Rete una notizia (IL COMUNE DI ORGOSOLO INTITOLA UNA STRADA AL DUCE) del tutto inventata dal gestore di un blog, Er blog der gatto col sombrero. Benché totalmente falsa, la notizia ha suscitato indignate reazioni di condanna, altre di incredulità e altre ancora di entusiastico sostegno alla dedica a Mussolini di una via orgolese, intitolazione che, naturalmente, non c’è mai stata. È una vicenda, questa, che dà da pensare a quanto possa la comunicazione attraverso l’Internet: un bufala, costruita attorno ad una falsa notizia e condita con una falsa intervista con il sindaco del paese e con una altrettanto falsa dichiarazione di un giovane militante dell’Anpi, continua a fare opinione e a suscitare dibattito fra “fascisti” e “antifascisti” di varie località. Quel blog imbroglione ha a suo modo mostrato come, sia pure in scala ridotta, si possa indirizzare e dirigere un dibattito sul nulla.
Ma è proprio il nulla? Da qualche giorno il termine “fascista” è tornato a circolare sui media come categoria dell’insulto, per via dell’epiteto regalato dal segretario del Pd a un altro uomo politico, Grillo. Si ricorderà che anche negli anni scorsi, l’anatema “fascista” fu largamente usato insieme allo speculare “comunista”. Il primo lanciato dalla sinistra contro Berlusconi, il secondo dall’ex premer contro il Pd. Allora l’intellettualità progressista e gran parte dei media – pochissime le eccezioni – strizzarono l’occhio.  Dall’altra parte della barricata, altrettanto fecero i non molti intellettuali e media di destra ammiccando agli strali lanciati da Berlusconi.
Sembrava, allora, normale dialettica politica, nell’edizione becera che della dialettica si andava affermando. E, infatti, le reciproche enfasi non suscitarono grandi discussioni. Diversamente da quanto avviene ora, quando gli insulti (fascista, zombi e altre piacevolezze) sono scambiati all’interno di quello schieramento che fu definito anti-berlusconiano e che con una approssimazione molto lasca è oggi definito di sinistra.
Che Grillo e Di Pietro utilizzino (oggi contro il Pd, ma ieri contro il berlusconismo) gran parte dell’armamentario tipico dei partiti totalitari è fuor di dubbio. Ho dubbi sul fatto che questo armamentario sia solo fascista e non, come mi sembra, anche comunista. L’evocazione dei morti viventi è tipica della cultura fascista, ma il bollare di fascista chi è dall’altra parte è parte integrante di quella comunista, quella che inventò l’epiteto di “pidocchi” a favore di intellettuali dissidenti. Se da quella parte dell’orizzonte politico italiano il marasma è completo, la parte opposta certo non sta meglio se, alla fine dei conti, dovrà ricorrere a Berlusconi per presentarsi al voto, l’anno venturo.
Quel che mi domando è che ci stiamo a fare da sardi in quella piazza politica. Non ho certo intenzione di dare a quel blog più importanza di quel che ha. Ma se una notizia falsa come il demonio, nata a tavolino in qualche parte della penisola, riesce a scatenare anche da noi una discussione infuriata su Mussolini e il fascismo, vuol dire sì che ormai la Rete non ha frontiere, ma anche che la dipendenza culturale fa più danni di quanto si possa pensare.

venerdì 24 agosto 2012

Macchè lotta allo spreco: la guerra è alle regioni speciali


Sostengo da tempo che le vestali dell’anti-casta utilizzano la sacrosanta battaglia contro gli sprechi nella amministrazione pubblica per scopi assai meno nobili. Del resto non hanno mai nascosto quale fosse il loro obbiettivo: riaccentrare nello Stato competenze e funzioni che persino una Costituzione unitarista ha dovuto delegare verso il basso: regioni, province, comuni. Non lo hanno nascosto, ma gran parte di noi ha fatto finta di non accorgersene. Persino chi non fa mistero delle proprie simpatie indipendentiste, sovraniste o solo federaliste ha creduto che, per fare un esempio, la guerra contro le province fosse davvero uno strumento per razionalizzare la spesa pubblica e, addirittura, per cominciare a debellare la casta politica.
L’abolizione delle province – misura sacrosanta se avesse comportato la contemporanea abolizione delle prefetture e, dunque, del dominio del Governo centrale sugli enti locali – è solo un grimaldello per riaccentrare poteri. Il risparmio c’entra assai poco ed è comunque un effetto collaterale. Quel che i neo bonapartisti  vogliono è un processo di concentrazione di tutti i poteri in capo allo Stato, ripercorrendo il cammino di “piemontizzazione” iniziato nel 1861, continuato durante il fascismo e interrotto nel secondo dopoguerra. Non è un caso che gli stessi vati anti-casta si scaglino contro le lingue delle minoranze non protette da trattati internazionali. Il preteso è che si spendono denari per tutelarle, spese inutili, sprechi. Una emerita stronzata, quasi che la lingua del Governo italiano non utilizzasse una marea di denaro per autotutelarsi e autoriprodursi. Il passo successivo era nelle cose e nelle cose infatti è: l’assalto alle regioni e, soprattutto, alle regioni speciali. Hanno ragione Adriano Bomboi scrivendo che questi attacchi sono il segno di una profonda incultura politica e Roberto Bolognesi, invitandoci a prepararsi al peggio.
Fino a qualche tempo fa, gli assalti alle autonomie, comunali, provinciali e regionali, sono stati, per così dire, impliciti, detti sotto voce. La politica del Governo Monti contro le autonomie e, ultimamente, contro le lingue ha dato animo a questi neo giacobini e soprattutto ai due loro portavoce che hanno fatto nido nel più importante quotidiano italiano: Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Il primo un tantino più eufemista del secondo che ieri ha finalmente rovesciato sul Corriere della Sera tutto il suo carico di ideologie vetero-stataliste. Un vera summa di stereotipi giacobini, che, se diventassero davvero linea di governo, aprirebbero alla Sardegna (e alle altre nazionalità della Repubblica) un’unica strada: quella del distacco dallo Stato italiano.
Rizzo non solo se la prende con la sinistra per la riforma del Titolo V della Costituzione, a suo parere troppo autonomista, ma caldeggia “l'unica proposta sensata che può rimettere l'Italia in carreggiata, ovvero una revisione radicale del ruolo e delle funzioni delle Regioni. A cominciare dall'abolizione degli statuti speciali”. Se così fosse, se – voglio dire – questa non fosse solo una mattana agostana, ma fosse la raccolta di piani di palazzo, alla Sardegna non resterebbe altro che mettere in cantiere con urgenza un progetto non più di Statuto di sovranità ma di Costituzione di stato indipendente. Mentre i partiti italiani nell’Isola, anche quelli che sembrano più aperti a un processo sovranista, cincischiano, persino votando la fiducia a chi ci discrimina su base nazionale, la cultura italiana dominante sogna un ritorno ad un centralismo totalizzante. E poco male se lo sognasse solo: sta regalando ad una politica allo sbando una elaborata piattaforma ideale e culturale per una azione concreta.
È vero che, tutto sommato, con tutti i loro difetti e meschinità, i ceti politici sono meglio dei ceti intellettuali, ma non sarebbe male che in Sardegna riflettessimo con attenzione su quanto questi ultimi vanno partorendo. Non vorrei che ci trovassimo, del tutto impreparati e con disperazione, a dover reagire agli esiti di questa nuova ventata di depresso giacobinismo. 

mercoledì 22 agosto 2012

Calendari Nuragici LuniSolari

di Giancarlo Melis

A fine giugno di una decina d'anni fa, poco dopo le sei del mattino durante l'ora della mia corsa quotidiana, dopo aver terminato una salita, lo sguardo spaziava in direzione dei monti verso ovest. Una grande luna piena occupava l’orizzonte. Bellissima, quasi incredibile nella sua magnificenza - pensavo – mentre continuavo ad osservarla prima di affrontare un altro tornante alla mia destra. Svoltando, il mio stupore non venne a mancare perché di fronte a me vi era il grande disco solare da poco sorto che si stagliava enorme nel cielo. Volgevo lo sguardo alternativamente ad est e ad ovest per osservare i due astri fronteggiarsi per un fugace momento nel loro pieno splendore(1) e il mio pensiero fu: "Iside è riuscita a ritrovare tutti i pezzi del suo sposo e a ricomporre Osiride." 
Una domanda mi posi allora: I nuragici conoscevano la misura del fallo di Osiride? Conoscevano cioè quel segmento/numero che metteva in relazione i fenomeni solari e lunari e i rispettivi calendari per poter dare origine a un nuovo ciclo temporale più o meno lungo?
Una positiva ed esauriente risposta ci è stata data e documentata da Mauro Peppino Zedda con le sue illuminanti ricerche. La tenacia dell’autore nel perseguire le sue iniziali intuizioni, malgrado il disinteresse del mondo accademico tradizionalista, ha aperto una grossa breccia nell’oscurità del periodo nuragico. L’autore si pone giustamente anche un’altra domanda: quali stelle di prima grandezza avevano, in quel periodo, una declinazione compatibile con l’orientamento dei nuraghi? Perché il collocare/costruire nuraghi che incorporano le posizioni dei lunistizi e le direttrici dei solstizi faceva si che, oltre a soddisfare le necessità calendariali, gli stessi fungessero da gnomoni per l’osservazione del tempo del cielo e per annottare il grado/tempo di variazione del sorgere o tramontare eliaco/draconico delle costellazioni, delle stelle e dei pianeti, in particolare quelli che fungevano e tuttora fungono da segnatempo, singolarmente Venere, Giove e Saturno o in coppia in occasione delle periodiche congiunzioni (es. Giove Saturno ogni venti anni). [sighi a lèghere]

lunedì 13 agosto 2012

Custu blog si leat unas dies de pasu
pro Mesaustu
chi siat de paghe e de allegria pro totus

Gli "oneri aggiuntivi" che cancellano sardo e friulano


di Carlo Puppo (*)

Abbiamo soltanto un problema di oneri aggiuntivi.” Con queste parole il rappresentante del Governo italiano Gianfranco Polillo, sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze, ha espresso la sua contrarietà all’ordine del giorno promosso dall’on. Federico Palomba (IdV) e sottoscritto dai deputati Carlo Monai (IdV), Caterina Pes (PD), Ivano Strizzolo (PD), Fulvio Follegot (LN), Manlio Contento (PdL), Mauro Pili (PdL), Settimo Nizzi (PdL) e Giovanni Paladini (IdV). Ordine del giorno che, vista l’opposizione del Governo, è stato bocciato con 355 no, 132 sì e 12 astenuti.
Quale il motivo del contendere? Il fatto che l’ordine del giorno, se approvato, avrebbe impegnato il Governo Monti ad intervenire affinché fosse mantenuta la regola che fissa come base di calcolo per le Istituzioni Scolastiche Autonome il numero minimo di 400 alunni in ragione della loro appartenenza ad aree in cui sono presenti minoranze linguistiche riconosciute con la legge statale 482/99. In pratica a superare quell’aberrazione storica e giuridica rappresentata dal concetto di “minoranze di lingua madre straniera” introdotta dal decreto n. 95/2012 in materia di revisione della spesa pubblica che il 7 agosto, con il voto conclusivo della Camera dei Deputati, è diventato legge. Una legge che, se diamo credito alla relazione tecnica che accompagnava il decreto legge, qualificava come dialetti il friulano, il sardo e l’occitano, in aperto contrasto con la 482/99.