martedì 12 giugno 2012

E se pensassimo alle elezioni sarde come ad elezioni sarde?

Dai commenti ai risultati elettorali di ieri in Sardegna, mi pare assente una considerazione che potrebbe sembrare banale e che invece non lo è: sono qualitativamente diversi da quelli che si sono avuti, appena un mese fa, in Italia. Provo a mettere in luce queste diversità. L'epidemia di sfiducia in tutto ciò che sappia di politica (compresa l'elezione di un sindaco) si è, naturalmente, diffusa anche in Sardegna, ma quel 1 per cento in più di affluenza alle urne rispetto all'Italia è, forse, un timido accenno al fatto che gli elettori cominciano a subodorare l'inganno nella martellante opera di demolizione della politica. Forse, ripeto.
Ciò che è fuori di dubbio è che la logica del voto sardo è diversa da quello del voto degli italiani.
  • Il Centro, ridotto al lumicino in Italia, in Sardegna è uscito vincitore nell'Isola;
  • Il Pdl, anche esso quasi raso al suolo nella Penisola e in Sicilia, qui resiste niente male;
  • Il Pd, sicuro di ripetere in Sardegna il buon risultato ottenuto in Italia, si deve accontentare della speranza di rifarsi, fra 15 giorni, nei ballottaggi a Oristano e a Alghero;
  • Di Pietro, reso arzillo dalle sue vittorie, si è ridotto a partitino dell'1 per cento sia ad Oristano sia dove, come ad Alghero, la sua politica era ben rappresentata da Beppe Grillo;
  • Il vento grillista, che in Italia ha soffiato molto forte e promette di essere bufera nel futuro, ha ottenuto quasi il 15 per cento a Quartucciu e il 5,2% a Alghero (anche se la sua candidata è stata votata da quasi il doppio degli elettori;
  • Dove, a Bolotana, si è presentato da solo, fuori dall'alleanza nazionale di centrodestra, il Partito sardo ha ottenuto il 20 per cento.
Questi dati, al di là del trionfalismo di chi si sentiva moribondo e ha avuto una proroga di esistenza in vita e al di là della delusione di chi si sentiva già vittorioso, significano, credo, che val la pena di ragionare sulla realtà e non sulle speranze, scambiate con l'annuncio di una ineluttabile palingenesi del popolo sardo. Le difficoltà evidenti del governo sardo e del suo presidente, lo sfarinarsi della sua maggioranza in previsione dell'inevitabile sconfitta e anticipando il “si salvi chi può”, la certezza che l'opposizione diffondeva della sua vicina vittoria, avevano dato per scontato che la fine di Cappellacci fosse questione di mesi se non di settimane. C'era già in agenda la data di elezioni anticipate.
Forse ci saranno, è possibile. Ma non per le ragioni che a destra e a sinistra parevano evidenti: la sconfitta della prima e la vittoria della seconda alle elezioni di domenica. Quel voto ha indubbiamente rafforzato Cappellacci nell'immediato, ma non certo salvato. Il problema è che l'opposizione, più che gridare e perseguire il tanto peggio, poco altro ha saputo fare, facendo credere che bastasse schierare le forze del bene contro quelle del male per conquistare le coscienze. Se le elezioni saranno anticipate è perché c'è chi, come il Partito sardo d'azione e suoi alleati, è pronto ad affrontarle, proponendo agli elettori non incartapecorite alternative fra destra e sinistra ma una scelta fra una Sardegna succursale dello Stato e un processo di autogoverno.

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