lunedì 30 luglio 2012

Cannonate mediatiche contro lingue e autonomie


Sarà durissima da ingoiare, ma adulti e vecchi dovremmo rassegnarci a restituire ai nostri figli e nipoti quel che lo Stato (e noi per la parte che ci tocca) ha sperperato in diversi lustri. Dovremo rassegnarci, indipendentemente dal fatto che individualmente o come gruppi familiari abbiamo partecipato ad aumentare il debito pubblico. Molti dei tagli alla spesa annunciati saranno duri, altri ingiusti, altri malamente sopportabili. Ma ce ne sono di intollerabili per il loro carico ideologico, come quelli minacciati contro gli elementi di democrazia linguistica di cui più volte anche su questo blog si è scritto. Con quei tagli non si risparmia se non qualche briciola, ma si rischia di distruggere un clima di tolleranza e di pacifica convivenza fra lingue e nazionalità diverse della Repubblica, clima che si è costruito in decenni di battaglie culturali e politiche.
Il “risparmio”, la “lotta agli sprechi” sono categorie in sé affatto condivisibili. Ma spesso nascondono, sia nella politica sia nei media che le agitano, un odio ottusamente giacobino nei confronti delle autonomie territoriali, linguistiche, culturali. I professionisti dell’anti-casta, cui pure va il merito di aver fatto i conti in tasca ai ceti politici, alla fine non riescono più neppure a velare quale sia il loro sogno: il ritorno ad un centralismo napoleonico, quello del Risorgimento e del suo figliolo il Fascismo, che mai del tutto vinto, con la Costituzione era stato almeno scalfitto. Le pulci fatte alle autonomie regionali, quelle speciali soprattutto, e a quelle locali, ai loro costi, hanno poco a che fare con l’economia e molto con la statolatria e la diffidenza per l’autogoverno.
Uno dei padri fondatori dell’anti-casta, Sergio Rizzo, scrivendo del riordino delle Province afferma che esso “non verrà deciso dall’esecutivo, ma dalle autonomie locali, cioè dalle stesse Province. Un po’ come dare al cappone il potere di scegliere come e in quale modo celebrare il Natale”. Del “risparmio” a gente così non può fregargliene di meno: quel che vogliono è che sia l’esecutivo centralizzato a decidere quando e come immolare i capponi, cioè i cittadini nell’idea che se ne è fatta. Del resto, sono i professionisti dell’anti-casta che hanno pompato, fino a far fare una magra figura a Mario Monti, la campagna per il commissariamento della Regione siciliana con la falsa previsione di un suo prossimo fallimento per via degli sprechi perpetrati.
La lotta agli sprechi nella pubblica amministrazione, giusta per l’amor del cielo, è arrivata a tale punto di paranoia che, come mi è capitato di leggere qualche giorno fa, un altro giornalista dello stesso stampo e cordata ha indicato fra i motivi della crisi economica in Catalogna il fatto che lì si spendono soldi per tradurre in catalano libri scritti i altre lingue e che molti altri euro vengono dilapidati per fare radio e televisione in catalano. Tempo fa, nell’agosto del 2009, L’Espresso scrisse cose simili contro il “dialetto friulano” e un mese dopo fu la volta del Corriere della sera, seguiti poi da La Repubblica e da La Stampa. In tutti gli articoli, lo scandalo è che per tutelare e promuovere il friulano si spendevano soldi.
Sono passati due anni e i burocrati che allignano nel governo Monti sottraggono la politica all’imbarazzo di ridurre ai minimi termini quella democrazia linguistica che i giornali avevano appena intaccato, con pressapochismo e fornendo notizie false e tendenziose.
Nel decreto di Revisione della spesa e nel disegno di legge di ratifica della Carta europea delle lingue sardo, friulano e occitano sono ridotti a dialetti. Ed ecco che su questa trovata si sdraia una giornalista di Libero, Cristina Lodi. Si spendono soldi per il “dialetto friulano”, persino per tradurre il Vangelo nella “parlata locale” e poi si vede che per treni e strade “siamo alla Preistoria”.
Il sardo, in questa kermesse dell’ignoranza finalizzata, è trattato sul Corriere della sera del 28 scorso con meno arroganza, ma con una approssimazione impressionante. Mi ritrovo in quanto scrive Roberto Bolognesi, I bugiardi della sera.

domenica 29 luglio 2012

La scomparsa dei paesaggi primigeni e le ferite insanabili nel litorale sardo

di Vittorio Sella
 
La mina esplode e salta in aria quel gigantesco masso di granito che qualche attimo prima ha fatto da cornice alla scogliera. Sono le mani esperte del fochista che ha individuato il punto esatto dove aprire una nicchia in grado di accogliere quell'ordigno. La forza esplosiva spacca la resistenza della roccia, la frantuma e poi appare chi la rimuove per consentire all'acqua del mare di estendersi in quello spazio  lasciato vuoto dal taglio della barriera naturale. Non è l'azione solitaria di un operaio, ma l'intervento studiato, programmato, realizzato da un grande impresa con la regia degli studi tecnici che in quel tratto di litorale hanno voluto realizzare, sicuramente con tutte le autorizzazioni, un porto artificiale. La recisione della roccia è proseguita e al posto di quella barriera rocciosa è nata una sorta di passerella in cemento per consentire l'attracco dei natanti di varia natura e pescaggio. E a pochi metri dal mare sono state edificate decine di case, persino una chiesetta che dovrebbe dare il segno di una sorta di luogo dell'anima a chi trascorre le vacane nelle poche settimane d'estate.
Quelle villette con le porte chiuse
Quell'edificio di culto per buona parte dei mesi dell'anno rimane con il portone sprangato, come chiuse rimangono quelle decine di villette intorno a quell'angolo di litorale super edificato. Non so quando tutto questo ha avuto origine, ma ho potuto notare che in uno spazio ristretto, libero fino a poco tempo, campeggia una costruzione a più piani. Che si tratti di un cantiere aperto, lo si nota dalla presenza delle macchine impastatrici e da una gigantesca gru che allunga il suo braccio meccanico per tirare in alto materiali da impiegare nel costruire quel palazzo ancora incompiuto. A me è capitato di fare tappa con alcuni amici in quel tratto di costa sarda in una passeggiata nella tarda primavera a nord di Golfo Aranci, prima dell'arrivo della calura estiva e dell'arrivo dei turisti.
Una metamorfosi selvaggia
Ora che c'è chi fa il processo alle regole del Piano Paesaggistico e chi lo difende, mi è venuta in mente la metamorfosi selvaggia di quel tratto primigenio di litorale, una ferita aperta per consentire di accumulare profitti con un modo di urbanizzare, di edificare che nulla ha a che vedere con il turismo ed il bisogno di trascorre le vacanze nel mare sardo. E non vorrei che quel modello di sviluppo edilizio, che non è narrativa di risentimento, venga replicato all'infinito fino al punto da trasformare le coste sarde in una muraglia con il cartello vendesi o affittasi. Un messaggio, abbastanza visibile in questi anni, che la dice lunga sulla logica insaziabile che impera nelle città-mercato tempestate con gli slogan "di tutto di più". Tutto è pensato per spingere a comprare ciò che è superfluo e secondario rispetto ai bisogni primari.
Lo spreco di territorio e la lezione di madre natura
La voglia di spreco, alimentata dalla voracità del consumismo senza limiti, trionfa, si dilata dentro una visione liberista, che si trasferisce dal banco delle merci in vetrina al bene territorio, concepito come una torta da spartire, da sezionare e tagliare a fette, secondo le carte degli ingegneri e degli urbanisti incaricati di pianificare la morte di un paesaggio primigenio. Per loro non c'è limite, non c'è confine che non può essere superato. Anche il linguaggio subirà forzature: nel vocabolario, in linea con gli appetiti immobiliari, verrà nominato paesaggio costruito. Quasi  sempre la voglia di edificare viene alimentata dalla  presunta crescita demografica, una favola che sempre fa a pugni con i numeri reali, cioè con gli abitanti che di fatto abiteranno e vivranno in quel determinato luogo. Insomma numeri virtuali, pretesti per rendere credibile e giustificabile una pioggia di volumi e di case da immettere  nel mercato immobiliare,ma che troppo spesso, come  i tempi della crisi insegnano, resteranno vuote. Ed è per questa assenza del limite, per la corsa ad una crescita senza fine, per la moltiplicazione esasperata delle geometrie, anche in aree depresse e di salvaguardia, che a lungo andare il territorio sarà svilito  e penalizzato chi lo abita. Una lezione che ci ha dato madre natura più volte con le piogge abbondanti cadute nella costa orientale a partire dall'autunno del 2008. Cronache allarmanti, utili da rileggere, per riflettere sul futuro dei comuni costieri e sui disastri. Che non sono calamità naturali.

sabato 28 luglio 2012

Batista Columbu puru si nch'est andadu


Giuanne Batista Columbu si nch’est andadu, eris in Bosa a 92 annos. Un’àteru de sos babos mannos de su sardismu e de s’indipendentismu nos at lassadu. Apo tentu su mandu raru de li èssere istadu amigu e no apo nen sa gana oe nen su talentu de annànghere àteru: chi sa terra chi gasi meda as istimadu, ti siat lèpia, Bati’.

venerdì 27 luglio 2012

Onorevoli indifferenze verso il sardo. E onorevoli interessamenti

Non è dato sapere che fine abbia fatto l’emendamento che il deputato sardo Federico Palomba ha con successo proposto ai suoi  colleghi senatori perché si eviti la strampalata discriminazione della lingua sarda. Nel decreto sulla Revisione della spesa, un burocrate ministeriale (pare funzionario specializzato in bilanci) ha distinto le lingue di minoranza fra quelle tutelate perché “di madre lingua straniera” e quelle non tutelate perché dialetti. Tutto, in merito, tace. Sorte diversa sembra esser stata riservata alla lingua friulana: la Commissione cultura del Senato, su proposte del Leghista Mario Pittoni ha approvato alla unanimità il parere poi consegnato al Governo.
I commissari (nessun sardo, visto che i senatori della Sardegna di tutto si occupano tranne che di cultura) ricordano che la legge statale 482 di tutela delle lingue di minoranza non fa distinzione fra di esse, come invece ha stabilito prima il burocrate e poi il ministro che ha presentato quella norma psichedelica. C’è da sperare che il richiamo al buon senso e alla lettera della L 482 prevalga sulla tentazione di far passare, attraverso una incolta e antiscientifica affermazione, il tentativo di ridurre la democrazia linguistica a questione di rapporti fra stati. Altrimenti, è ovvio che toccherà alla Corte costituzione decidere se burocrati e tecnici al governo hanno la facoltà di mettersi sotto i piedi una legge dello Stato e la Costituzione.
In tutta questa vicenda, a fare la figura degli indifferenti se non peggio sono i deputati e i senatori sardi, con la lodevole eccezione di Palomba che pur non essendo senatore, non ci ha pensato due volte a chiedere al suo collega siciliano, senatore Giambrone, di farsi difensore del sardo. Del resto, non migliore sorte era stata riservata dai parlamentari che ci rappresentano in Italia al sollecito fatto loro dall’assessore regionale della Cultura affinché vigilassero per evitare lo scempio che della Carta europea delle lingue vogliono fare il Governo e, in particolare, il ministro degli Esteri. (Vedi il testo della lettera di Milia, riportato nel blog di Paolo Maninchedda).
La seconda e l’ottava commissioni del Consiglio regionale (si occupano fra l’altro delle politiche comunitarie e di diritto allo studio) hanno approvato alla unanimità la richiesta al Governo sardo e ai parlamentari “a proporre in sede di conversione del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” gli opportuni correttivi all’articolo 14, comma 16, affinchè vada necessariamente eliminato il riferimento alla “minoranza di lingua madre straniera” ripristinando l’interpretazione originaria di tale disposizione che consentiva, anche alla Regione Sardegna, l’applicazione della deroga prevista dal comma 5 anche alle altre minoranze linguistiche storiche tutelate dalla legge n. 482/99, tra le quali sono ricomprese il catalano e il sardo”.
E sempre all’unanimità hanno dato una sveglia sia al presidente della Regione sia ai parlamentari sardi a Roma con l’invito “a vigilare e a porre in essere tutte le opportune iniziative, in sede di approvazione in Parlamento del disegno di legge n. 5118/XVI, affinché la lingua sarda possa vedere garantiti i massimi livelli di salvaguardia e promozione in ogni settore della vita economica e sociale, con particolare riguardo all’ambito dell’istruzione e dell’informazione, in modo tale da consentire una sua piena ed effettiva tutela in considerazione del valore storico, identitario e culturale della stessa”.
In un momento in cui la lingua sarda, e insieme ad essa la stessa identità nazionale, sono prese di mira credo valga la pena segnalare quanto scrive il sardista Paolo Maninchedda nel suo sito: “[…] una cosa mi è chiara: oggi abbiamo importanti intellettuali impegnati nella studio, nella tutela, nella promozione e nella diffusione della lingua sarda, ma abbiamo un basso tasso di resa politica della “questione lingua” ai fini dell’indipendenza. Il difetto è evidentemente di chi fa politica e quindi anche mio.”

giovedì 26 luglio 2012

Spunta il dossier scrittura nuragica: e va tutto a gambe all’aria

di Stella del Mattino e della Sera


[...] danno la misura di quanto velocemente nuovi documenti  entrino a far parte del dossier sulla “scrittura“ nuragica […] Boom!! 
[…] Io ho scoperto i primi segni di scrittura sui reperti nuragici nel lontano 1967 inseriti poi nella mia tesi di laurea[...] Boom al quadrato!!
Questa volta il famigerato Gigi Sanna non c’entra, né c’entra la candida Atropa - che si fa fregare da falsari di stato i quali mettono apposta reperti scritti in bacheche di musei. Chi pronuncia le parole impronunciabili sono due archeologi medagliati e tutto: Paolo Bernardini e Giovanni Ugas. Come spesso accade quando si infrange un tabù e complice la canicola, la frase proibita - scrittura nuragica – rischia di diventare il tormentone dell’estate. Il tutto mentre il principale indiziato si arrostisce al mare. Ci sono solo alcuni problemi di orientamento (vd. figura): grecizzante Ugas, in tunica con spacco laterale, ci propone il nome AISHA per lo spillone di Antas  (bello, lo suggerirò a mia nuora per la nascitura!); più sobrio, seppur elegante, Bernardini, nei rossi colori dei Fenici. Gira e rigira, l’odioso manufatto nuragico più che uno spillone è una vera e propria spina nel fianco degli  Ermeneuti.
Non conta: la pista greca ha qualche difficoltà, dice Bernardini, ma può andare uguale. L’importante è prescindere “dalle sconclusionate e deliranti affermazioni che impestano una certa pseudocultura locale” . Però mi sembra che si prescinda anche da ciò che il dr. Minoja ha fatto dire al dr. Giro: [..]come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura[..]. E’ lecito quindi derivare che Bernardini e Ugas non scrivono testi scientifici? Un qualche dubbio ci assale, perché in quale testo scientifico si può mai scrivere certe frasi?
a. [..]La stele iscritta e il più piccolo frammento di iscrizione da Nora,  con la loro datazione fluttuante tra l’XI e il IX-VIII sec. a.C.[..]
b. [..]Non sarà lecito, in ogni caso, utilizzare la presenza o l’assenza dell’esperienza scrittoria come criterio ideologico di valutazione della complessità e maturità di una cultura; non sarà banale ricordarlo in un’epoca che ancora molto fatica a liberarsi dai ceppi atroci del colonialismo e del razzismo [..]

martedì 24 luglio 2012

Scola: Boleis chi imparint su sardu a is fillus?

de Giampàulu Pisu


Custu 28 de su mesi de Argiolas, a is 9:30 in s’ex Tzentru Agregatzioni Sotziali de Sàrdara, bia Aristanis n.59, s’adòbiant Sìndigus e Aministradoris comunalis Sardus cuscientis de s’arriscu de sperdimentu de sa lìngua insoru e chi no bolint essi còmplicis de cust’arrori polìtigu-antropològicu- culturali.
Issus ant delibberau in consillu comunali po pediri a sa RAS s’arrespetu de sa L 482/99 asuba de is minorias linguìsticas. Sa lei narat ca po s’imparu de sa lìngua nosta is mòdulus de preiscritzioni scolàstica depint cuntenni custa pregonta. Funt unus noranta is comunus chi ant pediu s’arrespetu de sa lei: de cuatru unu de totu is comunus sardus! At a bastai totu custu po fai aciungi una riga in d-un’arrogu de paperi? Poit’est chi si funt dèpius strobbai totu custus consillus comunali po s’arrespetu de unu deretu giai scritu in sa lei?
Ma cantu bortas tocat a dd’aprovai una lei? Cust’adòbiu est fintzas s’ocasioni po pediri una lei noba po s’amparu de sa lìngua. Si bolit fintzas chi sa lei previdat in manera orgànica sa presèntzia de is àteras spetzifitzidadis culturalis nostas, Stòria in primis. Un’atu chi si spetat po lompi a una scola no sceti de Sardìnnia ma Sarda puru. Una scola chi trasmitat a fillus nostus unu sentidu de apartenèntzia identidàriu chi ddus pesit e ddus fatzat cresci castiendi a su mundu cun sa cuscièntzia de apartenni a unu pòpulu chi at donau e bolit sighiri a donai, cun is spetzifitzidadis suas, su contributu a sa tziviltadi.

PS - E b'at un'àtera noa bona, crompende dae s'Universidade de Tàtari e contada dae s'AGI ("Agenzia Italia): "Il Senato accademico dell’universita’ di Sassari chiede il rispetto della legge 482 del 1999 che include il sardo fra le lingue di minoranza ammesse a tutela, per evitare una discriminazione prevista dalla spending review del governo in materia di personale. Il decreto prevede che non possano essere piu’ assegnati dirigenti a tempo indeterminato alle scuole con meno di 600 iscritti, soglia ridotta a 400 per le aree caratterizzate da specificita’ linguistica, in cui la Sardegna non e’ compresa.
A segnalare la questione al Senato accademico e’ stata la commissione d’ateneo per la lingua sarda. Il danno per la Sardegna “e’ doppio”, fa sapere l’universita’, in quanto sara’ ridotto il numero dei dirigenti scolastici a tempo indeterminato e poi perche’ “si stabilisce in modo del tutto arbitrario che le aree geografiche caratterizzate dalla presenza di minoranze di lingua madre straniera (per esempio, tedesche, francesi e slovene) siano piu’ importanti di altre in cui si parla il sardo o il friulano. “Tra l’altro”, segnala l’ateneo sassarese, “il decreto legge produce anche un paradosso per la regione, perche’ la minoranza catalana di Alghero rientrerebbe tra quelle da tutelare, a differenza di quella sarda”.
In una delibera appena approvata, il Senato accademico auspica che per la Sardegna si riveda la normativa nazionale e che si riconoscano “come ugualmente meritevoli di tutela le minoranze di lingua sassarese, gallurese e tabarchina”, come previsto dalla legge regionale 26 del 1997"
. [zfp]

lunedì 23 luglio 2012

Supercercatoredicocci, un po' per celia, un po' per irritarsi


di Mikkelj Tzoroddu

Abbiamo trovato il Supercercatoredicocci e ve ne diamo conto, con qualche nostro commento:
17 lug 2009 – Intervista di “Antika notizie” a Rubens D’Oriano: “Lo abbiamo intervistato per voi e oggi vi presentiamo la prima parte del nostro interessante colloquio con: questo autentico luminare dell’archeologia sarda”.
D. Il progetto più importante su cui ha lavorato?
R. Lo scavo del tunnel sotto il porto di Olbia: 380 m di lunghezza, 20 di larghezza, 4 di prof. media […]
Ci si chiede: ma “questo autentico luminare dell’archeologia sarda” è, forse, alle dipendenze di un’impresa di lavori stradali?  Egli poi continua
[…] ove sono stati rinvenuti 24 relitti romani e medievali, e il loro restauro e esposizione nel Museo di Olbia, nonché l’allestimento complessivo dello stesso Museo.
E, per quanto riguarda i relitti casualmente presenti, è cosciente del fatto che egli (insieme a tutta la sottintendenza) in questo ritrovamento non ha avuto nessun ruolo, ma il merito deve essere riconosciuto alla casualità della messa a punto del progetto del tunnel?
D. Il suo sogno nel cassetto?
R. (dopo averne fornito uno, ndr)  Se posso esprimerne un altro: vorrei non vedere più in canali televisivi, almeno del cosiddetto servizio pubblico, trasmissioni che danno fiato a ridicole panzane (dalla Sfinge ai “segreti” dei Templari passando per Atlantide, le linee di Nazca, i “misteri” dell’Isola di Pasqua, ecc.) che fanno strazio di ogni metodo scientifico di ricerca storica e archeologica, trasmettendo allo spettatore come vere o verosimili assurde ridicolaggini e ponendo qualsiasi dilettante sul piano degli studiosi professionisti.
Osserviamo: capperi! E ci si chiede: ma “questo autentico luminare dell’archeologia sarda” (come ama farsi definire nell’intervista), come può esprimere un giudizio improntato a sì greve pressapochismo, su una così importante vastità di interessanti tematiche? Di professione fa il tuttologo? Vediamo come esso, trasportato da esagerata alterigia - certo rinvigorita dalla invereconda definizione attribuitasi -  ritenga che solo chi opera (o dovrebbe operare con successo) quale cercatore di cocci ad Olbia, sia da porre «sul piano degli studiosi professionisti».  Ove altri si occupino della Sfinge, dei Templari, ecc., trasmettono solo assurde ridicolaggini! Dalla compostezza, dal rispetto per l’altrui lavoro, dall’arguto discernimento, dalla profonda disamina, che traspaiono da tale dichiarazione (fuori tema tra l’altro), abbiamo finalmente compreso quale debba essere la modalità di offrirsi al mondo, di “un autentico luminare dell’archeologia sarda”.   

domenica 22 luglio 2012

I linguisti della Cassazione tornino a scuola

 di Francesco Casula (*)

La sentenza della Cassazione: "Il sardo non è una vera lingua, è solamente un dialetto" è una sciocchezza sesquipedale, derivante da semplice crassa ignoranza. Pensavamo che tale affermazione fosse da ricondurre solo a luoghi comuni e pregiudizi, insomma agli Idola fori, di cui parla il filosofo Bacone. Ma tant’è: tali idola sembrano aver conquistato anche i grigi giudici della Cassazione. Assolutamente digiuni di cultura linguistica.
Non vi è infatti studioso del Sardo che lo consideri dialetto. Ad iniziare dal principe della Linguistica sarda del primo Novecento, il tedesco Wagner, che non a caso titola la sua opera fondamentale “La Lingua sarda”. Si potrà obiettare: ha molte varianti e una pluralità di parlate. Sì, ma le differenze e le divisioni attengono per lo più alla fonetica, importante in una Lingua ma non determinante, come invece lo è la grammatica e la sintassi che è unitaria. Ma anche dato e non concesso che si tratti di una lingua “divisa”, qualcuno si è mai sognato di non considerare una lingua il Greco antico – ma è solo un esempio – pur essendo questo composto di quattro varianti: Eolico, Ionico (utilizzato da poeti come Omero, Archiloco, Tirteo), Dorico (usato da Pindaro, e Simonide) e Attico (usato da Tucidide, Demostene, ecc.)? E addirittura in più di dieci sottovarianti come l’Arcadico, il Cipriota, il Miceneo, l’Acheo?
La verità è che non solo il Sardo è una Lingua, ma ha prodotto una vasta e ricca letteratura, nonostante, dopo essere stata lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XII, lingua dei Condaghi e della Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale, venga emarginata con la sovrapposizione prima dei linguaggi italiani di Pisa e Genova e poi del catalano e del castigliano e infine di nuovo dell’italiano. Da una analisi attenta della letteratura sarda potremmo infatti verificare che dalle origini del sardo – nato secoli prima dell’italiano – fino ad oggi, non vi è stato periodo nel quale la lingua sarda non abbia avuto una produzione letteraria: spesso di assoluto valore estetico.
Ma, a parte tutto questo, c’è da chiedersi: ma la Corte di cassazione conosce le leggi dello Stato italiano? Non sa che la Legge 482 del 15 dicembre 1999 prevede, fra le Lingue (non dialetti) da valorizzare e tutelare, anche la Lingua sarda? O i giudici pensano di essere sopra la Legge?

(*) Pubblicato anche su Sardegna Quotidiano di ieri

Pensare che magistrati tanto innovatori e colti decidono della sorte di individui fa accapponare la pelle. Non va dimenticato, infatti, che questa sentenza è stata pronunciata in un processo contro sardi intercettati mentre parlavano in sardo. A ignorare quanto scrive Francesco Casula, ci sono altri con il potere di fare del male. Come gli oscuri burocrati che nel decreto di revisione della spesa sentenziano che il sardo, insieme al friulano e l’occitano, non godono della tutela della Legge 482, in quanto non “di madre lingua estera”. Stamattina, una amica friulana, imbufalita per questa sciocchezza, mi segnala che il governo non accetterà alcun emendamento (neanche quello di Palomba), ma non applicherà la norma. La bestialità burocratese rimarrà, ma non avrà – secondo quanto hanno assicurato politici friulani – alcun effetto. Da quel che so, il movimento friulano in difesa della lingua, si sta muovendo per un ricorso alla Corte costituzionale perché, una volta approvato il provvedimento, lo bocci come manifestamente incostituzionale. Non sarebbe male che la Regione sarda faccia lo stesso. [zfp]

sabato 21 luglio 2012

Ma io insisto: i nuraghi furono fortezze

di Giovanni Ugas

Nel suo blog, Mauro Peppino Zedda risponde al mio articolo Nuraghi, Shardana, scrittura ed altre questioni pubblicato su questo blog. Questa la mia replica:

Su Mulinu, Villanovafranca. Dal sito "Sardegnacultura"
Sorvolo sul tono offensivo con cui ti rivolgi a coloro che non la pensano come te, dando un’impressione che contrasta con tua onestà e generosità. Ciò premesso, tu non tieni conto del fatto basilare che in archeologia, i manufatti rinvenuti negli scavi sono gli elementi fondamentali per stabilire la cronologia e la funzione delle architetture. Gli scavi dicono che i nuraghi non furono utilizzati come templi dall’età del Bronzo medio e recente sino al I Ferro (per alcuni altri al Bronzo finale, ma faresti bene a leggerti il mio articolo sul I Ferro). Tutti gli altri elementi, quali ad esempio le caratteristiche architettoniche e il contesto ambientale, confermano senza equivoci lo stesso assunto. Passo ad esaminare le singole osservazioni.
1. Zedda riconosce che i nuraghi sono costruiti come le torri ma, anziché assegnare ad essi la funzione di edifici fortificati, li considera templi. Egli per giustificare la sua idea afferma: “Le mensole oltre che nei castelli sono presenti sia nelle chiese che nei campanili medievali, ma aggiungerei anche nei minareti musulmani e negli edifici sacri indù, la presenza di mensole in un edificio non è la prova che l’edificio sia una fortezza”. A parte la differenza cronologica tra gli edifici nuragici e le chiese medioevali e moderne, non tenuta in conto da Zedda, dal suo ragionamento consegue la domanda: chi ha copiato sul piano stilistico-formale, la fortificazione dalla chiesa o viceversa? Tutti gli architetti risponderanno: la chiesa dalle fortificazioni. 

venerdì 20 luglio 2012

Tentazioni di golpe

Ambienti industriali, politici e mediatici stanno in Italia consigliando il governo Monti a fare un golpe attraverso la revoca dell’autonomia speciale alla Sicilia. Ministri di quel governo hanno accolto senza apparentemente battere ciglio la revoca delle garanzie costituzionali e legislative nei confronti delle minoranze linguistiche, limitate da qualche burocrate alle lingue parlate in stati confinanti con l’Italia. La Cassazione, travolgendo la legge dello Stato n. 482 e alcune pronunce della Corte costituzionale ha recentemente sentenziato che il sardo non è una lingua, ma una “forma linguistica dialettale” (sic!). Una sciocchezza dal punto di vista scientifico e politico, ma tant’è: in questo Stato la magistratura pretende di esercitare poteri sostitutivi in tutti i campi.
Un clima pesantissimo di emergenza democratica è, dunque, in atto, ed è spesso mascherato da esigenze economiche. Credo che il tentativo più greve sia quello contro l’autonomia siciliana, che trova uniti uomini della Confindustria, deputati dell’Udc e l’inventore e Gran Vate dell’anti-casta, questi ed altri tutti a chiedere a gran voce un colpo di spugna sulla Regione siciliana. Non mi stupirei se il presidente della Repubblica abbia convocato Mario Monti di tutta urgenza (e drammatizzando l’incontro attraverso l’annuncio dell’annullamento di un precedente impegno di Napolitano), proprio per segnalare al capo del Governo il pericolo di una deriva anticostituzionale.
Fatto sta che il default, la bancarotta della Sicilia, che secondo gli apprendisti golpisti avrebbe dovuto giustificare il commissariamento dell’autonomia, era una bufala. Raccontano le cronache che dopo il colloquio fra Napolitano e Monti, quattrocento milioni di euro dovuti alla Sicilia dallo Stato e a lungo negati sono spuntati come lumache dopo le prime piogge. Insieme alle lumache è emersa la esclusione del pericolo di default.  Senza apparenti risultati drammatici, l’istigazione al golpe non credo non finirà qui. Il neo giacobinismo che la ha ispirata è ideologia molto forte ed è diffusa e trova terreno fertile, va da sé, nei disastri combinati dalle classi dirigenti siciliane, nella loro propensione al clientelismo e nella contiguità con Cosa nostra di suoi settori politici, economici e finanziari.
Ma tutti sono titolati a dare lezione salvo i responsabili dei disastri italiani, quelli che hanno trascinato tutto lo Stato italiano sull’orlo di quell’abisso economico da cui i cittadini sono stati appena appena spostati. C’è in giro, ne sono convinto e spaventato, una tentazione che coinvolge settori sempre più ampi della politica, dell’economia, della cultura, del giornalismo e – mi par di capire – della magistratura: favorire una svolta autoritaria e nuovamente accentratrice della Repubblica, nella illusione che un forte governo centrale della società italiana riesca a creare quella Unità d’Italia che è fallita. I neo giacobini pensano che ciò sia dovuto al decentramento, da essi ritenuto sproporzionato. La realtà è che sarà il loro sogno napoleonico a risolvere una volta per tutte il grande inganno di una unità fondata sulle annessioni. 

PS - Felice, segnalo questa iniziativa di Federico Palomba, deputato dell'Idv,  a favore della lungua sarda:
SPENDING REVIEW, PALOMBA: EMENDAMENTO IDV CONTRO LA DISCRIMINAZIONE DELLA LINGUA SARDA
Cagliari, 20 luglio 2012 – Su richiesta del deputato Federico Palomba, l’Italia dei Valori ha presentato un emendamento a firma del senatore Fabio Giambrone per la soppressione della norma sulla revisione della spesa pubblica che crea discriminazione tra le lingue minoritarie riconosciute dallo Stato penalizzando l’insegnamento del sardo nelle scuole dell’Isola. «Il comma che vogliamo sopprimere – spiega Palomba – interpreta in modo assolutamente restrittivo e arbitrario le norme varate nel 2011 sulla stabilizzazione finanziaria individuando come “aree geografiche caratterizzate da specificità linguistica” quelle “nelle quali siano presenti minoranze di lingua madre straniera”. A parte l’incongruenza di questa definizione generica con la quale vengono distinte con criteri del tutto discrezionali le lingue dai semplici dialetti, questa norma – prosegue il deputato sardo – riportando la base di calcolo per le Istituzioni scolastiche Autonome al numero di 600 alunni determina di fatto la cancellazione di numerosi posti di lavoro nelle scuole sarde sopprimendo in particolare i posti degli operatori che avevano il compito di insegnare e promuovere la cultura e la lingua sarda. Per questo auspichiamo che il nostro emendamento venga approvato dal Senato e chiediamo che tutti i senatori sardi facciano convergere su di esso i propri gruppi di appartenenza – conclude Palomba -. In caso contrario le Regioni discriminate, in primis la Sardegna, dovranno autonomamente difendersi impugnando questa norma palesemente incostituzionale davanti alla Consulta».

mercoledì 18 luglio 2012

La Cgil sarda in difesa della lingua. Che bello, se non fosse che...

Ogni volta che dei nemici (consapevoli o involontari che siano) della lingua sarda si convertono alla democrazia linguistica, personalmente ne sono felice. Oggi lo sono perché uno dei leader più autorevoli della Cgil, Peppino Loddo, difende la specificità linguistica della Sardegna dalla pretesa del governo Monti di escludere dalla tutela il sardo, insieme ad altri “dialetti storici” e di includervi le lingue garantite da stati europei. Magari, le new entry alla Loddo avrebbero dovuto usare prudenza nello scagliarsi contro l'assessore regionale della cultura che qualcosa ha imbastito a difesa della lingua sarda. Se non altro per non dare l'impressione di essere, per ragioni di lotta politica, il bue che dà del cornuto all'asino.
Per via dei provvedimenti di revisione della spese, la cosiddetta Spending Review, il governo intende tagliare nell'isola una decina di posti nell'organico di dirigenti scolastici e Direttori dei servizi generali e amministrativi. La irrilevanza del numero (quaranta in tutto lo Stato) non rende meno grave la incolta ripartizione delle lingue riconosciute dalla legge 482, in “minoranze di lingua madre straniera” (che bischerata) e in “dialetti storici”. Conferma semmai la certezza che, come avevo scritto (Democrazia linguistica kaputt, ma il risparmio non c'entra), il governo tecnico ha cominciato una lenta marcia verso la abrogazione dei diritti civili. Oggi si abrogano le lingue senza un esercito alle spalle, domani sarà la volta delle autonomie speciali, a cominciare da quella siciliana.
La protesta della Cgil scuola della Sardegna è sacrosanta e poco importa se tardiva: la conversione sulla via di Damasco segue vie che a noi non è dato conoscere. Ma è in quell'attacco all'avversario politico che si annida il demone dello strumentalismo e rende poco credibile il resto. Naturale, quindi, la reazione dell'assessore Sergio Milia. Quella che segue:
Leggo con stupore e disappunto le dichiarazioni di Peppino Loddo (CGIL) sull'azzeramento della specificità linguistica della Sardegna in merito alla cancellazione del "dimensionamento scolastico agevolato" proposta dal Governo Monti con la cosiddetta "Spending Review " e mi domando se tale leader sindacale condivida la nostra realtà o viva in qualche dimensione onirica e fantascientifica che gli impedisca di essere serio, obiettivo e concreto.

martedì 17 luglio 2012

Nuraghi, Shardana, scrittura ed altre questioni

 di Giovanni Ugas
 
1. Ancora sulla funzione dei nuraghi - Sono molte le questioni archeologiche ancora da approfondire e conoscere, ma tante altre sono oramai chiare alla scienza archeologica. Gli studi di Pais, Taramelli, Lilliu, Contu e tanti altri archeologi hanno ampiamente dimostrato, attraverso l’analisi dei complessi archeologici, delle caratteristiche ambientali, delle forme architettoniche e dei manufatti ivi rinvenuti, non solo la pertinenza cronologica dei nuraghi all’età del Bronzo, ma anche la loro funzione di edifici fortificati, usati come residenze di capi, nettamente differenti dalle case monocellulari, coperte di frasche dei villaggi. 
Fig. 1 - Tavola di segni alfabetici
Tra i nuraghi esiste una gerarchia di articolazioni (torri singole, bastioni pluriturriti, bastioni con cinta esterna turrita) che può essere spiegata in maniera soddisfacente soltanto presupponendo una parallela articolazione sociale. Soprattutto il numero limitato (soltanto una cinquantina tra le migliaia), dei nuraghi con bastione difeso da una cinta turrita esterna, che potevano ospitare una consistente guarnigione di soldati, presuppone l’esistenza di autorità gerarchicamente superiori di capi che stavano al vertice della comunità.
Ovviamente, in quanto residenze (fortificate) di capi, esattamente come i palazzi residenziali dell’Egeo e del Vicino Oriente, i nuraghi erano abitati e infatti vi si trovano i resti relativi alle diverse funzioni e attività quotidiane, quali le strutture per le riserve alimentari e idriche, avanzi di cibo e strumenti per ottenerlo, le armi dei guerrieri (frombolieri, spadaccini, arcieri, lancieri) e così via. Semmai come nei palazzi micenei e orientali, nei nuraghi poteva esserci un angolo di sacro (si pensi al megaron). Detto ciò, le persone che nonostante gli incontrovertibili dati della ricerca archeologica, insistono ciecamente nel ritenere che i nuraghi fossero templi dovrebbero cercare di rispondere, tra i tanti altri, a questi quesiti:

lunedì 16 luglio 2012

Democrazia linguistica kaputt, ma il risparmio non c'entra


Che cosa c'entrano la revisione della spesa e la necessità di rimettere a posto i conti pubblici con la revoca di diritti civili e la annullamento della democrazia linguistica? Evidentemente nulla, visto che l'eventuale risparmio risultante sarebbe ridicolo. E dall'impatto devastante come lo sarebbe abolire il voto con il pretesto di risparmiare soldi. Lo stesso governo Monti bada bene a non abrogare il diritto alla salute, alla giustizia, all'istruzione pur in mezzo a tagli drastici delle spese necessarie all'esercizio di questi diritti. Per le lingue minorizzate si è scelta la soluzione radicale, salvando dalla mannaia solo quelle che sono protette da trattati internazionali e dimostrando, così, che il risparmio è l'ultima delle preoccupazioni.
Del resto, lo stesso succede per acquisizioni che si davano come conquistate per sempre: autonomie comunali e regionali giorno per giorno sotto attacco con l'aiuto dei professionisti dell'anti-casta, qualunquisticamente impegnati a ridicolizzare ogni espressione di autogoverno. Gente che va in deliquio davanti al federalismo statunitense (con stati che prevedono la possibilità di assassinare i delinquenti e altri no), strabuzza gli occhi incredula davanti al simil-federalismo della sanità in Italia e condiziona l'opinione pubblica. A tutte queste aberrazioni conduce la cultura giacobina che alligna nella politica, nella intellighenzia e nella stampa nazionalista granditaliana, quelle che scambiano la retorica patriottarda della celebrazione dell'unità d'Italia per una unità reale e condivisa.

venerdì 13 luglio 2012

Il popolo sardo non esiste. E da quando?


L'approssimazione e il pressapochismo, dono innato in parte dei miei colleghi più poltroni, devono aver contagiato anche un giovane insegnante dell'Università di Cagliari, facoltà di Giurisprudenza. In un articolo pubblicato oggi da L'Unione sarda (L'indipendenza che non è – Territorio sardo con popolo italiano), Riccardo Delussu illustra il ragionamento che porta al titolo con due affermazioni che non stanno né in cielo né in terra.
La prima è che i concetti di popolo e governo “sono necessariamente unitari: può esserci un solo popolo e un solo governo” in uno Stato. Sostiene Delussu, così è perché a questa conclusione (un solo popolo e un solo governo) porta la “moderna scienza giuridica”. E siccome è scienza, ad essa dovrà piegarsi lo statuto sardo che (articolo 28) parla di “popolo sardo”; dovrà anche soccombere quello del Veneto che parla di “autogoverno del popolo veneto”. Qui siamo, tuttavia, nell'ambito della libera e legittima interpretazione di nuovi dettami della scienza giuridica che, par di capire, esulano dalla concretezza di uno statuto, quello sardo, di rango costituzionale e di uno statuto ordinario che, se possibile, in quel “autogoverno del popolo veneto” è anche più interessante.
La seconda affermazione è che “non a caso, nel 2007 la Corte costituzionale ha censurato l'espressione “popolo sardo” utilizzata in una legge regionale perché giuridicamente si può parlare soltanto di popolo italiano”. Libera interpretazione la prima, infondata e falsa questa. La sentenza della Consulta cui si riferisce il dottor Delussu è la 365 del 24 ottobre del 2007 e riguarda la legge della Regione autonoma della Sardegna 23 maggio 2006, n. 7, Istituzione, attribuzioni e disciplina della Consulta per il nuovo statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo. E dichiara la illegittimità della legge regionale “limitatamente alle parole 'e sovranità'”. È già di per sé gravissimo che la Corte costituzionale, dietro richiesta del governo di allora, quello di Prodi, abbia deciso di far propria la vetusta e giacobina concezione della indivisibilità della sovranità. Se fosse vero, l'Italia non avrebbe dovuto cedere sovranità alla Nato e all'Unione europea e, a rigor di logica, revocare questa cessione.
Ma sarebbe stato davvero epocale se la Corte costituzionale avesse, come dice Delussu, censurato l'espressione “popolo sardo” che, come dovrebbe sapere, fa parte della Costituzione in quanto scritta in una legge, lo Statuto speciale, di rango costituzionale. Vedendo la Consulta dichiarare illegittima una norma costituzionale avremmo davvero visto tutto.

giovedì 12 luglio 2012

Tziu Micheli e il provincialismo dei media sardi

La maniera con cui le direzioni dei media sardi hanno trattato la morte di Michele Columbu mi fa pensare che da quelle parti comandino extraterrestri. Salvo Sardegna quotidiano, non uno che abbia dedicato alla scomparsa di uno dei padri dell'autonomia sarda un titoletto in prima pagina o in apertura dei telegiornali. Nella gerarchia delle notizie più importanti di ieri (quella cosa che dà il segno di come la pensi chi dirige un media) c'è di tutto, non il fatto che Michele Columbu ci ha lasciati. Fa impressione vedere che persino il sito di un dirigente sardista come Paolo Maninchedda lo ignori.
All'interno dei quotidiani e dei telegiornali ci sono articoli diffusi, alcuni molto belli. Ma al primo colpo d'occhio, la sensazione è di leggere o ascoltare qualcosa di confezionato fuori dalla Sardegna da gente che neppure sa chi sia stato, nella storia della nostra società, il dirigente sardista morto ieri. Da extraterrestri, appunto. Forse si tratta solamente, si fa per dire naturalmente, di ordinaria insensibilità e di cinica considerazione che il racket delle schiave vende, la morte di un padre della patria sarda, no. Eppure c'è una spia che, forse, fa capire qualcosa di più. Perché un improvviso malore di Antonio Di Pietro vale un titolo in prima pagina e la scomparsa di Columbu no?
Temo che la spiegazione vada cercata nell'immarcescibile provincialismo di gran parte della stampa sarda. “Parent batidos dae Continente” sfotte questo atteggiamento un antico mutu sardo che descrive la bellezza di fiori autoctoni. È lo stesso atteggiamento che sollecita i giornali a mobilitare i loro cronisti per andare a intervistare qualsiasi scalzacane, cantante o ballerino o politico che sia, atterrato o sbarcato in Sardegna. Magari per sentire banalità non differenti da quelle che qualsiasi cantante, ballerino o politico sardo sarebbe capace di aspergere. Sì, ma vuoi mettere? Sono cazzate di importazione.

mercoledì 11 luglio 2012

Si nch'est mortu Micheli Columbu

Dal sito di Fondazione Sardinia
Micheli Columbu si nch'est andadu. E sos sardos amus pèrdidu unu babbai de prànghere e de festare pro sos donos polìticos, culturales e linguìsticos chi nos lassat. In tempos che a custos, cando meda polìticos sardos s'ismèntigant de èssere fìgios de Sardigna chimbe minutos a pustis brincadu su mare, òmines che a tziu Micheli nos ammentant chi si podet istare in su Mundu cun sa carena e in Ollollai e in Sardigna cun sa conca e cun su coro. Nàschidu e pàschidu in Ollollai, Columbu s'at leadu in fatu, in sas atividades polìtica, culturale, amministrativa e finas linguìstica, su sentidu irònicu chi est su chivu de sa cultura de sa bidda sua, in su coro de sa Barbàgia.
At fatu su sìndigu, su deputadu in Roma e in Brussellas, semper pro su Partidu sardu, ma est mescamente pro custa balia irònica chi l'ammento, aende tentu su mandu de lu connòschere e de l'abitare, mancari non cantu aia disigiadu de fàghere. Fiat una balia, sa sua, una capatzidade de pònnere a s'alerta a totus: mirade chi nos est trampende a chie narat de tènnere su beru in bèrtula. Connoschiat sa limba sarda in totu sas pinnigas suas e fiat maistru de s'antìfrasi. M'ammento unu librigheddu chi aiat iscritu contende ite podet capitare impreende antìfrasis intre duas persones de sentidos diferentes. Unu, Micheli e totu, chi chircat de cumbìnchere s'àteru chi “s'ogru puntu tenet” non cheret contare de unu cristianu chi tenet s'ogru guastu, ma totu a s'in contràriu. Chi est abbistu e biet bene meda.
Custa manera de faeddare – chi non fiat petzi de istorieddas, craru, ma de chistiones polìticas e sotziales – andat bene si in unu partzidu si impreant limbàgios che pare. Andaiat bene finas cando, comente in su cumintzu de sos annos de Setanta, su Psd'atz fiat unu partzidu in ue, mancari a briga, si faeddaiat una limba pròpia. Non cando, crèschidu finas a tènnere sa Presidèntzia de sa Regione, su “politichese” nch'aiat catzadu s'antìfrasi e, cun custa, sa capatzidade de faeddare unu limbàgiu cumpresu dae sos sardos. At a èssere pro custu puru chi Micheli Columbu medas bias est istadu a làcanas de su partzidu chi, in tempos tristos e cun pagos àteros, at tentadu pro no lu fàghere mòrrere.

martedì 10 luglio 2012

S'atitu de Monti pro sa limba sarda

Pro cantu m'ammente, non b'at àpidu in custos ùrtimos binti annos unu guvernu italianu chi prus de custu esseret inimigu de sas autonomias e finas de su detzentramentu. Su chi est cuncordende contra a sa limba sarda (e a sas àteras chi non tenent in palas un'istadu) est unu signale ladinu chi sos tècnicos sunt a puntu de contivigiare su chi sa polìtica giacobina diat chèrrere a cuncordare sena, però, nde tènnere s'ànimu. Torrare sa de sas limbas minorizadas dae chistione de deretos umanos e tziviles a chistione de raportos intre istados. Si colat cussa titulia ammaniada dae su ministru de sos afàrios istràngios Terzi di Sant'Agata e dae sos collegas suos, petzi sos de limba croata, islovena, austrìaca e frantzesa ant a tènnere deretos linguìsticos prenos, sos àteros mai si biant.
Sos àteros guvernos si fiant cuntentados, si lu podimus nàrrere, de minimare sos finantziamentos pro sas limbas. Custu nono, custu partzit totu in limbas de amparare e in limbas destinadas a s'ispèrdere. Su primu grupu cabet sas limbas de sos istados lacanàrgios, su segundu totu sas àteras, tantu pro cunfirmare s'idea antiga chi una limba est unu limbàgiu chi tenet in palas un'esèrtzitu e una marina.
Sa filosofia de custu guvernu in contu de deretos tziviles e autonòmicos est sa chi una ministru, Severino, at bogadu a campu custas dies. At annuntziadu (mancu esseret Einstein iscoberende sa teoria de sa relatividade) chi ant a tancare roba de tribunales, ca – at naradu pagu prus o mancu – nos semus abbigiados chi ponende a pare ufìtzios chi sunt oe a tesu si rispàrmiat dinare e si ponent giùighes e impiegados a traballare mègius. Lampu, genia de imbentu. Marranu chi si tancat totu sos consìgios comunales e su guvernu nùmenat una pariga de podestades, rispàrmiat galu de prus. Ma s'economia cun sa titulia b'intrat e non b'intrat, mancari si potzat finas dare chi morende·nche limbas che a su sardu e su friulanu carchi sisinu in mancu si depat gastare. Su chi b'intrat est chi sos natzionalistas italianos, tècnicos o galu a tecnicare, sunt in cherta de ispèrdere sas diversidades chi cuant progetos polìticos e istitutzionales.
Genia mala, duncas, custos guvernantes italianos, sa peus chi, in contu de autonomias e deretos natzionales, s'Itàlia nos apat donadu custos annos. Ma si nos pompiamus in intro nostru, in Sardigna, liberanosdòmine. Su comitadu pro sa limba sarda at giai denuntziadu eris s'iscàndalu de sos onorèvoles nostros, totus sena nde sarvare unu, tzecos e surdos in su mentras chi unos de issos daiant una manu de agiudu a su guvernu a atitare sa limba sarda. E àteras puru, craru. S'arrennegu de Roberto Bolognesi (Spoon River) e de sos chi ant iscritu in su blog suo e in custu nostru est su meu. Ma dia chèrrere cumprèndere cale siat e de ite pasta siat fatu s'òdiu contra a sa limba sarda de gente che a Guido Melis, Parisi, Cossiga, Palomba e de totu sos àteros chi o ant presu su poleddu a ue lu cheriat presu su mere Monti o si sunt girados a un'àtera ala. Chi Melis e Parisi siant de s'iscola italòfonu-natzionalista tataresa est cosa nòdida e pagu ispantat s'atitùdine issoro, si no esseret pro su fatu chi si narant rapresentantes de sos sardos. Ma Cossiga e Palomba, àteras bias sunt partos cuidadosos de sos deretos istòricos e linguìsticos de sos sardos. Ite lis est capitadu?
Sa ratìfica de sa Carta europea de sas limbas, male cuncordada in sas cummissiones de sa Càmera italiana, at a dèpere colare finas in su Parlamentu. E, si podet dare, sos deputados (e tando sos senadores) sunt galu in tempus pro remediare sa titulia fata. Craru, bi cheret chi in Sardigna si peset canteddu de arrennegu, mancu meda. Mancari narende a sos deputados chi si sunt male portados chi annoas sos eletores s'ant a ammentare de custu tentativu de cantare s'atitu a sa limba sarda.

Qualcuno saprebbe dirci che cos'è?


di Franco Vacca

Vorrei porre all'attenzione di tutti i lettori di questo blog, un documento che io reputo importante.
Il documento in questione è stato ritrovato all’interno di un nuraghe in località Villa Sant’Antonio da un signore di cui momentaneamente preferisco non il fare il nome, è stato denunciato regolarmente alla Soprintendenza. Metto a disposizione di tutti voi queste foto e chiedo lumi su cosa possa essere, io un’idea me la sono già fatta, credo si tratti di scrittura nuragica, molto ben scritta tra l’altro.