martedì 17 luglio 2012

Nuraghi, Shardana, scrittura ed altre questioni

 di Giovanni Ugas
 
1. Ancora sulla funzione dei nuraghi - Sono molte le questioni archeologiche ancora da approfondire e conoscere, ma tante altre sono oramai chiare alla scienza archeologica. Gli studi di Pais, Taramelli, Lilliu, Contu e tanti altri archeologi hanno ampiamente dimostrato, attraverso l’analisi dei complessi archeologici, delle caratteristiche ambientali, delle forme architettoniche e dei manufatti ivi rinvenuti, non solo la pertinenza cronologica dei nuraghi all’età del Bronzo, ma anche la loro funzione di edifici fortificati, usati come residenze di capi, nettamente differenti dalle case monocellulari, coperte di frasche dei villaggi. 
Fig. 1 - Tavola di segni alfabetici
Tra i nuraghi esiste una gerarchia di articolazioni (torri singole, bastioni pluriturriti, bastioni con cinta esterna turrita) che può essere spiegata in maniera soddisfacente soltanto presupponendo una parallela articolazione sociale. Soprattutto il numero limitato (soltanto una cinquantina tra le migliaia), dei nuraghi con bastione difeso da una cinta turrita esterna, che potevano ospitare una consistente guarnigione di soldati, presuppone l’esistenza di autorità gerarchicamente superiori di capi che stavano al vertice della comunità.
Ovviamente, in quanto residenze (fortificate) di capi, esattamente come i palazzi residenziali dell’Egeo e del Vicino Oriente, i nuraghi erano abitati e infatti vi si trovano i resti relativi alle diverse funzioni e attività quotidiane, quali le strutture per le riserve alimentari e idriche, avanzi di cibo e strumenti per ottenerlo, le armi dei guerrieri (frombolieri, spadaccini, arcieri, lancieri) e così via. Semmai come nei palazzi micenei e orientali, nei nuraghi poteva esserci un angolo di sacro (si pensi al megaron). Detto ciò, le persone che nonostante gli incontrovertibili dati della ricerca archeologica, insistono ciecamente nel ritenere che i nuraghi fossero templi dovrebbero cercare di rispondere, tra i tanti altri, a questi quesiti:

1)   perché i nuraghi sono costruiti con torri culminanti con terrazzi sorretti da mensole come i castelli medioevali?
2)   perché i nuraghi sono così differenti tra loro nell’articolazione?
3)   per quale ragione il nuraghe di Su Nuraxi in Barumini, nel corso del Bronzo finale, fu rifasciato e l’ingresso fu trasferito dal piano terra a circa 7 metri d’altezza?
4)   perché, se fossero templi, i nuraghi furono sistematicamente devastati e poi nel I Ferro non furono più costruiti ma semplicemente ristrutturati?
5)   perché nei nuraghi non si trovano oggetti connessi coi culti e con le offerte sacre di corredo sacro prima degli inizi del I Ferro o (se si vuole per qualche archeologo) prima del Bronzo Finale, mentre all’opposto si trovano manufatti necessari per la sussistenza quotidiana e le armi? Ammesso che qualcosa fosse sfuggito agli archeologi, è impensabile che nei livelli del tardo Bronzo non abbiano visto nulla di afferente con la generale sacralità degli edifici.
Invero i sostenitori dell’equazione nuraghi=templi sono prigionieri di preconcetti teorici. Quanto all’orientamento, gli edifici sono disposti in modo da godere al massimo della luce e gli ingressi non volgono mai direttamente verso i quadranti notturni ed esposti al freddo. Tutto il resto è conseguente. Anche le case campidanesi di ladiri avevano gli ingressi verso la luce e il calore e di certo non erano certo templi. Ma se anche fossero orientati su particolari posizioni del sole, della luna e di qualche stella, può ben significare che i nuraghi erano sotto la protezione delle divinità che tali astri rappresentano, e non che essi erano templi di tali divinità. In età arcaica e classica, anche i reticolati geometrici delle città (Marzabotto, città romane etc.) rispecchiano determinati parametri astrali e nessuno si sogna di dire che erano templi. Tutt’al più questi studi sono utili per risalire al grado di conoscenza degli astri dei nostri antenati e alla identificazione di qualche culto. E’ ben noto, al riguardo, che il culto della luna, del sole e di qualche stella era già praticato in età prenuragica.
Che poi i nuraghi fossero semplici silos, è parimenti impossibile non soltanto per la loro collocazione, che presuppone spesso esigenze difensive, ma anche per la presenza (in genere su due file) di finestre, che ben poco si conciliano con la funzione di silos degli edifici, nelle torri laterali del bastione e della cinta antemurale (e occorrerebbe spiegare perché il mastio non le ha). Inoltre, chi difendeva queste riserve? Il popolo che risiedeva nelle capanne monocellulari dei villaggi, spesso lontani dai nuraghi? Occorre rispondere anche alla domanda perché mai diversi autori greci, affermavano che i Sardi Iolei (Iliesi) erano soggetti a dinastie regali, dunque a capi, e perché già in precedenza nelle statue-menhir appaiono i simboli (pugnale, scettro) del potere nell’ambito delle comunità. In effetti, i nuraghi sono gli elementi basilari di un’arcaicistica struttura matrilineare, rigidamente ancorata al vincolo del sangue e non c’è nessun appiglio per ipotizzare una struttura democratica o comunista nell’età del Bronzo in Sardegna. Importanti per l’economia, dei territori ma del tutto privi di mura recintorie, i villaggi del Bronzo recente e finale sono palesemente in condizione di grave subalternità rispetto ai possenti nuraghi; in tali condizioni, il territorio non può che appartenere ai capi e gli abitanti dei villaggi sono solo i concessionari delle terre, non i padroni. Nell’isola, una società democratica (per i Greci “aristocratica”), fondata sui consigli degli anziani, appare soltanto nel I Ferro; solo allora nasce la proprietà privata e gli abitanti dei villaggi sono finalmente i padroni delle terre.

2. Sull’uccisione rituale dei vecchi padri
I dati della letteratura antica, vanno interpretati e prima di rifiutarli occorre dimostrare che non hanno ragion d’essere. Nel caso specifico, l’uccisione dei vecchi padri (a cominciare ovviamente dai capi) era proverbiale, in Sardegna, già al tempo di Omero (basti pensare al raccordo con il riso sardonico di Ulisse, e con la spina sardonica del figlio di Ulisse Telegono), dunque risale già all’età del Bronzo, ed è rimasta nella tradizione etnografica sino ai nostri giorni. Perché rifiutare per la Sardegna un rito, attribuito anche a diverse altre società a successione matrilineare in relazione ai tempi eroici dell’Età del Bronzo, sostenuto tra l’altro in quest’età dalla continuazione del costume neolitico delle sepolture rannicchiate in tombe collettive, implicante una società ancora legata a un culto radicato della Dea madre? Una volta che i re venivano sacrificati con la cicuta, colpiti con frecce, bruciati (mito di Kronos e di Talos, ripreso nella tradizione carnevalesca), gettati dalle rupi (Gairo) o in un crepaccio (Golgo), i loro resti potevano essere dispersi o, al contrario, benché non sia logico, sepolti anch’essi nelle tombe comuni. Il fatto che non si sia scavato (e non il fatto che non si sia trovato!) nei luoghi indicati dalla etnografia e dall’archeologia per i sacrifici umani, non è una buona ragione per negare questo interessante e straordinario fenomeno che ha le sue radici nella società neolitica e nuragica. Ovviamente nelle comunità matrilineari era la regina che decideva quanto tempo doveva vivere il re sacro e al riguardo basti richiamare il ben noto episodio di Clitennestra che fa uccidere il marito Agamennone da Egisto, il nuovo re sacro, prima che il figlio Oreste, uccidendo la madre e sposando la principessa ereditaria, facesse mutare il costume matrilineare in uno patrilineare. Il termine “vecchio” non significa decrepito, sul punto di morire, ma piuttosto implica l’incapacità riproduttiva e il venir meno della forza fisica, doti fondamentali per far crescere la comunità e difenderla dai nemici. Nella tradizione letteraria si fa risalire all’intervento di Eracle la cessazione dei sacrifici umani (tra cui ovviamente quello dei vecchi padri). Col tempo, specie in ambito etnografico, il rito può aver assunto altri significati che giustificano azioni di “pietas” opposte all’etica nuragica dell’Età del Bronzo.

3. Scrittura e segni numerali in Sardegna nell’età del Bronzo e nel I Ferro
Ribadisco che finora non sono stati individuati segni di scrittura nei manufatti nuragici dell’età del Bronzo studiati dall’archeologia, a parte le sigle (singoli segni, non iscrizioni) in scrittura lineare egea (A, B, e minoico cipriota) che si osservano sui grandi lingotti in rame “ a pelle di bue”. Inoltre, sono stati ritrovati dei sigilli d’importazione (a cilindretto, scarabei etc.) alcuni dei quali sul piano strettamente cronologico possono essere attribuiti all’età del Bronzo, ma provengono tutti da contesti del I Ferro, ad esclusione del cilindretto di Su Fraigu riferibile allo scorcio del Bronzo finale. Il che significa che questi oggetti sono stati riutilizzati e non si sa con certezza quando furono importati nell’isola. Stando agli analoghi manufatti trovati sempre in contesti del I Ferro in ambito fenicio- di varie regioni, si è portati a credere che nella gran parte dei casi, questi antichi oggetti siano stati “riciclati” col commercio di collanine ed altri ornamenti. Detto questo è evidente che manca qualsiasi prova oggettiva della pratica della scrittura, fosse imprestata o imitata da un’altra regione o inventata nell’isola durante l‘età del Bronzo. Mi spiace dire che purtroppo, allo stato attuale degli studi, tutti gli altri manufatti con segni di scrittura finora attribuiti all’età del Bronzo nuragica, non appartengono affatto a questo periodo, quand’anche non siano semplici imitazioni di reperti archeologici.
Tab I - Segni numerali
La stessa cosa va detta per i segni ponderali, finora assenti nei manufatti nuragici dell’età del Bronzo. Tuttavia, in questo periodo, sono documentati pesi da bilancia e altri manufatti (spade, mattoni di fango, lingotti di rame) da cui è possibile risalire attraverso le misure di peso e quelle metrico-lineari al sistema ponderale o metrico in uso nell’isola.
La situazione muta decisamente nel I Ferro, a partire dal sec. IX. Come ho avuto occasione di scrivere un anno fa in un articolo della rivista Tharros Felix 5 (non è ancora uscito) e in una notizia dell’Unione Sarda ripresa in alcuni blog, in ambito indigeno isolano (dunque non fenicio) durante il I Ferro fu adottato un sistema di scrittura alfabetica con vocali, affine a quello in uso in Beozia agli inizi del sec. VIII. A parte l’incertezza sul valore da assegnare ad alcune lettere, per il resto non vi sono dubbi riguardo all’origine e al significato dei segni. La maggior parte dei segni alfabetici appaiono su manufatti in ceramica, pietra e metallo. Finora, le iscrizioni sono poche e limitate a una sola parola, e perciò, anche se è stato fatto un passo importante, occorre ben altro prima di azzardare ipotesi sul lessico e sulla lingua (o sulle lingue) parlate in Sardegna in età nuragica.
Lo stesso sistema alfabetico fu adoperato altresì nell’ambito di un sistema di numerazione, benché per indicare le cifre si fece ricorso anche, in un momento più recente, a un codice più semplice e pratico, simile a quello in uso in ambito etrusco e romano. Per rendere più chiaro il discorso, allego due tabelle inedite, benché già presentate in incontri di studio e conferenze, relative ai segni numerali (Tab. 1) e al sistema alfabetico in uso nell’isola durante il I Ferro (Tab 2), e una tavola (vedi fig 1, in alto) con segni alfabetici riportati su vasi da Monte Zara e M.Olladiri di Monastir, Soleminis e sullo spillone bronzeo da Antas già edito (rovesciato e come fenicio, da P. Bernardini) e che va letto AISHA, piuttosto che KISHK.
Tab II - Sistema alfabetico durante il I Ferro

4. I rossi popoli delle Isole nel cuore del Mediterraneo
Non è possibile, rispondere in poche righe alla problematica questione degli affreschi delle tombe tebane dei visir Senmut, Useramon e Rekhmira, che ho esaminato in un lavoro ancora inedito. L’analisi di J. Vercoutter, in vero molto dettagliata, ha indotto molti studiosi a riconoscere i Micenei negli inviati delle “Isole nel cuore del Verde Grande” che portano i loro doni per i re egizi Ashepsuth, Tuthmosis III e Amenofi II. L’idea del Vercoutter poggia su alcune affinità fisiche e di costume di questi “isolani” con i principi di Keftiu, dunque con i Cretesi, sulla decifrazione non semplice dei prodotti, sull’idea che i Micenei avessero estromesso i Cretesi dai commerci e dalle relazioni con l’Egitto.
Vi sono almeno cinque principali motivi per sostenere, diversamente dal Vercoutter, che i principi delle Isole non potevano essere i Micenei:
1.     I Micenei, o meglio gli Achei, appartengono a una terra (la Grecia) che è sul mare, ma non in mezzo al Mediterraneo;
2.     I Micenei usavano scudi a 8, e solo alla fine del XIII – inizi XII secolo apparvero in Grecia i primi scudi tondi (vaso dei guerrieri, Achille nell’Iliade). Erodoto sosteneva che gli scudi tondi provenivano ai Greci dagli Egiziani; egli errava, ma riconosceva il fatto sostanziale che essi non erano di origine greca; in effetti i primi a usare gli scudi tondi furono gli Shardana, che provenivano - essi certamente- dalle Isole ubicate nel cuore del Verde Grande.
3.     Sul piano figurativo, mentre i Greci distinguevano i gruppi umani in rossi (ma le donne, bianche) e dei neri, gli Egizi rappresentavano le popolazioni: rosse quelle mediterranee (Egizi, i Cretesi in primo luogo), ed etiopi eritree; chiare, a carnagione giallina, i semiti e gli indoeuropei (es. Ittiti), nere le genti dell’Africa centro-meridionale, equatoriale. Questa concezione antropologica egizia trova riscontro non solo nella convenzione figurativa ma anche nelle stirpi umane concepite nel Vecchio testamento, derivate da Noè e distinte in Giapeti, Camiti e Semiti. Negli affreschi egizi, gli inviati delle “Isole nel cuore del Verde Grande” sono sistematicamente rossi e pertanto non è possibile identificarli negli Achei che appartenevano al ramo delle genti giapetiche indoeuropee e avevano la carnagione chiara, non rossa.
4.     Dal III millennio a. C., sino all’epoca alessandrina (con sovrani greci, ricordiamo!), la Grecia veniva chiamata dagli Egizi Hau Nebu, un paese importante e non troppo distante dall’Egitto e non è possibile che ad un tempo i Micenei abitassero le Isole ubicate lontano nel cuore del Verde Grande”. Il fatto, poi, che la terra di Hau Nebu fosse ubicata a Settentrione, oltre che a Ovest, come del resto le Isole del Cuore, non è ragione valida per collocarla nei posti settentrionali più disparati, perché per gli Egizi, data l’ubicazione della loro terra, tutti i popoli del Mediterraneo, isolani e continentali, erano necessariamente settentrionali!
5.     Sino al V anno di Meremptah, quando appaiono gli Equesh, identificati da diversi studiosi con gli Akaioi omerici, non risultano attestate in Egitto genti greche, a parte, come detto, gli abitanti di Hau Nebu. Tra i popoli delle Isole, soltanto gli Shardana sono espressamente menzionati nei documenti egizi e vicino-orientali fin dal XIV se non dal XV sec. a.C., e non a caso essi richiamano i portatori di doni delle tombe tebane di visir, ma gli Shardana per le loro armi, l’abbigliamento militare e le caratteristiche fisiche non possono essere, come detto, una popolazione achea.

5. Scrivere la storia (Archeologia e politica)
L’amore per la propria terra non può indurre a distorcere la verità anche perché la storia della Sardegna, soprattutto quella nuragica, è grandiosa di per se e non ha certo bisogno delle invenzioni di qualcuno. Quando si procede a mistificare la realtà si fa un grave torto alla nostra terra, come è stato fatto con le false carte d’Arborea, con i bronzetti falsi e in altri modi. Fin dal 1980 e 1981(Archeologia Sarda 1, 2) sostengo che gli Shardana erano i Sardi della mia terra, mentre altri pensavano diversamente (Pittau, ad esempio affermava fin d’allora che erano Lidi) e da qualche anno ritengo che nel I Ferro i Sardi conoscevano un sistema di scrittura. Detto ciò, perché non dovrei riconoscere l’esistenza della pratica della scrittura già nell’età del Bronzo, se ci fossero gli elementi probatori? Non esiste nessuna ragione per cui io giunga a conclusioni che non dipendano dalla mia formazione e conoscenza (o anche ignoranza, se erro).
Riguardo all’accusa di nazionalismo sardo per coloro che pensano che gli Shardana fossero i Sardi non posso che rivolgermi alla storia degli studi. Non mi risulta che De Rougé, Chabas, Drews, Zertal che hanno sostenuto l’origine sarda degli Shardana fossero nazionalisti sardi né che avessero idee naziste o razziste, anche per il periodo in cui vissero (i primi nell’Ottocento, ai miei tempi Drews, Zertal). Al contrario, certi studiosi hanno distorto la storia per sostenere che in fondo i Popoli de Mare provenivano dal Centro Europa e dunque erano gli antenati dei nazisti! A parte ciò, come si fa a confondere il concetto di nazione e di popolo che proviene dalla storia con il concetto di nazionalismo dei nazisti e dei fascisti, che deriva dall’idea antistorica, insensata, di un popolo eletto, superiore agli altri!
Io credo nell’autodeterminazione dei popoli e dunque credo nella nazione sarda, nella cultura e nell’indipendenza della Sardegna (se i Sardi la vogliono), ma ciò non discende dalle mie idee archeologiche. Per sostenere l’indipendenza della Sardegna, ripeto quanto ho sostenuto altre volte, bisogna sentirlo dentro, e non è rilevante il fatto che i Sardi sapessero scrivere in età nuragica o fossero tra i Popoli del Mare che nell’età del Bronzo fecero crollare i grandi imperi del Mediterraneo orientale. L’archeologia serve a conoscere la storia, ma la storia attuale non è quella che hanno scritto i nuragici, è quella che noi scriviamo, meglio se da protagonisti e non in stato di subalternità, al di là di ciò che hanno fatto i nostri antenati che costruirono e poi abbatterono i nuraghi, che ora risultavano vittoriosi e dominatori, ora sconfitti e sotto il giogo di altri popoli, che vissero un breve ma straordinario periodo di democrazia e di benessere nel I Ferro, che poi sono caduti in mano ad altri popoli.
La scrittura oggi è importante, ma quale strumento di comunicazione lo era assai meno nell’età del Bronzo e nel I Ferro. Per i popoli i mezzi di comunicazione possono mutare, ma ciò che è fondamentale è fare la storia, non subirla. Ancora oggi i Sardi, purtroppo, la storia la subiscono, incapaci di farsi rispettare e ascoltare, senza grandi obiettivi comuni, nella cultura (innanzitutto la lingua sarda che debbono usare, senza chiedere perché è un loro diritto, in ogni ordine e grado delle scuole), nella politica del lavoro e dei trasporti, le servitù militari e in tutti quei settori nevralgici per la ripresa dell’economia locale. Quando avranno superato le gravi povertà e gli squilibri sociali, lo stato terribile di disoccupazione, l’emigrazione dei giovani, l’invecchiamento della popolazione e lo spopolamento dei centri dell’interno, allora i Sardi avranno scritto la Storia di proprio pugno, non solo con la penna.

15 commenti:

risosardonico ha detto...

Salve, sarò costretto a scrivere il mio commento in più parti, dal momento che una risposta all'articolo del Prof. Ugas, soprattutto in merito all'uso che i nuragici fecero del loro monumento principe, merita un piccolo approfondimento.

Prendo spunto, nel formulare il mio commento, dall'osservazione del Prof. Ugas scritta al punto 5 e con la quale concordo: la storia della Sardegna nuragica è grandiosa di per se e non ha certo bisogno delle invenzioni di qualcuno. Aggiungo, che questa storia sarebbe grandiosa, sia che i nuraghi fossero delle fortezze, sia che i nuraghi fossero dei luoghi di culto, in tutti e due i casi si dovrebbe spiegare quali motivazioni spinsero i nuragici nell'arco di poco più di otto secoli a sottoporsi ad un così grande sforzo costruttivo, infatti, oltre ai nuraghi non si dimentichino centinaia di tombe di giganti, migliaia di villaggi, centinaia di pozzi e fonti sacre, i tanti villaggi-santuario. Nello scrivere il mio libro "L'isola sacra", frutto dei ragionamenti e della passione maturati durante il corso di studi di archeologia sulla Sardegna nuragica, proprio un suo bellissimo articolo, circa l'uso cultuale del vano E del nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca, si poneva come un pilastro nello sviluppo della mia personale visione che vede i nuraghi utilizzati come luogo di culto sin dalla loro primigenia edificazione.
L'altare nuragico da lei rinvenuto insieme ad altri reperti definiti come cultuali, ad iniziare dagli abbondantissimi resti di pasto ivi rinvenuti e datati a partire dal X-VIII sec. a. C. sino al pieno periodo storico, non parliamo poi delle centinaia di lucerne rinvenute, della presenza del sedile bancone, dei segni di roghi rituali dove venivano bruciate sostanze untuose identificate come unguenti e profumi, la spinsero a parlare di un riuso cultuale di questo ambiente, a partire almeno dal X-VIII sec. a.C., anzi adombrando l'ipotesi di un uso cultuale di questo ambiente già dal XIV sec. a. C., ma in questo caso specificando che si trattava di un uso cultuale privato(in ogni caso tale ambiente venne utilizzato per scopi cultuali). Non mi dilungo sugli altri manufatti che testimoniano di un uso cultuale di queste strutture e che lei ben conosce (penso alla conca umbilicata con sette becchi e un mestolo, collocati in una delle feritoie del vano F3). Questo preciso contesto archeologico, che parla chiaramente di un uso cultuale di questi ambienti, può essere riproposto ed esteso a tanti nuraghi (tholos principale e ambienti ad esso più prossimi), in alcuni dei quali le datazioni proposte dagli stessi archeologi sono ben precedenti il periodo compreso tra la fine del Bronzo Finale e l'inizio del Primo Ferro, ad esempio il pozzo ed il cortile del nuraghe Cuccuru Nuraxi di Settimo San Pietro dove i materiali rinvenuti, del tutto simili nella composizione a quelli del nuraghe Su Mulinu (migliaia di reperti ceramici, ossa di animali, carboni e residui di roghi cultuali) vennero datati a partire almeno dal Bronzo Recente. Penso alla torre nord del nuraghe Santu Antine, dove il corridoio anulare del pozzo cultuale ivi rinvenuto ha restituito materiali databili a partire dal Bronzo Medio e qui sacrificati in onore della divinità ( anche in questo contesto vennero rinvenuti tantissimi frammenti ceramici, ceneri, carboni, resti di ossa animali, per non parlare del bellissimo vaso rituale rinvenuto all'interno del pozzo). Continua...

risosardonico ha detto...

.I nuraghi che hanno restituito contesti similari non solo sono tanti,ma confrontati con il numero dei nuraghi attualmente indagati scientificamente contribuiscono ad alimentare l'ipotesi come questi ambienti fossero utilizzati per lo svolgimento di riti e culti che prevedevano l'offerta di derrate alimentari (come ben testimoniato dai tanti bronzi di offerenti, benché in questo caso esistano delle differenze di ordine cronologico che andrebbero indagate ed approfondite), ma anche l'offerta di oggetti preziosi ritrovati a decine dentro le tholoi dei nuraghi, mi riferisco ad es. al nuraghe Palmavera di Alghero, dove la presenza del sedile-bancone, del focolare sacro (con un'olla immersa all'interno del bancone pluristratificato di cenere), l'altare nuragico e spessori della potenza di 50-60 cm di resti di frammenti ceramici, di ossa di animali, e valva di mitili, sparse per tutta la tholos ed il cortile antistante, non solo rendono questi ambienti simili al vano E de Su Mulinu, ma li assimilano più a delle discariche che a luoghi di vita quotidiani. Come interpretare i 37 kg di ossa d'animali rinvenuti nel nuraghe Arrubiu, solo tra la camera principale ed il cortile antistante? Perchè anche in questa tholos si rinvenne un vaso rituale all'interno di un bancone di ceneri pluristratificato? Quest'ultimo tipo di rinvenimento è testimoniato anche in altri nuraghi: Piscu di Suelli, Speranza di Alghero, Su Nuraxi di Barumini, Pizzinnu di Posada, Serucci di Gonnesa, per non parlare del vaso rituale del nuraghe Su Sonadori di Villasor, rinvenuto colmo di ciottoli (probabilmente di fiume), frammisti a materiale nero-untuoso e con all'interno un'olla miniaturistica (chiaro esempio d'oggetto rituale) in ceramica grigio-ardesia, la quale ci permette di datare il contesto almeno a partire dal Bronzo Recente. Di fronte a tutti questi dati scaturiti dagli scavi (nel mio lavoro cito almeno una ventina di siti), anche gli orientamenti astronomici, seppure a mio avviso importantissimi, passano in secondo piano, poiché è il dato archeologico a dimostrare chiaramente l'uso cultuale dei nuraghi. Non mi dilungo, inoltre, sui reperti restituiti dai pozzi rinvenuti all'interno della struttura nuraghe, come ad es. quello del nuraghe La Prisgiona, dove al fondo della struttura vennero rinvenuti ben sedici vasi in alcuni casi integri o perlomeno facilmente ricomponibili, i quali erano ricoperti da una strato cospicuo di ossa d'animale, e centinaia di frammenti ceramici (si parla qui del livello settimo, come dai dati di scavo del Prof. Contu). Questi vasi sono stati datati a partire almeno dal Bronzo Recente, seconda la classificazione di Campus-Leonelli).

risosardonico ha detto...

Tale genere di contesto è stato rinvenuto presso altri pozzi come il Santu Antine di Genoni, il Lugherras di Paulilatino, la cisterna del nuraghe Adoni, il pozzo del nuraghe Ortu Commidu, il pozzo del nuraghe Piscu di Suelli.
Mi piace, inoltre, ricordare come i Tirrenoi (ovvero costruttori di torri) secondo la tradizione di Strabone (V,2,7) risiedessero in Sardegna prima dell'arrivo degli Iolei. Questi ultimi sarebbero giunti nell'isola nel periodo corrispondente al nuragico I (Bronzo Medio) come da lei affermato in : L'alba dei nuragh, pag. 20.
Ebbene i Tirrenoi, grazie ad una importantissima fonte letteraria che risponde al nome di Esiodo, la prima figura attestata storicamente della tradizione letteraria occidentale, nella sua opera intitolata "Teogonia", ovvero la generazione degli dei (scritta durante l'VIII sec. a.C.) sostiene ai versi 1015-1016 come i Tirrenoi vivessero in mezzo alle isolae sacre (neson ieraon). Dunque se è ipotizzabile, come sostenuto da Strabone, come i Tirrenoi risiedessero in Sardegna, dovremmo allora domandarci, come mai Esiodo, parlando di questo popolo e delle isole dove questi risiedevano, utilizzi l'aggettivo "sacre" per nominarle e distinguerle.
Perchè ancora nel XV sec. d.C. il frate domenicano Giovanni Annio ci tramanda la notizia, attraverso i suoi scritti, che la Sardegna era identificata dagli Aramei con il termine "Cados Sene", dai Greci con il termine "Sandaliothim", dai Latini con l'appellativo "Sacra Crepida". In tutte le versioni il nome attribuito alla Sardegna è quello di Sandalo Sacro, dunque, ancora una volta al di là dell'apparentamento fisico dell'isola con la forma di un sandalo, questa terra viene ricordata come un luogo sacro, no certo come un luogo dove dimoravano solo delle popolazioni bellicose. Ed inoltre, quale caratteristica particolare dovette convincere questi studiosi ad affermare che l'isola era sacra?

rsroberto ha detto...

Condivido le considerazioni di risosardonico e suggerisco gli eventuali lettori a leggere anche "Caro amico ti scrivo sul blog "Archeologia Nuragica".

ps pensavo che attualmente l'idea del nuraghe ad uso militare appartenesse esclusivamente al mondo dei bambini...

zuannefrantziscu ha detto...

da Giovanni Ugas

A Risosardonico rispondo: che la presenza di resti di pasto e di carboni negli strati archeologici non basta per definire l'uso sacro degli edifici. Ad esempio, nelle Sala del consiglio c'è l'altare, ma si tratta di un edificio consacrato alla divinità e non un tempio! Diverso è il caso di Su Mulinu e di Genna Maria per i depositi del I ferro e dell'età punica e romana, dove la sacralità è dimostrata dalla specificità dei manufatti (altarini, centinaia di lucerne votive, coppette per le offerte, ossa combuste di animali particolari, gioielli,e più tardi monete).



Ad Atropa Belladonna: Se gli archeologi sardi ritengono che non fu praticata una scrittura nuragica nel tardo Bronzo, dovrà esserci pure per loro una buona ragione, ma se Lei e altri che la pensano allo stesso modo ritenete di essere degli incompresi continuate pure con le vostre idee sull'argomento perché se avete ragione la storia vi renderà merito, altrimenti penserà che voi facevate un bel sogno, fantasioso. Quanto all'importanza della scrittura nell'età del Bronzo e del I Ferro, il mio pensiero riguardava il fatto che essa allora era un fenomeno d'élite e dunque non era ancora uno strumento di comunicazione di massa come lo è oggi e certo non era la scrittura il mezzo principale per combattere le ingiustizie sociali.

raffaele airi ha detto...

"..... e certo non era la scrittura il mezzo principale per combattere le ingiustizie sociali.....", sinceramente sig. UGAS non l'ho capita......ma perchè la scrittura serve solo per combattere le Ingiustizie Sociali? o invece, come io penso, serve a molto, ma molto altro???

Pietro Murru ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Pietro Murru ha detto...

Supporti che recano “segni incomprensibili” che, in quanto tali, sarebbero non meglio precisate “imitazioni” da attribuirsi a confusi e sprovveduti scopiazzatori, anche questi non meglio precisati.

Questa è una spiegazione ad hoc, e come tutte le spiegazioni ad hoc è circolare: spiega e giustifica se stessa. Nel fare scienza questo tipo di teorie, ad hoc e circolari, appunto, dovrebbero essere evitate.

Dunque la mia curiosità, professore Ugas, è questa: si ha conoscenza, rimanendo per comodità in ambito mediterraneo ma fuori Sardegna, di altri supporti scritti per i quali sia stata data la spiegazione di cui sopra? Oppure, per l'archeologia, solo in Sardegna si riscontra questa tendenza a scimmiottare maldestramente?

DedaloNur ha detto...

Al contrario, certi studiosi hanno distorto la storia per sostenere che in fondo i Popoli de Mare provenivano dal Centro Europa e dunque erano gli antenati dei nazisti! A parte ciò, come si fa a confondere il concetto di nazione e di popolo che proviene dalla storia con il concetto di nazionalismo dei nazisti e dei fascisti, che deriva dall’idea antistorica, insensata, di un popolo eletto, superiore agli altri! condivido in pieno queste parole. Quando si parla di Shardana non si parla di popoli eletti: gli ario-nazisti-shardanici non abitano la Sardegna. Chi volesse cavalcare questo cavallo per raggiungere l'indipendenza sarà disarcionato dalla Storia, questo perchè se anche la riflessione storica serve a maturare un maggiore coscienza di sè (com'è avvenuto per tutti i popoli) di certo a chi progetta l'indipendenza seve molto di più un progetto per il Futuro, piuttosto che un indagine sul Passato.

detto questo tra cose che ono capisco e cose su cui ho vari dubbi e perplessità, chiederei al prof. Ugas un maggiore approfondimento sulla sistematica distruzioni dei nuraghi a cui accenna

io in realtà credo che l'aggettivo sistematico sia improprio. dà l'dea di un azione generale su vasta scala che non mi pre (a giudicare dai dati) sia avvenuta: certi pozzi sacri, certi nuraghi, certi villaggi, cadono in disgrazia. ma altri proseguono la loro via, credo per molta parte dell'età del ferro.

l'aggettivo sistemtico dà inoltre l'idea o di una invasione (senza che ciò sia provato dai dati, e cioè da elementi culturali alloctoni), oppure di lotte fratricide tra nuragici, che non lascerebbero prove archeologiche, in quanto in tal caso, ad un nuragico si sostituirebbe un nuragico, ma che non saprei quanto siano verosimili, pur nopn essendo inverosimili.

io più che algtro pernso che la caduta in disgrazia di certi mopnumenti fu dovuta ad un "autoselezione" dei ccentri abitati e cultuali in quel periodo nel quale, anche in Italia, si assiste ad un quasi analogo fenomeno, il quale porterà alla nascita di centri protourbani, come quello di Frattesina.

in sardegna si nota il sorgere di centri equiparabili quelli italici, pur nelle peculiarità dela cultura nuragica, la quale rimase cmq radicata ed in rapporto identitario col nuraghe.

vorrei un parere del prof Ugas, in merito: grazie.

Giuseppe ha detto...

Condivido il pensiero di DedaloNur: mancano le prove sull'esistenza di una sistematica distruzione dei nuraghi, l'archeologia dimostra piuttosto una fase di abbandono che caratterizza tutta l'Isola.
Nell'ottica di una visione a livello mediterraneo che vede la Sardegna nuragica nella veste di unica potenza politico-economica dell’occidente che partecipa agli eventi principali del tempo, ricordo che nello stesso periodo tutte le fonti orientali, confermate oggi dalla ricerca archeologica, narrano della diffusione di morbi quali vaiolo o peste che determinano un grave fenomeno di abbandono e di spopolamento.
In Sardegna viene segnalata, in molti casi, anche la contemporanea presenza di incendi non generata da conflitti. Detto questo la diffusione del morbo potrebbe essersi diffusa anche nell’isola, generando nella popolazione una sorta di delusione nei confronti della divinità che condusse all’incendio purificatore, alla “scapitozzatura” del nuraghe-tempio e all’uso delle pietre per costruire altri edifici. D’altra parte la storia (esempio Medioevo) ci dimostra a quali risultati negativi, in termini religiosi, possono condurre le gravi diffusioni di peste o vaiolo.

Giuseppe Mura

rsroberto ha detto...

In effetti nella mummia di Ramsete V, morto intorno al 1150 a.C., sono stati trovati segni di un rash cutaneo esteso che hanno permesso di riconoscere il primo caso storico di Vaiolo.
Per chi fosse interessato ecco il Link: http://whqlibdoc.who.int/smallpox/WH_5_1980_p22.pdf

zuannefrantziscu ha detto...

da Giovanni Ugas

@ Atropa Belladonna

Ad Atropa belladonna
Della fuseruola del Palmavera, che non ho visto direttamente, posso dire che i segni sono incisi dopo cottura e, a giudicare dalle foto pubblicate su questo blog, ho la stessa sensazone di chi sostiene che l’assenza di patina e la slabratura dei bordi, che lasciano intravvedere una pasta “viva”, facciano pensare a segni tracciati di recente. Lei ha avrebbe ragione di lamentarsi se l’oggetto fosse stato manomesso nei depositi dopo il recupero. Sulla fuseruola occorre anche dire che non si conosce con precisione il contesto e da un punto di vista tipologico il reperto può appartenere, tra l’altro, al I Ferro. Diversamente, non ho elementi per giudicare “ l’obelisco” di Sirai
Tutte le informazioni che vuol sapere sui segni che ho presentato nelle tabelle avrei voluto vederle pubblicate anch’io, ma dovrò aspettare, come lei. Quanto allo spillone bronzeo di Antas, il merito del ritrovamento è di Bernardini (io ad Antas ho scoperto altre cose pubblicate nel 1987) e non mi pare proprio che l’abbia nascosto. Lei non immagina neppure lontanamente le difficoltà che hanno gli archeologi a far restaurare e a studiare i materiali dei propri scavi. Concludo precisando che io non ho affatto insinuato che lei abbia fatto dei falsi, ma qualcuno purtroppo ha fatto girare e trovare dei reperti falsi perché lei ed altri li esaminaste: io sono l’ultimo degli archeologi che sta evidenziando questo fatto lampante e non potevo non farlo , per evitare ulteriori confusioni in mezzo alla gente. Io ho scoperto i primi segni di scrittura sui reperti nuragici nel lontano 1967 inseriti poi nella mia tesi di laurea gli altri isolati e pian piano che procedevano le ricerche. Come vede gli studi sono più lunghi e difficoltosi di quanto lei non immagini, perché gli archeologi solo uomini capaci di sbagliare e anche di dare qualche nuovo contributo per ricostruire il camino dei nostri antenati.

alberto areddu ha detto...

Riguardo ai nuraghe penso che la discussione riaccesa su cosa fossero o meglio cosa non fossero, è destinata a perpetuarsi; secondo me si è smesso di costruire nuraghe nel momento stesso che si è raggiunto lo scopo di farli, vale a dire, che lo scopo primo dei nuraghi era lo loro stessa costruzione, il che porterebbe a dover dire che la civiltà nuragica, come quella sardomedievale aveva la necessità di segnare il territorio; quando esso è stato demarcato compiutamente, anche l'ansia di occupare un determinato nuraghe non c'era più. Tradotto potrei dire che ogni nuraghe era un avamposto per il successivo.

Riguardo ai falsi, inviterei Ugas, che mi pare persona onesta, ad asserire che spesso i falsi "importanti" nascono tra gli stessi archeologi: o come atto di burloneria, o come ballon d'essai per cose diversamente vere, o anche per far sì che nel momento in cui si vende l'archeotrash, di riflesso venga qualcosa anche a loro, per i loro paludati e spesso noiosi saggi.

piero ha detto...

Condivido l'articolo del dott. Ugas, ma non in tutte le sue parti; ad esempio nella parte che tratta gli orientamenti e la loro funzione, che si allontana dalla conoscenza vera dei motivi che spingevano a costruire gli allineamenti con molta accuratezza. Se non l'avesse già fatto, consiglierei al professore la lettura del libro "la luce del toro", edito dalla PTM, sugli "orientamenti" scritto con rigore scientifico basato su dati reali.
Per quanto riguarda la scrittura, non credo che i segni siano accostabili a scrittura micenea, bensì un'evoluzione autoctona di scritture dell'asia minore che sono molto più antiche, occorrerebbe allo scopo una ricerca libera da qualsiasi vincolo da parte dell'accademia.

alberto areddu ha detto...

Appena uscirà il saggio tanto atteso (ma ho visto che ora li mettono direttamente on line)bisognerà dotarsi di strumenti essenziali di storia epigrafica greca, come il Jeffery o la Guarducci, per sottoporre a una verifica diretta le qui accennate connessioni con l'area beotica. Aggiungo che se ciò fosse vero si verificherebbero due fatti: a) ho ragione io ad avere trovato balcanismi b) non ho ragione io, perché secondo quello che ho sostenuto, sono più antichi del viii-vii sec. a.c. Insomma fifty-fifty